Cassazione: dubbi di costituzionalità sul contributo unificato da 43 euro

La Terza Sezione Civile della Cassazione, con tre ordinanze interlocutorie “gemelle” depositate oggi, 11 dicembre 2025 (Cass. civ. n. 32227, 32232 e 32234), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 812, della legge 30 dicembre 2024, n. 107 (legge di bilancio 2025). La disposizione stabilisce che, nei procedimenti civili, la causa non può essere iscritta a ruolo se non è versato l’importo determinato dall’art. 13, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115/2002 (pari a 43 euro) o il minor contributo dovuto per legge. L’omesso versamento comporta dunque l’improcedibilità, con un meccanismo automatico destinato ad operare in ogni stato e grado del giudizio. Le tre ordinanze, rese in materie eterogenee (locazione e rilascio di alloggi ERP), convergono su un unico punto: la compatibilità della nuova soglia contributiva minima con i principi di uguaglianza, difesa e giusto processo garantiti dagli artt. 3, 24 e 111 Cost.

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Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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La previsione normativa: struttura, portata e immediata applicabilità

La norma censurata si colloca nell’ambito del contributo unificato, qualificato come debito tributario dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Costituzionale. Essa introduce un obbligo generalizzato, applicabile anche al ricorso per Cassazione, senza distinzioni per materia, valore della causa o condizioni soggettive delle parti.

Secondo le ordinanze, il tenore letterale della disposizione fa emergere:

  • un meccanismo rigido, che impedisce l’iscrizione a ruolo in assenza del versamento, senza margini interpretativi idonei a mitigare la sanzione processuale;

  • l’applicabilità generalizzata, senza esenzioni neppure per i soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato;

  • un onere fisso (43 euro) che opera anche nei processi per i quali il contributo unificato ordinario è significativamente superiore, determinando effetti distorsivi nel sistema.

Le ordinanze ricostruiscono inoltre il dibattito interno agli uffici della Cassazione circa l’individuazione del soggetto competente a rilevare il mancato pagamento: secondo l’art. 58 c.p.c. l’iscrizione a ruolo rientra tra i compiti del cancelliere, ma un provvedimento organizzativo della Prima Presidenza (10 giugno 2025) ha correttamente ricondotto la valutazione al giudice, trattandosi di decisione strettamente processuale.

Per approfondire, leggi anche:

L’ordinanza interlocutoria n. 32227/2025: l’assenza di un nesso funzionale tra contributo e processo

Nella prima delle tre ordinanze, la n. 32227/2025 (puoi leggerla cliccando qui) relativa a una controversia in materia di locazione, la Corte ha posto al centro del ragionamento la natura tributaria dell’onere e la necessità che esso sia coerente con la funzione del processo.
Richiamando i principali precedenti costituzionali, dalla storica sentenza n. 21 del 1961 sul solve et repete, fino alle più recenti n. 333/2001, 522/2002 e 140/2022, la Cassazione ha rilevato che:

  • il legislatore può imporre oneri collegati al processo solo se essi sono funzionali al suo corretto svolgimento;

  • non è invece consentita la creazione di barriere di natura fiscale estranee alla funzione giurisdizionale.

Proprio questo secondo profilo risulterebbe violato: l’obbligo di versamento dei 43 euro non presenta alcun collegamento né con la complessità del giudizio né con il valore della causa, né, soprattutto, con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso o garantire una migliore efficienza del servizio giustizia.

La Corte, inoltre, ha sottolineato due criticità ulteriori:

  • mancata tutela dei non abbienti, non essendo prevista alcuna esenzione per i beneficiari del patrocinio a spese dello Stato;

  • disparità di trattamento nei ricorsi incidentali, poiché l’onere grava solo sulla parte che chiede l’iscrizione a ruolo.

La somma, seppur modesta, non appare idonea a superare il dubbio di costituzionalità: ciò che rileva è la rigidità della preclusione, non l’entità del tributo.

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L’ordinanza interlocutoria n. 32232/2025: la violazione dei principi di uguaglianza e difesa

La seconda ordinanza interlocutoria, n. 32232/2025 (puoi leggerla cliccando qui), sempre in materia locatizia, replica in modo sostanzialmente sovrapponibile lo schema argomentativo del precedente, articolando però in modo più approfondito il richiamo ai parametri costituzionali.

Rilevante è il contrasto posto in evidenza con l’art. 3 Cost.: l’onere fisso si traduce in un trattamento paradossalmente favorevole per chi promuove cause di elevato valore (che verserebbe un contributo molto più alto secondo la disciplina vigente), mentre costituisce un ostacolo per i soggetti economicamente svantaggiati, posti dinanzi a una condizione processuale indefettibile.

La Corte ha affermato, poi, che la norma:

  • non è sorretta da finalità di razionalizzazione del processo;

  • non incide sulla funzionalità del giudizio, ma soltanto sull’accesso allo stesso;

  • non consente al giudice una valutazione elastica in base alle circostanze del caso.

L’ordinanza interlocutoria n. 32234/2025: conseguenze sistemiche della nuova disciplina

La terza ordinanza, la n. 32234/2025 (puoi leggerla cliccando qui), relativa all’opposizione al rilascio di un alloggio ERP, ha messo ulteriormente in luce gli effetti sistemici della norma, applicabile a tutti i procedimenti civili, inclusi quelli tipicamente connotati da situazioni di particolare fragilità economica.

Il Collegio ha ribadito che:

  • l’obbligo di pagamento costituisce una coazione indiretta all’accesso alla giustizia, priva di giustificazione costituzionalmente apprezzabile;

  • la mancanza di proporzionalità tra valore della controversia e importo dovuto compromette la razionalità complessiva del sistema del contributo unificato;

  • l’uniformità dell’onere determina una irragionevole assimilazione di situazioni eterogenee.

Interessante, in questa ordinanza, il richiamo alla storia legislativa del deposito per soccombenza, istituto ormai abrogato: pur avendo superato in passato il vaglio della Corte Costituzionale, esso si collocava in un quadro completamente diverso, prevedeva l’esenzione per i non abbienti e aveva natura cauzionale e non definitivamente preclusiva. Il parallelismo sembrerebbe finalizzato a rafforzare l’idea che la disciplina attuale risulti più gravosa e meno bilanciata.

Conclusioni: si attende ora la decisione della Consulta

Le tre ordinanze tracciano un quadro unitario: l’art. 1, comma 812, della legge n. 107/2024 appare, per la Cassazione, irragionevole, discriminatorio e lesivo del diritto di difesa, perché introduce un onere fiscale sganciato da qualsiasi funzione processuale e non graduato sulle condizioni delle parti o sulle caratteristiche del procedimento. Insomma, una norma che mirerebbe unicamente a “fare cassa”.

La questione è stata dunque rimessa al Giudice delle leggi, cui spetterà valutare se la norma realizzi un legittimo bilanciamento tra esigenze finanziarie dello Stato e garanzia costituzionale dell’accesso alla giustizia.

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