Con l’ordinanza 26770 del 2018 la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal ferimento dell’animale di affezione a seguito di un incidente stradale.
In particolare, è stato riconosciuto solo il risarcimento del danno relativo al costo delle cure dell’animale.
Prima di procedere alla disamina della sentenza appare opportuno indicare brevemente cosa s’intende per animale da affezione e quali tutele vengano apprestate ad esso.
Il concetto di animale da compagnia alla luce dell’ordinamento sovranazionale e interno
Le norme rilevanti in materia si rinvengono principalmente a livello europeo. Uno degli atti che viene in rilievo è rappresentato dalla Dichiarazione universale dei diritti degli animali, firmata a Parigi presso l’Unesco, il 15 ottobre 1978. All’articolo 6 è fornita la definizione di animale d’affezione qualificato come
“ogni animale che l’uomo ha scelto per compagno, il quale ha diritto a una durata della vita conforme alla sua naturale longevità”.
In altri termini un animale può essere qualificato “d’affezione” quando vi è un rapporto di natura propriamente affettiva con l’essere umano destinato tendenzialmente a protrarsi per l’intera durata della vita.
Un secondo atto fondamentale in materia è rappresentato dalla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 1987, di cui l’Italia fu uno dei primi firmatari (per poi però attuarla con oltre vent’anni di ritardo).
La convenzione, dopo aver affermato l’importanza degli animali da compagnia, definisce tale genere di animale come “ogni animale tenuto, o destinato a essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia” (articolo 1), che presenta alcuni diritti fondamentali, tra cui il diritto a non subire inutilmente “dolori, sofferenze o angosce e quello a non essere abbandonato” (articolo 3). Inoltre si considera la persona che se ne occupi “responsabile della sua salute e del suo benessere, dovendo all’uopo fornire all’animale, sostentamento, cure e attenzione” (articolo 4).
L’ultimo dato normativo europeo cui è necessario accennare è il Trattato di Lisbona (che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea del 13 dicembre 2007). Tale trattato ha significativamente definito gli animali in termini di ‘esseri senzienti’ (articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Anche in ambito nazionale non sono mancati interventi normativi di rilievo sul tema in esame.
Tra gli elementi significativi di tale sviluppo normativo è necessario richiamare anzitutto la legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo. In particolare all’articolo 1 si dispone che “lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente”. A essa ha fatto, infine, seguito la legge n. 201/2010, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, normativa di attuazione che è intervenuta ulteriormente sulla disciplina penale e amministrativa della materia in esame.
Da quanto detto può dunque definirsi “animale d’affezione” quel particolare tipo di animale idoneo a instaurare con l’uomo un rapporto consistente in uno scambio affettivo avente, in considerazione di ciò, durata indeterminata e tendenzialmente ricollegata al ciclo vitale dei protagonisti del rapporto stesso. Un rapporto che, per le sue caratteristiche, l’ordinamento considera giuridicamente rilevante. Difatti il risarcimento del danno patrimoniale subito dall’uomo per maltrattamenti o perdita del proprio animale di affezione pare essere del tutto riconosciuto da consolidata giurisprudenza che lo ritiene ammissibile. Quest’ultima adduce ciò ricollegandosi al tradizionale concetto di animale quale res e al rapporto di utilità che lo lega al proprietario. Ben più problematica, come sarà meglio argomentato in seguito, è il riconoscimento di un risarcimento del danno non patrimoniale.
Precedenti giurisprudenziali
La Corte di Cassazione con la presente sentenza ha richiamato la precedente pronuncia n. 14846/2007 con la quale si era esclusa la rilevanza costituzionale del danno patito, quale danno non patrimoniale ai sensi dell’articolo 2059 del codice civile, in conseguenza di un fatto illecito perpetrato nei confronti dell’animale di affezione di una coppia di coniugi. In particolare si trattava dell’uccisione del proprio cavallo.
Orbene la pronuncia in commento s’innesta in un quadro giurisprudenziale che nega del tutto un risarcimento di natura non patrimoniale.
Per comprendere appieno la portata della sentenza in esame e per mera completezza appare doveroso ricordare le quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite del 2008 note come le “decisioni di San Martino”. Ebbene La Suprema Corte nel 2008 statuisce che il danno riconducibile alla sofferenza umana patita a seguito della perdita dell’animale di affezione non può qualificarsi come danno non patrimoniale e come tale non può essere risarcito. Difatti si ritiene che il risarcimento del danno non patrimoniale trovi riconoscimento nel nostro ordinamento solo in tre ipotesi ovvero:
- in presenza di fatto costituente reato;
- in caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore di un danno non patrimoniale;
- in ipotesi di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.
Viene precisato, dunque, che ogni pregiudizio di tipo esistenziale trova il suo limite nell’ingiustizia del danno così come qualificato dal punto di vista costituzionale. Pertanto non si può riconoscere tutela risarcitoria se non si riscontra la lesione di diritti inviolabili della persona.
Caso in esame
Nel caso di specie il padrone di un animale che era stato ferito da un’automobile invocava in primo luogo il risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della compagnia assicuratrice della responsabilità civile auto.
In particolare sosteneva la violazione dell’art. 2043 del codice civile sui danni derivanti da fatto illecito.
In secondo luogo lamentava la lesione dell’art. 2059 del codice civile asserendo che l’evento della lesione avesse comportato la perdita della qualità della vita come garantita dagli articoli 2 e 13 della Costituzione.
Decisione della Corte
La Cassazione nel respingere il ricorso ha affermato che il richiamo generico dei diritti costituzionalmente garantiti e il richiamo di precedenti di merito non adeguatamente motivati non possono offrire elementi per mutare l’orientamento già espresso dalla stessa Corte e sono pertanto non decisive o pertinenti.
Dunque ha statuito che non è qualificabile come danno esistenziale consequenziale la lesione, a seguito di un fatto illecito, dell’animale di affezione.