Certificazione di abitabilità nei contratti di vendita immobiliare

Con l’ordinanza n. 8749 del 2024, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione evidenzia la complessità degli scenari relativi all’inadempimento preliminare in un contratto di vendita immobiliare, a causa dell’assenza di una certificazione di abitabilità, elemento che conferma la destinazione ad uso abitativo di un immobile.

Corte di Cassazione-sez. II Civ.-ord. n. 8749 del 03-04-2024

La questione

Due acquirenti avevano firmato un contratto preliminare di vendita per un appartamento con una società costruttrice. L’appartamento, tuttavia, mancava di una certificazione di abitabilità, necessaria per confermare la destinazione ad uso abitativo.
Inizialmente, i compratori avevano chiesto al tribunale di dichiarare la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto, dato che l’appartamento non possedeva una valida destinazione residenziale. In subordine, hanno chiesto la risoluzione del contratto per grave inadempimento, poiché la venditrice non aveva fornito la certificazione di abitabilità richiesta.
Il tribunale di primo grado ha risolto il contratto a favore dei compratori, ordinando alla venditrice la restituzione della caparra. Tuttavia, la decisione è stata ribaltata dalla Corte d’appello, che ha stabilito che il contratto non prevedeva espressamente la consegna del certificato di abitabilità come condizione per la sua validità.

I motivi di ricorso

Nel primo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno sostenuto che la Corte d’appello avesse erroneamente interpretato e applicato le norme relative alla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento di cui agli artt. 1453 c.c., 1460 c.c., 1477 c.c. e 1362 c.c.
I ricorrenti hanno, altresì, argomentato, nell’esame del secondo motivo, che la Corte d’appello non avrebbe applicato tali norme in relazione del mancato rilascio della certificazione di abitabilità. Hanno sostenuto che questa mancanza costituisse un inadempimento grave che giustificasse la risoluzione del contratto, indipendentemente dall’esito di eventuali procedimenti amministrativi pendenti.
Con il terzo motivo, il ricorso ha anche sollevato la questione dell’omesso esame di fatti decisivi, contestando la decisione della Corte d’appello di non considerare adeguatamente:

  • La gravità dell’inadempimento rappresentato dall’assenza di una certificazione di abitabilità.
  • L’impatto di tale mancanza sul valore e sull’utilizzo dell’immobile.

Infine, è stato sostenuto che la motivazione della sentenza di appello fosse insufficiente in base all’art. 132 c.p.c., il quale richiede che le decisioni giudiziarie siano adeguatamente motivate. La critica riguardava la mancanza di una valutazione approfondita delle norme rispetto ai fatti.

Le argomentazioni della Corte di Cassazione

I giudici ermellini hanno chiarito l’infondatezza del primo motivo osservando che l’estinzione della società per cancellazione volontaria dal registro delle imprese, avvenuta nel corso del giudizio d’appello e non dichiarata, non ha influito sull’efficacia esecutiva del titolo giurisdizionale emesso in favore della società al termine della definizione di tale giudizio impugnatorio. Ciò ha determinato la condanna della promissaria acquirente a restituire la somma ricevuta in ottemperanza alla sentenza di prime cure, in considerazione del rigetto della domanda di risoluzione del preliminare e del conseguente accertamento del legittimo esercizio del recesso e del correlato diritto a trattenere la caparra confirmatoria corrisposta. I giudici hanno dedotto che tale diritto può essere fatto valere dalla persona fisica nei cui confronti è integrato il fenomeno successorio derivante dall’estinzione. Inoltre, la presunzione di rinuncia alla pretesa creditoria in corso di accertamento, a causa della cancellazione volontaria, non poteva operare nel caso di specie, poiché, in presenza di una pendenza non ancora definita e legata a una pretesa creditoria ancora incerta, non poteva essere che l’ex socio ne fosse a conoscenza.
La Corte ha ritenuto il secondo motivo fondato. Nella specie, la sentenza d’appello ha motivato il rigetto della domanda di scioglimento del contratto preliminare per inadempimento grave imputabile alla parte venditrice basandosi su un automatismo artificioso tra la mancanza del presupposto per l’operatività della condizione risolutiva e la mancanza dei requisiti per ottenere la pronuncia costitutiva di risoluzione giudiziale ai sensi dell’articolo 1453 c.c.
Secondo i giudici, l’effetto risolutivo legato al mancato ottenimento, entro una data scadenza, di un provvedimento amministrativo per motivi non imputabili ai contraenti, sarebbe riconducibile alla mancata verifica di un evento futuro e incerto, qualificandosi, per l’effetto, come condizione risolutiva negativa.
Tuttavia, l’azione giudiziale proposta non mirava a verificare il verificarsi di questa condizione, il cui mancato avveramento avrebbe dovuto comportare che il preliminare fosse privo di effetti fin dall’origine, senza ulteriori statuizioni. Gli attori originari, infatti, avevano agito in giudizio per chiedere l’accertamento della nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto o, in subordine, la pronuncia costitutiva di risoluzione del preliminare per gravi inadempimenti attribuibili esclusivamente alla venditrice.
La stessa sentenza impugnata ha riconosciuto che al momento della stipula del contratto definitivo la società venditrice non era in grado di consegnarel la certificazione di abitabilità, né esso era stato rilasciato durante il processo. Pertanto, una volta verificato che l’evento futuro e incerto contemplato nella condizione risolutiva non si era verificato, la Corte d’appello non avrebbe dovuto automaticamente respingere la domanda di risoluzione rispetto agli inadempimenti dedotti, ma avrebbe dovuto valutare l’incidenza qualitativa e soggettiva di tali inadempimenti ai fini della dichiarazione di risoluzione.
La Corte ha osservato che nei contratti con prestazioni corrispettive soggetti a condizione risolutiva, la valutazione del comportamento delle parti riguardo all’inadempimento delle prestazioni rimane subordinata al verificarsi dell’evento condizionante. Solo quando si verifica tale evento, il venir meno ex tunc dell’efficacia del contratto preclude al giudice di considerare gli inadempimenti per la domanda di risoluzione.
Nel caso di specie, il giudice di merito avrebbe dovuto considerare la gravità e l’imputabilità dell’inadempimento dedotto. Questo perché vi è una fondamentale differenza tra l’evento futuro e incerto contemplato come condizione e il fatto di inadempimento sottostante alla richiesta di risoluzione.
In altri termini, il mancato adempimento dell’evento futuro e incerto previsto nella condizione non poteva essere l’unico elemento considerato per respingere la domanda di risoluzione del contratto di talché il giudice avrebbe dovuto esaminare attentamente la gravità e l’imputabilità dell’inadempimento sottostante, piuttosto che basarsi esclusivamente sul fatto che la condizione risolutiva non si fosse verificata.

Conclusioni

In conclusione, le interpretazioni divergenti delle corti di primo grado e d’appello, seguite dal ricorso in Cassazione, sottolineano l’importanza di una documentazione adeguata e di clausole contrattuali esplicite per prevenire disaccordi post-contrattuali.

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Riccardo Mazzon
Avvocato Cassazionista del Foro di Venezia. Ha svolto funzioni di Vice Procuratore onorario presso la Procura di Venezia negli anni dal 1994 al 1996. È stato docente in lezioni accademiche presso l’Università di Trieste, in corsi approfonditi di temi e scritture giuridiche indirizzati alla preparazione per i concorsi pubblici. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche.
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