Con la sentenza in esame la Suprema Corte si è occupata per la prima volta del piano attestato di risanamento previsto dall’art. 67, comma 3, lett. d) Legge Fallimentare: esso appartiene al genus delle convenzioni stragiudiziali adottate dall’imprenditore per rimediare alla situazione della crisi d’impresa. Tale strumento trova la sua ratio nella volontà del legislatore di incentivare il riacquisto – da parte della stessa impresa in crisi – della capacità di stare sul mercato e di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, così esaltando il valore della cd. continuità aziendale.
È dunque in tale prospettiva che si ritiene giustificata l’esenzione dall’azione revocatoria (fallimentare ed ordinaria) per gli atti esecutivi del piano di risanamento.
La questione dibattuta: la mancata verificazione di veridicità dei dati
Nel caso di specie, il curatore aveva richiesto la revoca dell’atto costitutivo di un pegno a garanzia di un finanziamento erogato in ragione di un Piano di risanamento regolarmente attestato, di cui era parte anche la società poi fallita. Il Tribunale aveva tuttavia rigettato il ricorso della curatela, accogliendo invece l’opposizione allo stato passivo del fallimento proposta dalla banca pignoratizia.
Con ricorso in Cassazione, il curatore insisteva per la revoca dell’atto costitutivo di pegno, rilevando l’illegittimità del piano di risanamento stante la mancata verificazione da parte del professionista attestatore della «veridicità dei dati contabili, economici e finanziari sottesi al piano», circostanza che renderebbe quest’ultimo non conforme al modello legale, escludendo così il suo effetto protettivo, riconosciuto illegittimamente dal Tribunale a quo.
In effetti, secondo l’art. 67 lett. d) L.F., così come modificato nel 2012, “un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano“.
Tuttavia la Corte ha precisato che al caso in questione, si applicherebbe ratione temporis la disposizione nella versione del 2009, anteriore alle modifiche di cui al d.l. n. 83 del 2012, ai sensi del quale un professionista iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti avrebbe dovuto attestarne la mera “ragionevolezza”.
Secondo la Corte di legittimità, il professionista si sarebbe dunque dovuto limitare alla verifica dei dati per una valutazione in chiave prospettica e non già ad una attestazione di veridicità dei dati aziendali, divenuto suo preciso dovere solo dopo il 2012; di conseguenza, il principio di diritto invocato dalla Curatela, pur pienamente legittimo dopo la modifica apportata nel 2012, non è riferibile al caso esaminato.
La sindacabilità del piano di risanamento da parte del giudice dell’azione revocatoria: il necessario controllo ex ante sulla fattibilità economica
La Cassazione ha inoltre chiarito che, indipendentemente dalla verificazione dei dati aziendali da parte del professionista attentatore, resta comunque il dovere del giudice circondariale di compiere una valutazione ex ante in ordine alla verifica mirata alla ragionevole possibilità di attuazione del piano di risanamento, senza la quale l’esenzione dalla revocatoria non è ammissibile.
Infatti, a differenza del sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica, il controllo sulla fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo, “può essere svolto solo nei limiti nella verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole” ( vedi Cass. n. 11497/2014)
Invero, nel caso di specie, è mancata quella valutazione di macroscopica valutazione di attitudine del piano alla realizzazione dei suoi scopi.
In conclusione, la Corte ha dunque cassato con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione affinchè riesamini la controversia facendo applicazione del seguente principio di diritto:
“in tema di azioni revocatorie relative agli atti esecutivi del piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, III co, lett d), LF (nel testo vigente ratione temporis, e cioè anteriormente alle modifiche del 2012), il giudice, per ritenere non soggette alla domanda della curatela gli atti esecutivi del piano attestato medesimo ha il dovere di compiere, con giudizio ex ante, una verifica mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di risanamento, del quale l’atto oggetto di revocatoria da parte della curatela costituisce uno strumento attuativo.”