Caso Uber in Italia: disciplina normativa e tutta la giurisprudenza

in Giuricivile, 2018, 8 (ISSN 2532-201X)

La crescente affermazione nel mondo moderno della sharing economy, letteralmente economia della condivisione, indotta principalmente dalle innovazioni tecnologiche, ha rivoluzionato il mondo del commercio e del trasporto dando vita a fenomeni quali Uber, maggiore esponente di questa nuova realtà imperniata nella condivisione.

Questa evoluzione delle dinamiche commerciali che si è venuta a delineare mal si attaglia sia alla disciplina concorrenziale codicistica, plasmata sulla realtà economica degli anni Quaranta del XX secolo, sia alla normativa del trasporto pubblico non di linea, realtà severamente regolamentata a livello pubblicistico. Pertanto tali normative risultano chiaramente inadeguate a regolare le odierne dinamiche commerciali, dando, quindi, vita ad accesi scontri all’interno della categoria dei soggetti maggiormente coinvolti: i tassisti e i conducenti ncc.

L’argomento è strutturato in due parti: la prima parte ricostruisce la normativa del trasporto pubblico non di linea in Italia, così come disciplinata dalla legge n.21 del 15 gennaio 1992. La seconda parte, invece, è dedicata all’analisi delle pronunce delle Corti italiane attinenti alla vicenda Uber, con lo scopo di verificare se effettivamente la condotta posta in essere dalla multinazionale californiana possa essere qualificata anticoncorrenziale ex art. 2598 n.3 c.c.

La disciplina del trasporto pubblico non di linea in Italia

I trasporti pubblici non di linea sono disciplinati a livello nazionale dalla legge n. 21 del 15 gennaio 1992 (“Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”)[1]. Lì sono raccolte le principali indicazioni relative alle modalità con cui si forniscono le uniche due tipologie di servizio di trasporto pubblico ammesse dal legislatore: il servizio di taxi e il servizio di noleggio con conducente[2].

L’articolato si apre con la definizione di “autoservizi pubblici non di linea”, ovvero quei servizi che “provvedono al trasporto collettivo o individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta” (art.1)[3].

Successivamente, l’articolo 2 fornisce la nozione di “servizio taxi”, servizio non di linea per antonomasia. Tale servizio ha “lo scopo di soddisfare le esigenze di trasporto individuale o di piccoli gruppi di persone e si rivolge ad un’utenza indifferenziata”[4]. Con riguardo alle modalità di svolgimento del servizio, la legge prevede che “lo stazionamento avviene in luogo pubblico”, inoltre “il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio avvengono all’interno dell’area comunale o comprensoriale”. Quanto alle tariffe per il servizio, la legge dispone che “sono determinate amministrativamente dagli organi competenti”.

Relativamente al servizio con conducente, questo viene definito come quel servizio che “si rivolge all’utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all’interno delle rimesse” (art.3).

In merito alla forma giuridica che può assumere l’impresa di trasporto pubblico non di linea, i titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi o di autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente, possono esercitare la propria attività: come titolari di impresa artigiana di trasporto, iscritti all’albo delle imprese artigiane previsto dall’articolo 5 della legge 8 agosto 1985, n. 443; oppure associarsi in cooperative di produzione e lavoro ovvero in un consorzio tra imprese artigiane; o, infine, come imprenditori privati, ma limitatamente al caso del servizio di n.c.c[5].

Come ottenere una licenza taxi e ncc

Il regime di accesso al mercato è soggetto a regolamenti di carattere comunale[6]. Sono previste tre modalità[7] per entrare in possesso della licenza per l’esercizio del servizio taxi e dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente. La prima è il loro rilascio in seguito a un bando di pubblico concorso ai soggetti che abbiano la proprietà o la disponibilità in leasing del veicolo; mentre per il servizio di n.c.c. è richiesta anche la disponibilità di una rimessa[8].

La seconda modalità è l’acquisto della licenza o dell’autorizzazione da parte della persona designata dal titolare, purché quest’ultimo si trovi in una delle condizioni indicate dall’art.9, ovvero

  • sia titolare di licenza o di autorizzazione da cinque anni;
  • abbia raggiunto il sessantesimo anno di età;
  • sia divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia, infortunio o per ritiro definitivo della patente di guida.

Con riguardo alla terza modalità di ingresso nel mercato dell’autotrasporto pubblico non di linea, l’art. 10 prevede che si possa svolgere il servizio di taxi per sostituzione, se ricorrono le ipotesi tassativamente indicate dalla norma: “per motivi di salute, inabilità temporanea, gravidanza e puerperio; per chiamata alle armi; per un periodo di ferie non superiore a giorni trenta annui; per sospensione o ritiro temporaneo della patente di guida; nel caso di incarichi a tempo pieno sindacali o pubblici elettivi.

Peraltro, la licenza è trasferibile anche mortis causa. Infatti, l’art. 9 dispone che “la licenza o l’autorizzazione possono essere trasferite ad uno degli eredi appartenenti al nucleo familiare del titolare, qualora in possesso dei requisiti prescritti, ovvero possono essere trasferite, entro il termine massimo di due anni, dietro autorizzazione del sindaco, ad altri, designati dagli eredi appartenenti al nucleo familiare del titolare, purché iscritti nel ruolo di cui all’articolo 6 ed in possesso dei requisiti prescritti”.

I requisiti per accedere al servizio taxi e ncc

Terminata l’analisi delle modalità per l’ingresso nel mercato del servizio taxi e noleggio con conducente, si passerà a considerare le disposizioni concernenti i requisiti richiesti per poter entrare ad operare nel settore. Anzitutto, è concessa la possibilità di ottenere la licenza o l’autorizzazione solo a chi è iscritto al ruolo dei conducenti di veicoli adibiti al servizio pubblico non di linea.

L’iscrizione al ruolo è consentita solo ai possessori di un apposito certificato di abilitazione professionale[9] e previo esame da parte di un’apposita commissione regionale che verifica la sussistenza dei “requisiti di idoneità all’esercizio del servizio, con particolare riferimento alla conoscenza geografica e toponomastica” (art.6). I comuni, secondo quanto dispone l’art.5, sono competenti a stabilire il numero e la tipologia dei veicoli.

Quanto alle caratteristiche dei veicoli adibiti a servizio pubblico non di linea, l’art.12 dispone quanto segue: “Le autovetture adibite al servizio di taxi sono munite di tassametro omologato, attraverso la sola lettura del quale è deducibile il corrispettivo da pagare. Le autovetture adibite al servizio di taxi portano sul tetto un contrassegno luminoso con la scritta “taxi”. Ad ogni autovettura adibita al servizio di taxi sono assegnati un numero d’ordine ed una targa con la scritta in nero “servizio pubblico” del tipo stabilito dall’ufficio comunale competente”; con riguardo invece alle autovetture adibite al servizio di noleggio con conducente è previsto che portino “all’interno del parabrezza anteriore e sul lunotto posteriore, un contrassegno con la scritta “noleggio” e sono dotate di una targa posteriore recante la dicitura “NCC” inamovibile, dello stemma del comune che ha rilasciato l’autorizzazione e di un numero progressivo”.

Modalità di svolgimento e tariffe del servizio pubblico non di linea

Con riguardo alle modalità di svolgimento del servizio, è previsto che i taxi “possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali” (art. 11)[10].

Viceversa, nel servizio di noleggio con conducente “è vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni dove è svolto il servizio taxi” (art. 11), infatti, come si è precedentemente sottolineato, il servizio di n.c.c è tenuto a stazionare all’interno della sua rimessa.

Sul piano del corrispettivo, i due servizi di trasporto divergono profondamente. Relativamente al servizio taxi l’articolo 13 prevede che questo “si effettua a richiesta diretta del trasportato o dei trasportati dietra pagamento di un corrispettivo, calcolato con tassametro omologato sulla base di tariffe determinate dalle competenti autorità amministrative”, inoltre “la tariffa è a base multipla (ovvero si calcola sia il tempo sia i chilometri) per il servizio urbano, a base chilometrica per il servizio extraurbano”.

I recenti interventi legislativi

Al fine incrementare l’efficienza e la qualità del servizio taxi, è stato emanato il decreto legge n. 223 del 2006[11]. La principale novità introdotta dalla riforma è costituita dai bandi straordinari per il rilascio di nuove licenze[12]. Per lo svolgimento di questi concorsi i comuni potranno avvalersi di procedure più snelle, allo scopo di poter concludere la procedura in tempi celeri. Inoltre, i comuni hanno la facoltà di rilasciare autorizzazioni temporanee o stagionali, al fine di fronteggiare le esigenze di consumatori in caso di eventi straordinari o per periodi di prevedibile incremento della domanda. I comuni potranno potenziare il servizio anche attraverso l’istituzione di turnazioni giornaliere integrative in aggiunta a quelle ordinarie[13]. La riforma ha previsto l’istituzione di “un comitato di monitoraggio composto da funzionari comunali, rappresentanti della categoria, dei radiotaxi e rappresentanti degli utenti per regolare le migliori modalità di svolgimento del servizio e adeguarlo alla domanda effettiva”[14] . Tale organismo dovrebbe avere il compito di regolare costantemente il livello dell’offerta adeguandolo alla domanda effettiva e, dunque, di disciplinare il regime di turnazione ordinario e integrativo[15].

Per rafforzare la distinzione tra taxi e n.c.c. ed in particolare per impedire che i secondi si rivolgano ad una clientela coincidente con quella cui fanno riferimento i primi, nel 2008[16] interviene il legislatore apportando alcune modifiche alla legge quadro del 1992. Anzitutto, quest’ultimo ha voluto precisare che sia la rimessa del noleggio con conducente sia la sua sede «devono essere situate esclusivamente nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione». Secondariamente, è stato introdotto l’articolo 5-bis, in merito ai casi in cui il noleggio concerne servizi che coinvolgono comuni diversi da quello che ha rilasciato l’autorizzazione, i quali possono «limitare l’accesso nel loro territorio» e addirittura richiedere una «preventiva comunicazione contenente, con autocertificazione, l’osservanza e la titolarità dei requisiti di operatività della presente legge e dei dati relativi al singolo servizio per cui si inoltra la comunicazione e/o il pagamento di un importo di accesso». Infine, tra le modifiche più significative si può ricordare l’aggiunta dell’articolo 11-bis, con il quale vengono previste delle sanzioni in caso di violazione degli articoli 3 e 11 della legge quadro[17]

Questo nuovo intervento è stato però considerato lesivo del principio di concorrenza a causa delle eccessive limitazioni imposte al servizio di noleggio con conducente[18], motivo per cui la sua efficacia è stata subito sospesa[19]. Il periodo di sospensione, però, è passato senza che nulla accadesse e non è stato più riproposto. In compenso sono stati individuati nuovi termini per adottare disposizioni tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di noleggio con conducente, sino ad arrivare al Milleproroghe, oggetto dell’attuale scontro[20].

uber italia è legale

Uber in Italia è legale? Tutta la giurisprudenza sul caso Uber

La prima città italiana in cui giunge la multinazionale statunitense è Milano [21], dove nel marzo 2013 inizia ad operare UberBlack [22], provocando un’immediata reazione da parte degli operatori del settore.

La lamentata violazione dell’art 85 Cds

Una delle prime accuse mosse contro Uber è la violazione dell’articolo 85 del codice della strada, che punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria e la sospensione della patente colui che adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso, o presta il relativo servizio in violazione delle norme che lo regolano.

Va detto, però, che questo non era l’orientamento condiviso dal Giudice di pace milanese[23], che aveva annullato un verbale con cui si contestava la violazione della disposizione appena ricordata ad un autista Uber con regolare autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente [24].

Diversa è la ricostruzione del Tribunale di Milano dinanzi al quale il Comune impugna la decisione del Giudice di pace, ottenendo soddisfazione. In questa sede il Tribunale confuta la tesi dell’autista di Uber, secondo la quale le modalità con cui opera non costituiscono violazione della legge del 1992. Il convenuto, nel momento in cui è stato fermato dalla polizia, aveva dichiarato di aver ricevuto una richiesta di trasporto per mezzo dell’applicazione Uber sul proprio cellulare, effettiva sede operativa, mentre la piattaforma rappresenta solo l’intermediario. Così ricostruiti i fatti è indubbio, secondo il Tribunale, che il comportamento tenuto dal conducente di Uber non sia conforme alle disposizioni della legge quadro e in particolare agli articoli 3 e 11 [25].

Il caso UberPop e la concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 cc: la decisione del Tribunale di Milano

Problemi maggiori sono sorti con l’introduzione sul territorio italiano del servizio UberPop, che diversamente da UberBlack insidia il servizio taxi, e non solo attraverso la fornitura di un servizio di noleggio con conducente senza rispettare la relativa disciplina[26].

Proprio nei confronti di tale servizio, nel marzo 2015 le principali società di gestione dei servizi di radio-taxi nelle città di Milano, Torino e Genova, insieme ad associazioni di categoria, hanno formulato innanzi al Tribunale di Milano ricorso ex articolo 700 c.p.c., nei confronti delle resistenti società del gruppo Uber, chiedendo l’inibitoria all’utilizzo dell’applicazione UberPop, con relativo blocco e oscuramento dell’applicazione[27], in quanto sospettate di atti di concorrenza sleale ex articolo 2598 n. 3 c.c..

La cruciale valutazione di merito, che l’ordinanza in commento affronta, riguarda la forma strutturale del servizio offerto da UberPop, ai fini dell’accertamento del rapporto di concorrenza tra il normale servizio taxi e la forma di trasporto alternativa messa in atto dalla società californiana, presupposto necessario per l’applicazione della disciplina della concorrenza sleale[28].

Occorre ricordare che per potersi configurare un illecito concorrenziale è necessario che sussista un rapporto di concorrenza tra il soggetto attivo e il soggetto passivo del comportamento che si ritiene sleale[29]. La definizione più accreditata di rapporto di concorrenza suona nel senso che si avrebbe un simile rapporto quando due soggetti offrono sullo stesso mercato beni o servizi idonei a soddisfare, anche in via succedanea, gli stessi bisogni o bisogni simili. E ciò equivale a dire che vi è rapporto di concorrenza quando due imprenditori mirano alla stessa clientela e gli atti di concorrenza dell’uno sono volti a stornare la clientela dell’altro[30].

Così inquadrato, l’elemento essenziale per l’individuazione di tale rapporto è la comunanza di clientela tra i soggetti economici concorrenti, comunanza data non dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti delle imprese, ma dall’insieme dei consumatori che avvertono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto si rivolgono a tutti i prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare[31].

Nel caso di specie, il Tribunale di Milano afferma sussistente un rapporto di concorrenza tra il servizio di trasporto mediante taxi e quello prestato dagli autisti di Uber, in ragione del fatto che entrambi sono atti a soddisfare la medesima esigenza di trasporto della clientela. Di conseguenza, il Giudice milanese non ha accolto la ricostruzione della parte resistente, secondo cui UberPop sarebbe «una applicazione informatica che serve a favorire forme di trasporto condiviso, realizzate direttamente dagli utenti[32]».

Inoltre, il resistente afferma che, attraverso il sistema elaborato dalla società californiana, si sarebbe creata «una community, alla quale prendono parte solo coloro che installano sullo smartphone l’app UBER POP: tale peculiarità metterebbe in risalto il carattere privato del trasporto, in quanto per usufruire del servizio sia come guidatore che come passeggero è necessario aderire al gruppo Uber[33]». Ne consegue che, in quanto mera community, UberPop si distinguerebbe dal servizio di radio-taxi per la possibilità per gli autisti di Uber di non accettare le chiamate degli utenti, possibilità non concessa ai guidatori di radio-taxi.

È stata, invece, accolta la ricostruzione della parte ricorrente, secondo cui l’attività posta in essere da UberPop costituirebbe un servizio interferente con il servizio di radio-taxi. Il Tribunale perviene a tale conclusione sulla base di diversi ordini di motivazioni. Anzitutto, tramite l’applicazione l’utente richiede il servizio dal luogo in cui si trova; l’autista più vicino lo raggiunge per condurlo alla destinazione richiesta, analogamente a quanto avviene con il servizio su piazza; il servizio è remunerato, dovendosi considerare le somme pagate dagli utenti come vero e proprio corrispettivo e non (come sostenuto dai resistenti) un mero rimborso spese[34].

Pertanto il Giudice della cautela ha ritenuto sussistente un potenziale sviamento della clientela dalla parte ricorrente alla parte resistente, elemento costitutivo della fattispecie della concorrenza sleale[35].

Una volta affermata la sussistenza del rapporto di concorrenza tra i servizi svolti dagli autisti contattati tramite la piattaforma informatica Uber Pop e quelli effettuati dai tassisti, si pone la questione dell’individuazione del titolo della responsabilità delle società del gruppo Uber[36], non ponendosi in un rapporto di concorrenza diretta e immediata con la parte ricorrente. Il Giudice nel caso di specie riteneva la società responsabile a titolo di compartecipazione del terzo nell’atto di concorrenza sleale, in particolare, accoglieva l’orientamento dottrinale[37] secondo il quale: il terzo, pur non ponendo direttamente in essere l’atto di concorrenza sleale, e non trovandosi in una relazione di concorrenza con l’imprenditore danneggiato, fornisce ad altri i mezzi idonei per svolgere la concorrenza sleale[38].

Inoltre, il Giudice riteneva che il ruolo di Uber fosse essenziale e insostituibile ai fini della messa a disposizione del servizio di autotrasporto e diretto allo scopo di trarne un diretto beneficio economico, costituito dalla parte del corrispettivo spettante a detta società su ogni singola richiesta di trasporto[39]. Tale valutazione veniva ulteriormente motivata altresì in base al ruolo fondamentale che la multinazionale statunitense svolge in occasione del reclutamento degli autisti, mediante la stipulazione di contratti con questi ultimi; nonché in considerazione della fissazione delle tariffe praticate dagli autisti, secondo un meccanismo (c.d. surge) da essa stessa elaborato, pagate, al termine del servizio, dai rider direttamente alla Uber mediante addebito sulle proprie carte di credito[40].

La violazione di norme pubblicistiche ai fini dell’integrazione dell’illecito anticoncorrenziale

L’altro aspetto preso in considerazione dal Giudice della cautela è la violazione di norme di diritto pubblico ai fini dell’integrazione dell’illecito anticoncorrenziale ex articolo 2598 n. 3 c.c.[41]. Tale norma costituisce una clausola generale che definisce come concorrenza sleale tutti gli atti non conformi ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda[42]. All’interno di questa ampia categoria il legislatore colloca la fattispecie della violazione di norme pubblicistiche.

L’attività imprenditoriale si svolge in uno spazio denso di norme, spesso di diritto pubblico, si pensi ad esempio alle norme a tutela delle condizioni di lavoro, a quelle che subordinano l’esercizio di determinate attività ad autorizzazioni o licenze amministrative, e così via. Il rispetto di queste norme comporta dei limiti all’attività imprenditoriale, degli oneri e dei costi. Per converso la violazione di esse consente di realizzare dei risparmi. Sorge così il problema della liceità o illiceità di quelle violazioni dal punto di vista della disciplina della concorrenza sleale, ovvero se e in che limiti la violazione appunto di norme di diritto pubblico costituisca atto di concorrenza sleale, riconducibile all’articolo 2598 n. 3 c.c.[43].

Secondo un’opinione minoritaria e oramai risalente, la violazione di norme di diritto pubblico costituirebbe automaticamente violazione dei principi di correttezza professionale[44], poiché qualsiasi violazione della norma giuridica implica anche la commissione di un atto di concorrenza sleale per la ragione che la violazione determina una distorsione nel funzionamento del principio di uguaglianza delle condizioni di gara fra concorrenti e procura un vantaggio grazie al compimento di atti vietati dall’ordinamento[45].

Diversamente, secondo l’opinione dominante, la violazione di norme pubblicistiche non costituisce di per sé stessa concorrenza sleale[46]. Quindi, affinché la violazione di norme di diritto pubblico possa costituire un’ipotesi di illecito concorrenziale è necessario che il concorrente, per mezzo di tale violazione, abbia conseguito un vantaggio rispetto agli altri concorrenti[47]. Elemento essenziale è dunque la prova del vantaggio competitivo ottenuto dall’imprenditore nei confronti dei suoi concorrenti che, invece, rispettano la norma[48].

In questa chiave le norme violate possono distinguersi in tre tipi:

  • quelle che impongono dei limiti all’esercizio dell’attività imprenditoriale,
  • quelle che impongono dei costi e
  • quelle che impongono degli oneri.

È evidente che la violazione delle norme del primo tipo consisterà propriamente in un atto di concorrenza, e perciò potrà ritenersi atto di concorrenza sleale. Così ad esempio il comportamento di chi violi la legge sulle vendite di liquidazione, o di chi tenga aperto il proprio negozio oltre gli orari consentiti.

La violazione di norme che impongono dei costi non consiste in sé in un atto di concorrenza, salvo i casi in cui siano collegate, come antecedente, ad un atto di concorrenza fonte di danno concorrenziale. Ciò accade, ad esempio, qualora un imprenditore pratichi dei ribassi sfruttando i risparmi derivanti dal mancato pagamento delle imposte.

Infine sembra che la violazione di norme che impongono degli oneri non possa di solito considerarsi atto di concorrenza sleale, dato che non solo non consiste in sé in un atto di concorrenza, ma neppure pone l’autore in una situazione di qualsivoglia vantaggio nei confronti dei suoi concorrenti. Si tratta, però, di una lettura incompleta. Infatti, la violazione di norme di siffatta natura può condurre all’illecito concorrenziale allorquando vi si accompagni, come ulteriore presupposto, la violazione di condizioni che comportino dei costi. E ci si riferisce in particolare alle norme che subordinano l’esercizio di determinate attività imprenditoriali all’ottenimento di licenze o autorizzazioni[49].

Nonostante gli sforzi della dottrina, la giurisprudenza non è riuscita ad adottare un orientamento univoco idoneo a individuare le norme pubblicistiche rilevanti ai fini concorrenziali, preferendo valutare le controversie caso per caso, al di là di tipizzazioni inevitabilmente inidonee a comprendere tutte le ipotesi che possono in concreto rilevare come atti di concorrenza sleale[50].

Nel caso di specie, il Giudice della cautela ha ravvisato la violazione di norme che impongono limiti all’attività d’impresa. In particolare è stata accertata la violazione della legge n. 21 del 1992 che, come è noto, disciplina il trasporto pubblico non di linea. A seguito della violazione della normativa che regola tale servizio, Uber ha determinato un’alterazione del mercato soggetto a regolamentazione amministrativa, soprattutto stimolando la presenza di autisti abusivi sulla piazza[51].

Nel caso in esame, oltre alla violazione di norme che prevedono limiti all’attività di impresa, il Giudice ha ravvisato anche la violazione di norme che prevedono costi organizzativi e di gestione: la fissazione da parte di Uber di tariffe sensibilmente più basse rispetto a quelle cui sono soggetti gli esercenti il servizio taxi è consentita dal risparmio dei costi imposti dalle norme amministrative che gli operatori senza licenza non devono sostenere. Tra essi, il Giudice ricorda l’acquisto del veicolo (che è univocamente destinato al servizio pubblico), del tassametro, la stipula di onerosi contratti assicurativi, l’adesione a enti associativi[52]. È evidente come questa mancata soggezione da parte di Uber ai costi previsti per il servizio taxi comporti “un effettivo vantaggio concorrenziale in capo alle società resistenti che concorrono nel loro insieme a definire un comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a determinare uno sviamento di clientela indebito[53]”.

Ai fini dell’applicazione della misura cautelare il Giudice deve valutare, oltre alla sussistenza del fumus boni iuris, che nel caso di specie consiste nella violazione di norme di diritto pubblico, anche la presenza del periculum in mora, a questo proposito il Giudice della cautela ritiene attuale il rischio di pregiudizio. Più in particolare, secondo il Giudice il contesto in cui opera Uber “rivela l’esistenza di un progressivo ma intenso ampliamento della diffusione del servizio stesso, che rende di fatto irrilevante il fatto che esso sia stato lanciato da appena un anno posto che il suo crescente successo e la eccezionale capacità di diffusione che consente la rete telematica in un quadro di intensa promozione del servizio rende attuale e sussistente la necessità di provvedere in via d’urgenza in quanto gli effetti pregiudizievoli nel settore – ove si attendesse l’esito di una causa di merito – risulterebbero non compiutamente risarcibili in termini esclusivamente pecuniari[54]”.

Contro tale provvedimento viene proposto reclamo da parte della società[55]. In tale sede, la multinazionale californiana ribadisce come Uber consista semplicemente “in un’applicazione informatica atta a favorire forme di trasporto condiviso e spontaneo, diverse dai taxi, realizzate direttamente dagli utenti riuniti in un gruppo chiuso definito community. Uber ha predisposto un servizio di matching (un marketplace), destinato a favorire l’incontro tra domanda e offerta di trasporto”.

Simili peculiarità, secondo quanto afferma la multinazionale, sono sufficienti a «confermare il carattere privato del trasporto, in quanto al fine di usufruire del servizio, sia come guidatore che come passeggero, era necessario aderire al gruppo Uber».

La fase di reclamo: Uber è equiparabile al servizio Taxi

Inoltre, la fase di reclamo è contrassegnata dall’intervento ad adiuvandum di una serie di associazioni di consumatori al fine di sostenere la difesa del gruppo Uber[56]. Queste ultime hanno manifestato il loro interesse ad intervenire, soprattutto perché i reali beneficiari dell’atto in questione sono i consumatori e gli utenti, affermando che «l’ordinanza impugnata finirebbe per essere lesiva della autonomia negoziale di utenti e consumatori, comprimendo il libero esercizio della proprietà privata con specifico riferimento alla propria autovettura, nonché privandoli della possibilità di ricorrere a soluzioni di mobilità peers to peers a basso costo». Inoltre, avrebbe dovuto escludersi «l’asserita condotta di concorrenza sleale. Al contrario le condotte delle Società reclamanti e dei loro utenti sono pro-competitive, avendo reso più elastico e concorrenziale un mercato asfittico ed ingessato[57]».

Nonostante tutto, il Giudice del reclamo ha confermato la decisione del precedente Giudice, ritendendo che «il servizio di trasporto offerto dalla piattaforma sia equiparabile, ancorché realizzata con modalità più moderne, al tradizionale servizio di radio-taxi. A nulla rileva ai fini che qui interessano che il servizio di radio-taxi sia svolto tramite risorse umane, mentre quello di Uber sia svolto tramite un proprio algoritmo[58]». Inoltre, a differenza di quanto sostiene la compagnia californiana, il servizio offerto dalla piattaforma non è paragonabile ad un servizio di carsharing. Invero «l’attività di carsharing si inserisce nell’ambito della condivisione di un tragitto e di un’autovettura che il conducente della stessa avrebbe comunque realizzato nel proprio interesse. Al contrario il sistema di UberPop prevede che il driver metta a disposizione la propria vettura per recarsi nell’esatta destinazione scelta di volta in volta dal cliente[59]».

Il provvedimento, prima disposto dal Giudice cautelare e successivamente riconfermato in sede di reclamo, è, almeno dal punto di vista giuridico, ineccepibile. In quanto, l’attività svolta da Uber mediante il servizio UberPop viola le norme pubblicistiche e le previsioni amministrative che regolano il settore del servizio taxi, determinando una concorrenza sleale nei confronti degli operatori del settore in questione[60].

La questione Uber Black: la decisione del Tribunale di Roma

Una volta archiviato il capitolo Uber Pop con i provvedimenti delle Autorità milanesi, nell’ultimo anno si è aperta la questione attinente a Uber Black, affrontata dal Tribunale di Roma in sede cautelare[61].

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Tale pronuncia presenta notevoli analogie con la precedente ordinanza del Tribunale di Milano del 2015. Tant’è che anche i giudici romani accoglievano il ricorso avanzato dalle principali società di gestione dei servizi di radio-taxi e dalle associazioni di categoria, ritenendo fondate le doglianze di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. nei confronti dei ricorrenti da parte del Gruppo Uber[62]. Il Tribunale di Roma, dunque, inibiva a Uber «di porre in essere il servizio di trasporto pubblico non di linea con l’uso dell’app Uber Black, disponendo il blocco di dette applicazioni con riferimento alle richieste provenienti dal territorio italiano».

La reazione della multinazionale californiana è stata immediata. Infatti, contro tale provvedimento veniva proposto reclamo[63]. In tale sede la società Uber  contestava la vigenza di norme di settore che imporrebbero agli esercenti il servizio di noleggio con conducente determinati obblighi – tra cui quello di stazionamento in rimessa[64]. Infatti, parte reclamante evidenziava che l’efficacia di tale intervento normativo è stata sospesa fino al 31 dicembre 2017[65]. Conseguentemente, posto che il quadro normativo vigente consente di affermare l’insussistenza degli obblighi a carico degli esercenti il servizio di noleggio con conducente di stazionamento dei mezzi nelle rimesse e di ricevere le prenotazioni presso queste ultime, allora non può costituire atto di concorrenza sleale la prestazione del servizio di trasporto pubblico non di linea con l’uso dell’applicazione di Uber, non ponendosi in contrasto con i vigenti obblighi legislativi[66].

Per tali ragioni il Tribunale di Roma accoglieva il reclamo presentato dal Gruppo Uber[67], capovolgendo la decisione del 7 aprile 2017 con la quale ordinava lo stop del servizio Uber Black su tutto il territorio italiano.

Situazione futuribile

Lo sviluppo tecnologico ha da sempre costituito il banco di prova della resistenza nel tempo delle norme giuridiche, congeniate ora per allora, ma che come ogni prodotto umano, necessitano di una rivisitazione per confermarne la validità nel tempo attuale[68]. In tal senso ha operato l’Autorità dei Trasporti che ha trasmesso una propria segnalazione al Ministero dei Trasporti, formulando una serie di proposte di modifica della legge n. 21 del 1992 per rendere servizi come Uber compatibili con il servizio di trasporto pubblico[69].

In primo luogo, le proposte normative muovono dal presupposto che il servizio pubblico di Taxi mantenga la attuale connotazione assicurando l’effettuazione della corsa a richiesta e la copertura del servizio nell’arco dell’intera giornata. In particolare, sono conservati i seguenti requisiti volti a contraddistinguere il servizio taxi: la riconoscibilità della vettura, la remunerazione con tariffe amministrate, l’accesso a titolo gratuito a posteggi attrezzati su suolo pubblico ed alle zone a traffico limitato ed il diritto di percorrere le corsie preferenziali dei centri urbani, lo sconto sulle accise per i carburanti. Inoltre, sarebbe doveroso eliminare il divieto di cumulo di più licenze in capo alla medesima impresa esercente il servizio di Taxi.

Riguardo al NCC, l’Autorità condivide la necessità, già evidenziata dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato[70], di ridurre le differenze tra i diversi ambiti del trasporto non di linea per aumentare la concorrenza tra il servizio di taxi e quello di NCC e ridurre, così, alcuni costi anche di natura ambientale.

Si propone, a questo fine, di eliminare l’obbligo che impone al titolare della autorizzazione NCC di fare rientro in rimessa dopo ogni singolo servizio, ritenendo tale vincolo limitativo della possibilità di svolgere l’attività secondo criteri di economicità ed efficienza. L’Autorità, tenendo in considerazione il crescente sviluppo di tecnologie informatiche quali quelle predisposte da Uber, che mettono in connessione la domanda e l’offerta di un servizio di trasporto passeggeri, ritiene necessaria l’introduzione di una specifica regolamentazione dei Servizi Tecnologici per la Mobilità (o STM).

All’interno di tale categoria l’Autorità distingue da un lato, le piattaforme attraverso le quali si promuovono forme di condivisione di servizi di trasporto di natura non commerciale (c.d.“di cortesia”), dall’altro, le piattaforme che offrono servizi tecnologici di intermediazione su richiesta e con finalità commerciale.

Nelle prime, il servizio è reso in modo non professionale da conducenti che condividono, in tutto o in parte, con una o più persone messe in contatto tramite servizi dedicati forniti da intermediari anche attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, un itinerario prefissato dal conducente, percorso con un mezzo di loro proprietà.

Nelle seconde, anche laddove l’attività di conducente sia svolta in modo non professionale, il servizio è reso ad un prezzo che non serve esclusivamente a coprire il costo dell’itinerario percorso, definito su richiesta del passeggero, bensì anche ad assicurare un margine di profitto alla piattaforma ed al conducente. In relazione a quest’ultimo servizio L’Autorità ha proposto di istituire un registro regionale sia degli intermediari sia dei conducenti[71].

Conclusioni

In conclusione, è possibile notare che all’interno della realtà italiana vi sono due dati di fatto oggettivi indiscutibili: da un lato si osserva l’inarrestabile diffusione di forme di mobilità innovative e alternative rispetto al tradizionale servizio taxi e noleggio con conducente e, dall’altro, si appalesa l’esigenza, seppur ancora confinata nel dibattito politico, di una nuova categoria di servizi di trasporto detti “Servizi Tecnologici per la Mobilità”, equiparabile alle “Transportation Network Companies” d’oltreoceano.

Tuttavia, nonostante questa spinta al cambiamento, le norme sulla concorrenza sleale attualmente in vigore rendono il servizio di trasporto predisposto dalla multinazionale californiana in un rapporto anticoncorrenziale rispetto al servizio taxi, così come è regolato dalla legge n. 21 del 1992.


 

Bibliografia

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  2. Mostacci, A. Somma, Il caso Uber: la sharing economy nel confronto tra common law e civil law, Milano, 2016
  3. Rangone, I trasporti pubblici di linea, in S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo, II, Milano, 2003
  4. M.A. Venchi, Trasporti pubblici in concessione, in Enc. Giur., vol. XLIV, 1992
  5. SERAFINI, La concorrenza sleale per la violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso Uber, in Corr. giur., 2016, III, p. 368-383
  6. Vanzetti, V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012, [1] L. Trevisan, G. Cuonzo, Proprietà industriale, intellettuale e IT, Milano, 2013
  7. Ghidini, La concorrenza sleale, Torino, 2001
  8. G.G. Auletta, Della disciplina della concorrenza, in SCIALOJA e BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna-Roma, 1947
  9. Tavolaro, Concorrenza sleale e violazione di norme pubblicistiche, in Dir. ind., 2005, II, p. 203-207
  10. Alvisi, Concorrenza sleale, violazione di norme pubblicistiche e responsabilità, Milano, 1997
  11. Mangini, La vendita sottocosto come atto di concorrenza sleale, in Riv. dir. civ., 1962, I, p. 482
  12. Mimervini, Concorrenza e consorzi, in Trattato di dir. civ., Milano, 1965
  13. L.C. Ubertazzi, Regole pubblicistiche e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., I, 2003, p. 301-312
  14. SALOM, Concorrenza sleale e violazione di norme pubblicistiche, in Riv. dir. ind., II, 2006, p. 300-306
  15. De Propis, L’inibitoria dell’applicazione UberPop e l’intervento delle associazioni dei consumatori nella fase di reclamo cautelare, in Corr. giur., 2016, III, p. 356-358

Sitografia

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http://www.altalex.com/~/media/altalex/allegati/2017/allegati-free/ordinanza-tribunale-roma-uber-taxi%20pdf.pdf

http://www.altalex.com/documents/news/2016/12/20/caso-uber-consulta-boccia-le-limitazioni-ai-trasporti-privati-imposte-dalle-regioni

Note

[1] C. Iaione , La regolazione del trasporto pubblico locale. Bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, Napoli, 2008, p. 147.

[2]E. Mostacci, A. Somma, Il caso Uber: la sharing economy nel confronto tra common law e civil law, Milano, 2016, p. 125.

[3]  Inoltre, C. Iaione, op. cit., p. 156, ricorda un’importante pronuncia del TAR Liguria, sez. II, 14 aprile 1993, n. 117, dove vengono precisate le differenze che intercorrono tra il servizio di taxi e il servizio di noleggio con conducente. Nel caso del servizio di taxi assume prevalenza l’obbligatorietà del servizio, la sua offerta indifferenziata a chiunque ne faccia richiesta, la rigida determinazione delle tariffe e lo stazionamento avviene in un luogo pubblico. Diversamente il servizio di noleggio con conducente in primis non è obbligatorio, secondariamente il corrispettivo è concordato tra utente e vettore, infine le modalità di richiesta del servizio sono differenti.

[4] Secondo N. Rangone, I trasporti pubblici di linea, in S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo, II, Milano, 2003, p. 2266, “i servizi non di linea, in quanto inidonei ad assicurare continuità e regolarità della prestazione, non sono qualificabili come servizio pubblico. Tali servizi sono sostanzialmente liberi e soggetti ad un regime autorizzatorio, la cui intensità varia al variare dell’interesse pubblico soddisfato”. Di è di parere diverso M.A. Venchi, Trasporti pubblici in concessione, in Enc. Giur., vol. XLIV, 1992, p. 1101, l’Autore sostiene che i trasporti non di linea, pur non rispecchiando la nozione tradizionale di servizio pubblico, costituiscono comunque “attività di trasporto pubblico perché di pubblico interesse”.

[5] C. Iaione, op. cit., p. 149.

[6] L’art.5 della Legge 15 gennaio 1992, n. 21, dispone: “I comuni, nel predisporre i regolamenti sull’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea, stabiliscono: il numero ed il tipo dei veicoli e dei natanti da adibire ad ogni singolo servizio; le modalità per lo svolgimento del servizio; i criteri per la determinazione delle tariffe per il servizio di taxi; i requisiti e le condizioni per il rilascio della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e della autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente”

[7] Tripartizione coniata da E. Mostacci, A. Somma, op. cit., p. 127.

[8] L’art.8 della Legge 15 gennaio 1992, n. 21, precisa che “non è ammesso, in capo ad un medesimo soggetto, il cumulo di più licenze per l’esercizio del servizio di taxi ovvero il cumulo della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente. E’ invece ammesso il cumulo, in capo ad un medesimo soggetto, di più autorizzazioni per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente”.

[9] Come richiesto dall’art.116 del codice della strada. “Ai fini del servizio di noleggio con conducente per trasporto di persone, di cui all’articolo 85, comma 2, lettere a), b) c) e  d),  e di  servizio  di  piazza  con  autovetture  con  conducente,  di  cui all’articolo 86, i conducenti, di età non inferiore a ventuno  anni, conseguono un certificato di abilitazione professionale di  tipo  KA, se per la guida del veicolo adibito ai predetti servizi è richiesta la patente di guida di categoria A1, A2 o A, ovvero di  tipo  KB, se per la guida del veicolo adibito ai predetti servizi è richiesta  la
patente di guida di categoria B1 o B”.

[10] L’art. 11 prosegue sottolineando che “il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale”.

[11] Successivamente è stata adottata la Legge n. 248 del 2006.

[12] Art. 6 lettera b), legge n. 248 del 2006: “bandire concorsi straordinari in conformità alla vigente programmazione numerica, ovvero in deroga ove la programmazione numerica manchi o non sia ritenuta idonea dal comune ad assicurare un livello di offerta adeguato, per il rilascio, a titolo gratuito o a titolo oneroso, di nuove licenze da assegnare ai soggetti in possesso dei requisiti stabiliti dall’articolo 6 della citata legge n. 21 del 1992, fissando, in caso di titolo oneroso, il relativo importo ed individuando, in caso di eccedenza delle domande, uno o più criteri selettivi di valutazione automatica o immediata, che assicurino la conclusione della procedura in tempi celeri. I proventi derivanti sono ripartiti in misura non inferiore all’80 per cento tra i titolari di licenza di taxi del medesimo comune; la restante parte degli introiti può essere utilizzata dal comune per il finanziamento di iniziative volte al controllo e al miglioramento della qualità degli autoservizi pubblici non di linea e alla sicurezza dei conducenti e dei passeggeri, anche mediante l’impiego di tecnologie satellitari”.

[13] Inoltre viene disposto dall’art. 6 lettera a), legge n. 248 del 2006 “Per l’espletamento del servizio integrativo di cui alla presente lettera, i titolari di licenza si avvalgono, in deroga alla disciplina di cui all’articolo 10 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, di sostituti alla guida in possesso dei requisiti stabiliti all’articolo 6 della medesima legge. I sostituti alla guida devono espletare l’attività in conformità alla vigente normativa ed il titolo di lavoro deve essere trasmesso al comune almeno il giorno precedente all’avvio del servizio”.

[14] Art. 6 lettera g, legge n. 248 del 2006.

[15] C. Iaione, op. cit., p. 182.

[16] Art. 28 c. 1 quater Decreto legge 30 dicembre 2008, n.207, convertito nella Legge 27 febbraio 2009, n.14.

[17] le sanzioni sono le seguenti: con un mese di sospensione dal ruolo di cui all’articolo 6 alla prima inosservanza; con due mesi di sospensione dal ruolo di cui all’articolo 6 alla seconda inosservanza; con tre mesi di sospensione dal ruolo di cui all’articolo 6 alla terza inosservanza; con la cancellazione dal ruolo di cui all’articolo 6 alla quarta inosservanza.

Da notare che, per esplicita previsione, queste sanzioni non sostituiscono quelle previste dagli articoli 85 e 86 del codice della strada. La prima colpisce chi “adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso ovvero, pur essendo munito di autorizzazione, guida un’autovettura adibita al servizio di noleggio con conducente senza ottemperare alle norme in vigore, ovvero alle condizioni di cui all’autorizzazione, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 a euro 674. la violazione medesima importa la sanzione amministrativa della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a otto mesi”; invece la seconda punisce chi “senza avere ottenuto la licenza prevista dall’articolo 8 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, adibisce un veicolo a servizio di piazza con conducente o a taxi è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.761 a euro 7.045. Dalla violazione conseguono le sanzioni amministrative accessorie della confisca del veicolo e della sospensione della patente di guida da quattro a dodici mesi”.

[18] A questo proposito si può ricordare la posizione dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, Disciplina dell’attività di noleggio con conducente, in Bollettino settimanale, 2009, n. 7. “In definitiva, le innovazioni normative prospettate sono suscettibili di introdurre numerosi elementi di rigidità nella disciplina che regola il servizio di noleggio con conducente, producendo, in particolare, compartimentazioni territoriali idonee a limitare sensibilmente il numero di operatori presenti su un dato Comune, con l’effetto di ridurre l’offerta dei servizi di trasporto pubblico non di linea, a danno degli utenti”. Inoltre, “imponendo criteri più stringenti per la concessione delle autorizzazioni allo svolgimento di attività di noleggio con conducente e nuovi obblighi per gli operatori che già svolgono tale attività, in particolare nei confronti dei titolari di licenze rilasciate da Comuni diversi da quello in cui si esegue la prestazione. Simili innovazioni, se adottate, avrebbero l’effetto di limitare sensibilmente la possibilità di accesso all’area territoriale di Comuni diversi da quello che ha rilasciato la licenza”. Per esempio, l’Autorità contesta l’introduzione dell’art. 5-bis, con il quale viene prevista la possibilità per i Comuni di chiedere, per ogni singolo servizio svolto all’interno del territorio comunale o delle aree a traffico limitato, una comunicazione preventiva attestante il rispetto dei requisiti di legge, e, eventualmente, di far pagare l’accesso a quanti svolgano il servizio di noleggio con conducente al di fuori del Comune che ha rilasciato l’autorizzazione.

[19] Art. 7-bis Legge 9 aprile 2009, n.33 “Nelle more della ridefinizione della disciplina dettata dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21, in materia di trasporto di persone mediante autoservizi non di linea, da effettuare nel rispetto delle competenze attribuite dal quadro costituzionale e ordinamentale alle regioni ed agli enti locali, l’efficacia dell’articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, è sospesa fino al 30 giugno 2009”.

[20] [20]< http://www.altalex.com/documents/leggi/2017/02/16/decreto-milleproroghe>; sito consultato il 28.6.2018, “Rinviato fino a fine 2017 il termine per l’emanazione delle norme contro i taxi abusivi da parte del Ministero dei Trasporti. La sospensione dell’efficacia della riforma del 2008 sul trasporto di persone con autoservizi non di linea sarà operativa fino al 31 dicembre 2017”.

[21] Secondo quanto rilevano gli autori E. Mostacci, A. Somma, op. cit., l’azienda californiana è poi sbarcata a Genova (settembre 2014), Torino (novembre 2014), Padova (dicembre 2014) e Firenze (settembre 2015).

[22]< https://www.uber.com/it/ride/uberblack/>; sito consultato il 28.6.2018. È un servizio di noleggio con conducente, che in buona sostanza si differenzia dal servizio tradizionale solo per il fatto di servirsi di una piattaforma tecnologica per mettere in contatto gli autisti e gli utenti.

[23] Giudice di pace Milano, 7 novembre 2013, n. 113858. Nel caso di specie, l’autista, dopo aver ricevuto la richiesta di trasporto sul cellulare, mentre sostava nel centro di Milano, si stava dirigendo a prelevare il passeggero, motivo per cui gli è stata contestata la violazione degli artt. 3 e 11 della legge quadro del 1992.

[24] E. Mostacci, A. Somma, op. cit., p. 134.

[25] Giudice di pace Milano, 7 novembre 2013, n. 113858.. La sentenza prosegue statuendo che “non può che sottolinearsi che il sistema di noleggio con conducente nelle città in cui è operativo il servizio taxi non può effettuarsi con le modalità dell’applicazione introdotta da Uber, che lo assimila al servizio di radio-taxi. Infatti, tramite tale applicazione l’utente richiede il servizio dal luogo in cui si trova e l’autista più prossimo, individuato da un sistema di geolocalizzazione, si reca a prelevarlo per iniziare il trasporto, così di fatto realizzandosi la medesima specifica modalità operativa del servizio di radio-taxi e così violando la norma che impone che, nel caso di noleggio con conducente, il trasporto individuale deve originare presso la sede del vettore, e che vieta al conducente del servizio di noleggio con conducente di sostare sulla pubblica via nell’attesa di clienti”.

[26] <https://www.uber.com/en-IT/>; sito consultato il 28.6.18. Tale servizio è stato lanciato in Italia nel maggio 2014. Come si ricorda, tale servizio prevede che gli autisti incaricati del trasporto degli utenti non siano dei soggetti muniti di licenza, ma dei guidatori che mettono a disposizione il proprio mezzo privato, in cambio del pagamento di una percentuale sul corrispettivo pagato dall’utente. Motivo per cui, sin da subito, tale servizio ha incontrato la resistenza dei tassisti, che hanno accusato Uber di fare concorrenza sleale.

[27] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, p. 245, con Nota di Giove e Comelli.

[28] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, pp. 245 s., con Nota di GIOVE e COMELLI.

[29] S. Serafini, La concorrenza sleale per la violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso Uber, in Corr. giur., III, 2016, p. 368 s.

[30] A, Vanzetti, V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012, p. 12.

[31] L. Trevisan, G. Cuonzo, Proprietà industriale, intellettuale e IT, Milano, 2013, p. 24.

Sul punto si veda Cass. n. 17144, 22-07-2009, in Giur. dir. ind., 2009, p. 224.

[32] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, p. 245 s., In aggiunta, il giudice sottolinea come UberPop non possa essere nemmeno considerata una forma di carsharing, in quanto questa presuppone che “l’autista abbia un suo percorso personale da svolgere- sia in città per andare al lavoro che in occasione di un viaggio verso una specifica destinazione e chieda a terzi di condividere il medesimo percorso al fine di dividere le relative spese. In genere le quote richieste ai partecipanti si riducono alla divisione del prezzo della benzina e dei pedaggi autostradali con conseguente inapplicabilità delle sanzioni previste dall’art. 82 C.d.S., non trattandosi di uso del veicolo nell’interesse di terzi mentre nel servizio UBER POP l’autista non ha un interesse personale a raggiungere il luogo indicato dall’utente e, in assenza di alcuna richiesta, non darebbe luogo a tale spostamento”. Inoltre,

[33] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, pp. 245 s., , con Nota di Giove e Comelli

[34] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, pp. 245 s., , con Nota di Giove e Comelli

Il Tribunale prosegue la sua analisi circa il corrispettivo ponendo l’accento anche sulla surge pricing policy “In effetti il meccanismo del “Surge” determina un aumento dei prezzi in connessione di un prevedibile aumento della domanda, sia in relazione a particolari eventi (manifestazioni, scioperi ecc.) che rispetto al livello generale della domanda registrabile in aree diverse della città, così sganciandosi obbiettivamente quanto pagato dall’utente da qualsiasi parametrazione pertinente ad un presunto rimborso spese che evidentemente non può essere influenzato da tali eventi occasionali ed esterni”.

[35] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, 245, con Nota di Giove e Comelli.

[36] S. Serafini, La concorrenza sleale per la violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso Uber, in Corr. giur., III, 2016, p. 372 s.

[37] G. Ghidini, La concorrenza sleale, Torino, 2001, p. 54.

[38] S. Serafini, La concorrenza sleale per la violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso Uber, in Corr. giur., III, 2016, p. 373.

In questo senso si veda Tribunale di Roma 10-02- 2012, in Giur. ann. dir. ind., 2012, 1, p. 653 ss., in cui il titolare di alcuni marchi importanti citava in giudizio, per contraffazione di marchio e concorrenza sleale, una società alberghiera nei cui locali, all’interno di una vetrina, erano stati esposti prodotti che recavano segni distintivi integranti contraffazione di marchi altrui, ed inoltre aveva incaricato la reception dell’albergo di dare informazioni sulla merce esibita.

[39] S. Serafini, La concorrenza sleale per la violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso Uber, in Corr. giur., III, 2016, p. 373.

[40] S. Serafini, La concorrenza sleale per la violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso Uber, in Corr. giur., III, 2016, p. 374.

[41] art. 2598 n. 3 c.c. “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi [2563, 2568, 2569] e dei diritti di brevetto [2584, 2592, 2593], compie atti di concorrenza sleale chiunque: si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

[42] A. Vanzetti, V. Di Cataldo, op. cit.,p. 12.

[43] A.Vanzetti, V. Di Cataldo, op. cit.,p. 112.

[44] Si veda G.G. Auletta, Della disciplina della concorrenza, in SCIALOJA e BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna-Roma, 1947,  p. 171 “Poiché non può ritenersi che il legislatore abbia inteso tutelare le norme della correttezza professionale meglio delle norme giuridiche, deve concludersi che ogni esplicazione di attività commerciale che violi una qualunque norma giuridica, è anche atto di concorrenza sleale in quanto mezzo efficace per la conquista della clientela; e cioè per identico scopo di non creare, per gli altri concorrenti, l’interesse a compiere identiche violazioni”. Si veda Cass. 21 aprile 1983, n. 2743, in Giur. ann. dir. ind., 1983, p. 1593, “l’offerta di beni o di servizi a prezzi inferiori a quelli praticati dalle imprese concorrenti, con conseguente sviamento ed accaparramento della clientela, rientra nella lecita competizione di mercato allorché si mantenga nei limiti di una normale competizione, con l’applicazione di ribassi effettivi, conseguenti ad una diminuzione del profitto d’impresa ovvero ad una reale riduzione dei costi, ma diventa illecita, venendo ad integrare un’attività di concorrenza sleale, in quanto non conforme ai principi della correttezza professionale, quando si concreta nella pratica del cosiddetto <dumping> interno, mediante il sistematico svolgimento antieconomico dell’attività d’impresa e l’artificioso abbattimento sotto costo dei prezzi, non giustificato dalle obiettive condizioni della produzione, poiché con ciò da un lato viene ad essere subdolamente ed illusoriamente fuorviato il giudizio del consumatore, e dall’altro vengono ad essere infrante le regole su cui gli operatori economici confidano, affrontando il mercato nella misura consentita dalla produttività del sistema e dalle generali condizioni obiettive della produzione”. Dello stesso avviso Trib. Bologna 16-01-1979, in Giur. dir. ind., 1979, p. 256, “la violazione di una norma di diritto pubblico posta a tutela del mercato costituisce un illecito che è causa immediata di danno ai concorrenti e pertanto viola l’art. 2598 n. 3 c.c.”. Oppure Trib. Padova 31-12-1979, in Giur. dir. ind., 1979, p. 867, “va configurato quale atto di concorrenza sleale a norma dell’art. 2598 n. 3 c. c., l’esercizio del ramo assicurativo della responsabilità civile automobilistica da parte di una società di mutuo soccorso, malgrado il divieto legislativo e la mancanza della specifica autorizzazione del ministero per l’industria e il commercio, e con la applicazione di tariffe inferiori a quelle imposte dall’autorità amministrativa”.

[45] L. Tavolaro, Concorrenza sleale e violazione di norme pubblicistiche, in Dir. ind., 2005, II, p. 204.

[46] C. Alvisi, Concorrenza sleale, violazione di norme pubblicistiche e responsabilità, Milano, 1997, p. 202 s.s. L’Autore espone che “non vi è luogo a discorrere di scorretta concorrenza quando l’inosservanza di precetti imperativi non prefiguri, neppure indirettamente, un mezzo volto a conseguire vantaggi economici” e, inoltre, aggiunge che si tratta di un “nesso di occasionalità necessaria” che deve intercorrere fra illecito (pubblicistico) e danno concorrenziale, così da realizzare il “discrimen” fra mero illecito amministrativo o penale e concorrenza sleale; con la precisazione che “l’idoneità della violazione di norme pubblicistiche ad integrare la concorrenza sleale richiede, dunque, una duplice verifica. Sotto il profilo causale occorrerà verificare se essa integri, per la sua inerenza al compimento di atti o allo svolgimento di attività in concorrenza, occasione condizionante il pericolo incombente sull’altrui azienda. Mentre, sotto il profilo del criterio di imputazione della responsabilità, occorrerà verificare se il precetto imperativo violato persegue il contemperamento dell’attività economica cui inerisce la violazione a fini di utilità sociale, sì che la deviazione dell’atto o dell’attività da quei fini possa apprezzarsi come professionalmente scorretta”.

  1. Mangini, La vendita sottocosto come atto di concorrenza sleale, in Riv. dir. civ., 1962, I, p. 482 s.s.. L’Autore afferma che la violazione di norme di diritto pubblico non costituisce di per sé atto di concorrenza sleale, poiché la qualifica di slealtà deve fondarsi sui criteri previsti dall’art. 2598 c.c.. Di conseguenza la vendita di prodotti in evasione di norme doganali può qualificarsi atto di concorrenza sleale solo quando provochi una situazione dannosa per il concorrente, come l’indebita riduzione dei prezzi di mercato o l’eliminazione del concorrente stesso.

Dello stesso avviso è G. Mimervini, Concorrenza e consorzi, in Trattato di dir. civ., Milano, 1965, p. 38 s.s., il quale afferma che tendenzialmente “l’atto di concorrenza compiuto con modalità vietate dalla legge, deve ritenersi sleale solo quando tali modalità appaiono non conformi ai principi di correttezza professionale”.

[47]  C. Alvisi, op. cit., p. 236. L’Autore sottolinea come “la violazione di norme pubblicistiche è di per sé irrilevante ai sensi dell’art. 2598 c.c., salvo che venga usata quale mezzo al fine ed incida direttamente sulla situazione concorrenziale”. Così emerge dalla pronuncia del Tribunale di Genova del 29-06-1992. Nel caso di specie viene in considerazione la commercializzazione del whisky scozzese sotto la denominazione generica di whisky, al fine di beneficiare di una minor aliquota IVA. Il Tribunale ha escluso la sussistenza di illecito concorrenziale, poiché l’elusione delle disposizioni concernenti la denominazione merceologia del prodotto non è idonea ad incidere direttamente sulla situazione di mercato. Secondo il Tribunale l’immediata incidenza sulla situazione di concorrenza si può ravvisare solo se “un prodotto oggettivamente identico per qualità, caratteristiche o provenienza a quello offerto dalla concorrenza viene messo sul mercato con espressa indicazione di tali caratteristiche ma ad un prezzo inferiore”.

[48] L. Trevisan, G. Cuonzo, op. cit., p. 53.

A titolo esemplificativo si vedano le seguenti pronunce: Trib. Torino 17-08-2011, in Dir. ind. 2012, p. 37, “la semplice prova della violazione da parte del concorrente di una o più norme pubblicistiche di settore non dimostra, di per sé, che a quella violazione corrisponda anche un atto di concorrenza sleale, in quanto le norme di cui si segnala la violazione non sono poste direttamente a tutela della concorrenza tra imprenditori privati ma hanno ad oggetto la tutela di altri interessi di rilevanza pubblicistica e deve perciò essere dimostrato che da questa violazione sia derivato un ingiusto svantaggio competitivo al concorrente che, invece, rispetta le normative di settore e ne sopporta i costi”. Trib. Torino 22-05-2007, in Giur. it. 2008, p. 132, “La violazione di norme pubblicistiche costituisce comportamento professionalmente scorretto, e quindi concorrenza sleale sanzionata a sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c., quando la violazione della norma in sé produce il vantaggio concorrenziale lamentato e quindi quando la violazione influenza i rapporti di mercato tra imprenditori o tra imprenditori e consumatori, danneggiando le aziende che operano nel settore in conformità delle regole pubblicistiche vigenti. Ciò si verifica anche quando un’impresa pone sul mercato un prodotto che in tale momento è tuttora privo dei requisiti previsti dalla normativa pubblicistica ed acquisisce i relativi ordini”. Orientamento consacrato anche dalla S.C., Cass. 27-04-2004, n. 8012, in Dir. ind., 2005, p. 203, con nota di L. Tavolaro, “i comportamenti lesivi di norme di diritto pubblico non integrano, di per sé stessi, atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. Tuttavia, la violazione delle norme pubblicistiche è sufficiente ad integrare la fattispecie illecita quando essa è stata causa diretta della diminuzione dell’altrui avviamento ovvero quando essa, di per sé stessa, anche senza un comportamento di mercato, abbia prodotto il vantaggio concorrenziale che non si sarebbe avuto se la norma fosse stata osservata”.

[49] A. Vanzetti, V. Di Cataldo, op. cit., p 113 s.s.

Orientamento, tuttavia, criticato da L.C.Ubertazzi, Regole pubblicistiche e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., I, 2003, p. 308, in quanto, secondo l’Autore, non mancano casi in cui “la violazione di una regola pubblicistica può essere ricondotta contemporaneamente a più di una delle tre ipotesi distinte da Vanzetti. Così ad esempio la l. n. 675 del 1996 della privacy autorizza il trattamento dei dati personali sensibili altrui soltanto con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante: con una regola assistita da sanzioni anche penali. Questa regola impone all’impresa anzitutto un onere in senso civilistico: perché l’impresa che abbia interesse a trattare dati sensibili è obbligata a chiedere ed ottenere previamente la relativa autorizzazione del Garante. La medesima regola impone inoltre un limite all’attività dell’impresa: che non può lecitamente trattare dati senza l’autorizzazione previa del Garante. La medesima regola pone infine un costo a carico dell’impresa: e precisamente il costo dei tempi e degli oneri economici di ogni genere necessari a chiedere ed ottenere l’autorizzazione del Garante. E se ben vero la tripartizione proposta da Vanzetti non indica chiaramente un criterio univoco di qualificazione di casi del genere di quello qui ipotizzato della violazione di norme relative al trattamento di dati personali”. Quindi, L.C. Ubertazzi, op. cit., p. 309 s. aderisce a quella tesi che “qualifica come concorrenza sleale la violazione della disciplina pubblicistica della concorrenza”. In particolare l’Autore propone i seguenti esempi a sostegno della sua tesi: “a) la disciplina delle autorizzazioni amministrative allo svolgimento di attività bancarie è certo dettata per tutelare gli interessi pubblici alla sicurezza del risparmio ed alla stabilità monetaria: ma altrettanto sicuramente introduce una barriera all’ingresso al mercato bancario, e dunque disciplina uno dei punti tipicamente regolati dalla disciplina della concorrenza, qual è quello dell’accesso e del perimetro del mercato; b) la disciplina della professione forense protegge certamente vari interessi pubblicistici alla qualificazione degli operatori della giustizia e dunque alla qualità di quest’ultima. La medesima disciplina regola tuttavia alcuni aspetti del mercato e della concorrenza tra gli avvocati e tra questi ed altri professionisti: istituendo barriere all’ingresso dei relativi mercati e regolando la concorrenza su di essi. E si comprende perciò che questa disciplina sia da tempo sotto esame da parte delle autorità nazionali e comunitarie della concorrenza”.

[50] G. Salom, Concorrenza sleale e violazione di norme pubblicistiche, in Riv. dir. ind., II, 2006, p. 303. Orientamento accolto, a livello dottrinale, da G. Ghidini, op. cit., p. 324, il quale, per l’appunto, esprime la necessità di abbandonare qualsiasi orientamento volto a trarre “univoche conseguenze (in qualsiasi senso) dalla violazione di norme pubblicistiche” a favore, invece, di un orientamento volto a valutare “caso per caso l’eventuale contrarietà di un comportamento ai principi della correttezza professionale”. Quindi l’Autore invita ad abbandonare il dogma “violazione di norme pubblicistiche=concorrenza sleale”.

[51] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, 245, con Nota di Giove e Comelli, “come è noto il servizio di taxi per trasporto di persone è soggetto al possesso di regolare licenza mediante il rilascio di autorizzazione da parte del comune competente, il quale di occupa anche della determinazione delle tariffe. Non solo: l’utilizzo di un autoveicolo per il servizio di piazza per il trasporto di terzi in assenza di detta specifica autorizzazione comporta l’applicazione di apposita sanzione amministrativa prevista dall’art. 86 C.d.s.”

[52] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, 245, con Nota di Giove e Comelli, cit.

[53] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, Dir. ind., 2015. A conferma della sussistenza dell’illecito concorrenziale, il giudice milanese rileva che l’intento e l’effetto della società californiana sia quello di “offrire un’alternativa più economica al servizio taxi, e cioè di esaudire ad un prezzo minore la medesima esigenza di spostamento dell’utente da qualsiasi punto di partenza fino ad una destinazione da esso prescelta.

Ciò consente di ritenere in tutta evidenza che sussiste con certezza un’area di soggetti comunque interessati al risparmio sul prezzo della corsa di un taxi – che dunque possano essere sviati dall’utilizzazione del servizio pubblico – che consente anche in via potenziale di ritenere integrato il presupposto proprio dell’illecito concorrenziale relativo alla sostanziale comunanza tra le parti della platea dei consumatori, comunque rilevante anche se parziale”.

[54] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, Dir. ind., 2015. Inoltre, il paventato pregiudizio dedotto dai ricorrenti “ha una sua peculiare e stringente attualità dovuta dalla manifestazione Expo 2015, che pur interessando direttamente la città di Milano appare suscettibile di ampliare anche l’afflusso turistico in altre città italiane tra le quali anche quelle ove operano parte degli odierni ricorrenti”.

[55] Trib. Milano, Sez. spec. impr., ord. 9 luglio 2015, http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2015/05/trib.

[56] L. De Propris, L’inibitoria dell’applicazione UberPop e l’intervento delle associazioni dei consumatori nella fase di reclamo cautelare, in Corr. giur., 2016, III, p. 356. In questa occasione il giudice ha dovuto affrontare la questione dell’ammissibilità dell’intervento del terzo dispiegato dalle associazioni dei consumatori a sostegno del gruppo Uber, offrendo una risposta positiva sulla base della legittimazione riconosciuta a tali associazioni dagli artt. 139 e 140 del codice del consumo. Infatti l’art. 140 conferisce ai soggetti di cui all’art.139 la legittimazione ad agire a tutela degli interessi dei consumatori, potendo richiedere al Tribunale “di inibire gli atti ed i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; nonché di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate”.

[57] Trib. Milano, Sez. spec. impr., ord. 9 luglio 2015, <http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2015/05/trib>; sito consultato il 28.6.2018.

[58] Trib. Milano, Sez. spec. impr., ord. 9 luglio 2015, <http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2015/05/trib>; sito consultato il 28.6.2018.

[59] Trib. Milano, Sez. spec. impr., ord. 9 luglio 2015, http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2015/05/trib; sito consultato il 28.6.2018.

[60] Trib. Milano, Sez. Spec. impr., ord. 25 maggio 2015, in Dir. ind., 2015, 245, con Nota di Giove e Comelli

[61] Trib. Roma, Sez. Spec. impr., ord. 7 aprile 2017, <http://www.altalex.com/~/media/altalex/allegati/2017/allegati-free/ordinanza-tribunale-roma-uber-taxi%20pdf.pdf >; sito consultato il 26.6.2018.

[62] Come approfonditamente analizzato in precedenza, il Giudice, ai fini della configurabilità di un illecito concorrenziale, è chiamato a verificare: in primis, la sussistenza di un rapporto di concorrenza tra le parti in causa; secondariamente, verificare se, ai fini dell’integrazione dell’illecito anticoncorrenziale ex art. 2598 n. 3 c.c., la parte resistente abbia violato norme di diritto pubblico, ottenendo conseguentemente un indebito vantaggio. Anche il Tribunale di Roma giungeva alla medesima conclusione (Trib. Roma, Sez. Spec. impr., ord. 7 aprile 2017) del Tribunale di Milano. Infatti: “Premesso che non ogni violazione di norme pubblicistiche costituisce anche condotta di concorrenza sleale, ma solo quella che determina una posizione di indebito vantaggio con corrispondente pregiudizio dei concorrenti, sussiste l’attività concorrenziale tra le parti, in quanto entrambe dirette ad effettuare un servizio di trasporto non di linea avente come destinatari potenziali la medesima platea di consumatori distribuiti nel medesimo ambito territoriale”. In più, ai fini dell’applicazione della misura cautelare, il Giudice deve valutare la presenza del periculum in mora, ritenuto sussistente anche nel caso di specie. Infatti “Sussiste il periculum in mora quando lo sviamento di clientela, anche solo potenziale, integra gli estremi del pregiudizio irreparabile in considerazione della sua caratteristica di irreversibilità e di pratica difficoltà di una esatta quantificazione del danno e quando l’esistenza della concreta possibilità di un progressivo ed ingente ampliamento dell’attività dei resistenti, favorito anche dalle potenzialità di successo e di diffusione delle tecnologie utilizzate, rende ancora attuale detto pericolo”.

[63] In relazione al quale si esprimeva il Tribunale di Roma con ordinanza del 26 maggio 2017 <https://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2017/05/26/OrdinanzaUber.pdf>; sito consultato il 26.6.2018.

[64]  Trib. Roma, Sez. Spec. impr., ord 26 maggio 2017, p. 11 “La L. n. 21 del 1992 è stata, tuttavia, modificata, ad opera dell’art. 29, comma 1-quater, D. L. n. 207 del 30 dicembre 2008, il quale ha provveduto alla sostituzione integrale di un articolo (art. 3) e di commi di articoli della legge (comma terzo dell’art. 8 e commi terzo e quarto dell’art. 11), nonché all’introduzione di due nuovi articoli (5-bis e 11-bis).

Tali modifiche hanno determinato, nella sostanza un ampliamento degli obblighi originariamente posti a carico degli esercenti del servizio di noleggio con conducente, imponendo agli stessi l’obbligo di disporre: di una sede, di una rimessa o di un pontile situati nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione; il divieto di sostare in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia presente il servizio di taxi; l’obbligo di inizio e termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente presso la rimessa, ove devono essere effettuate le relative prenotazioni; nonché l’obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un “foglio di servizio”.

La nuova normativa ha, poi, previsto, attraverso l’introduzione dell’art. 11-bis, alcune sanzioni amministrative per i casi di inosservanza da parte dei conducenti di taxi e degli esercenti il servizio di noleggio con conducente degli obblighi posti a loro carico dagli artt. 3 e 11”.

[65] Trib. Roma, Sez. Spec. impr., ord 26 maggio 2017, p. 11 “Conseguentemente, la sospensione dell’efficacia disposta dall’articolo 7-bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017″

[66] Trib. Roma, Sez. Spec. impr., ord 26 maggio 2017, p. 18-19.

[67] Trib. Roma, Sez. Spec. impr., ord 26 maggio 2017, p. 19 “Conseguentemente, le censurate condotte poste in essere dagli esercenti il servizio di noleggio con conducente, non ponendosi in contrasto con vigenti obblighi legislativi, non assumono rilevanza ai fini della prospettata violazione delle regole della correttezza professionale, astrattamente idonea a fondare una responsabilità per concorrenza sleale”.

[68] Corte Costituzionale 15-12-2016, n. 265, <http://www.altalex.com/documents/news/2016/12/20/caso-uber-consulta-boccia-le-limitazioni-ai-trasporti-privati-imposte-dalle-regioni>; sito consultato il 28.6.2018.

[69] Atto di segnalazione al Governo e al Parlamento sull’autotrasporto di persone non di linea: taxi, noleggio con conducente e servizi tecnologici per la mobilità, 21 maggio 2015.

[70] Proposta di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014, in Bollettino settimanale, 2014, p. 19, dove viene disposto che “dovrebbero essere aboliti gli elementi di discriminazione competitiva tra taxi e noleggio con conducente in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi”. Conseguentemente è necessario procedere con “l’abrogazione dell’obbligo di ricezione della prenotazione di trasporto per il servizio NCC presso la rimessa (articolo 3, comma 3, e articolo 11, comma 4); l’abrogazione dell’obbligo per il conducente di disporre di una sede, di una rimessa o di un pontile d’attracco necessariamente nel medesimo Comune che ha rilasciato l’autorizzazione (articolo 8, comma 3)”.

[71] Atto di segnalazione al Governo e al Parlamento sull’autotrasporto di persone non di linea: taxi, noleggio con conducente e servizi tecnologici per la mobilità, 21 maggio 2015, p. 6. Tali categorie vengono definite nel modo che segue: “Intermediari” sono le imprese fornitrici di servizi tecnologici per la mobilità che, mediante il ricorso ad una piattaforma tecnologica, mettono in connessione passeggeri e conducenti allo scopo di fornire a richiesta un servizio remunerato di trasporto che si svolge sul territorio nazionale; “conducenti”: i titolari di licenza per il servizio di taxi, i titolari di autorizzazione al servizio di NCC ed i conducenti privati che utilizzino un veicolo di loro proprietà. In quest’ultimo caso, il conducente privato dovrebbe essere un lavoratore occasionale, tenuto al rispetto di un tetto massimo di reddito annuale e ad un limite di lavoro settimanale non eccedente le quindici ore (laddove i turni dei tassisti professionisti possono raggiungere le dodici ore giornaliere).

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