Le Sezioni Unite Civili, con sentenza n. 32790 del 28.11.2023, decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio:
“In materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società”.
Natura oggettivamente tributaria dell’azione di responsabilità prevista dall’art. 36 DPR 602/1973
L’art. 36 del D.P.R. 602/1973 – “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito” (di seguito “DPR”) – stabilisce, in capo al liquidatore della società, l’obbligo di pagare le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, e prevede che egli risponda in proprio se non prova di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.
Ai sensi del comma 5 della stessa norma, tale responsabilità “è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
La questione affrontata dalla SC è la seguente: l’atto di accertamento sopra citato può essere emesso anche se le somme di cui si chiede il pagamento non sono ancora state iscritte a ruolo?
Il liquidatore aveva eccepito in giudizio che il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei suoi confronti è costituito dalla previa iscrizione a ruolo delle somme dovute, ed aveva richiamato un orientamento del Giudice di legittimità secondo cui “la responsabilità del liquidatore, che trova la sua fonte in un’autonoma obbligazione legale, ha tuttavia funzione sussidiaria, in quanto è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia certo che non sono stati soddisfatti con le attività di liquidazione”.
La SC, nel rigettare le difese del liquidatore, ha affermato il seguente principio: “in materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società”.
Si tratta di vedere se tale principio sia effettivamente fondato, oppure se siano individuabili delle norme dalle quali si possa desumere che invece la previa iscrizione a ruolo delle somme costituisce condizione necessaria per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore.
Come già detto, la tesi della SC sembra basarsi sul fatto che l’obbligazione del liquidatore di cui all’art. 36 DPR è di natura civilistica e non tributaria.
Al riguardo, va evidenziato che tale obbligazione, seppur nascente dalla qualifica di “liquidatore di società” e cioè da una fattispecie prevista dal codice civile (artt. 2489 e ss.), ha ad oggetto il pagamento di debiti verso l’erario, e quindi di “imposte”, e pertanto essa trova comunque la propria disciplina nella normativa tributaria, ossia per l’appunto il DPR, che detta le disposizioni sulla riscossione delle “imposte”.
Nel caso di inadempimento a tale obbligazione, dovrebbe quindi applicarsi non già la normativa generale, ossia quella del codice civile, bensì quella speciale, e cioè per l’appunto quella tributaria, in quanto è quest’ultima a dettare la disciplina relativa all’accertamento della responsabilità a seguito dell’inadempimento medesimo: mentre i debiti dei liquidatori nei confronti dei soggetti di diritto privato sono soggetti alla disciplina del codice, quelli di natura tributaria sono soggetti alla disciplina tributaria.
Gli effetti dell’inadempimento sono comunemente legati alla natura del soggetto che, in relazione a tale inadempimento, vanta il diritto ad esigere la prestazione: se la natura del debito è tributaria, è abbastanza normale che i suddetti effetti vengano disciplinati da una norma tributaria; solo nel caso in cui tale norma non vi fosse stata oppure non avesse recato una disciplina specifica sul punto (vuoto normativo), allora si sarebbe potuto (anzi, dovuto) supplire a tale lacuna richiamando la normativa generale civilistica.
Pertanto, l’orientamento – fatto proprio dalla sentenza in esame – secondo cui “la responsabilità per le obbligazioni tributarie non è diretta ma deriva dalla carica rivestita dal liquidatore”, appare di difficile condivisione, in quanto sembra quasi snaturare quello che è il principio di specialità della legge applicabile, il quale, pur traendo origine dall’ordinamento penale (art. 15 c.p.), viene considerato pacificamente come estensibile ad altri settori.
A parere di chi scrive, l’attenzione va spostata sulla normativa tributaria, trattandosi di verificare se, in base a quest’ultima, effettivamente l’azione di responsabilità del liquidatore possa essere esperita anche in mancanza dell’iscrizione a ruolo delle somme non pagate.
Argomenti a favore della tesi secondo cui l’azione di responsabilità ex art. 36 DPR non richiede l’iscrizione a ruolo
1) L’art. 36 DPR prevede che la responsabilità del liquidatore sussiste solo nel caso in cui questi non provi “di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari”. Pertanto, l’adempimento di tale onere probatorio è essenziale affinchè la responsabilità non possa essere fatta valere, e ciò vuol dire che, evidentemente, deve essere instaurato un contraddittorio con il liquidatore, al quale va offerta la possibilità di difendersi.
Tale contraddittorio, però, deve essere stato instaurato necessariamente prima della formazione del ruolo, in quanto quest’ultimo, una volta emesso, non consente una riapertura del procedimento amministrativo atta ad accogliere le difese del liquidatore. Quest’ultimo potrà sicuramente impugnare il ruolo, ma si tratterà di un’impugnazione giurisdizionale, ossia innanzi alla Commissione Tributaria (art. 36 ultimo comma DPR), e non di un ricorso amministrativo.
Pertanto, se l’onere probatorio di cui si tratta non è stato adempiuto prima del ruolo, oppure, sempre prima di tale momento, l’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto che la prova fornita sia sufficiente ad escludere la responsabilità, questa potrà legittimamente essere fatta valere, non potendo il liquidatore ulteriormente difendersi, in via amministrativa, dopo l’emissione del ruolo stesso.
Il liquidatore, pertanto, o fornisce prima del ruolo la prova di aver provveduto ai pagamenti previsti dall’art. 36, oppure dovrà inevitabilmente soggiacere all’azione di responsabilità ivi prevista, appunto perché sono oramai decorsi i termini previsti per dimostrare, mediante contraddittorio amministrativo, che non sussistono i presupposti per l’esercizio di tale azione oppure perché tale dimostrazione non è stata adeguatamente fornita.
2) L’art. 12 comma 3 DPR prevede che nel ruolo debba essere indicato “l’eventuale precedente atto di accertamento”. Da ciò si desume che si può procedere ad iscrizione a ruolo anche se l’accertamento del debito tributario non è stato formalizzato in un precedente atto, giacchè questo viene espressamente indicato come “eventuale” ed inoltre, in mancanza di quest’ultimo, è il ruolo a poter indicare direttamente “la motivazione, anche sintetica, della pretesa”.
Si potrebbe, allora, ritenere che valga anche il contrario: se il debito tributario è già stato accertato con un apposito atto (in tal caso, quello di cui all’art. 36 comma 5 DPR), non occorre, ai fini dell’azione di responsabilità, che poi tale atto sia sfociato nell’emissione del ruolo.
E del resto, ex art. 15 DPR, è possibile procedere ad iscrizione a ruolo anche “in base ad accertamenti non definitivi”: il ruolo può essere formato anche se la violazione non sia stata ancora acclarata in via definitiva, ossia anche quando il contribuente è ancora nei termini per poter proporre impugnazione avverso l’atto di accertamento oppure quando l’impugnazione è stata proposta mediante ricorso amministrativo ma non è ancora stata decisa. Pertanto, non è l’iscrizione a ruolo a stabilire che il liquidatore ha commesso un illecito e che quindi va esercitata nei suoi confronti l’azione di responsabilità, dal momento che l’iscrizione può avvenire anche in ordine a crediti il cui accertamento è ancora in fase di definizione. Quindi, non è il ruolo a determinare il presupposto per l’esercizio della suddetta azione, e, di conseguenza, il liquidatore non può sostenere che, fin quando non c’è stata iscrizione a ruolo, egli non è perseguibile: tale motivazione, alla luce dell’art. 15 DPR, è inconsistente.
3) L’art. 20 DPR, nel disciplinare gli interessi del debito tributario, stabilisce che questi si applichino a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario del ruolo nel quale l’impresa è iscritta. Gli interessi, quindi, decorrono non dalla data dell’iscrizione a ruolo, ma da un momento precedente, ossia quello della scadenza del pagamento.
A norma dell’art. 1282 c.c., sono proprio i crediti “esigibili” a produrre “interessi di pieno diritto”, e siccome, nel caso di cui all’art. 20 DPR, tali interessi si generano a partire dalla data di scadenza del pagamento (e non dalla data, successiva, di formazione del ruolo), se ne desume che il credito nei confronti del liquidatore è “esigibile” a partire dalla suddetta scadenza, e che quindi anche la relativa azione di responsabilità può essere esercitata a decorrere da tale scadenza, senza dover attendere l’emissione del ruolo.
Argomenti a favore della tesi secondo cui, ai fini dell’azione di responsabilità del liquidatore, è necessario che le relative somme siano state iscritte a ruolo
1) A norma dell’art. 10 DPR, per “ruolo” si intende “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario”.
Esso, pertanto, è lo strumento mediante cui l’Agenzia delle Entrate affida a terzi (appunto, il concessionario) il compito di riscuotere somme relative a debiti che, evidentemente, devono essere state già accertati in via definitiva.
“Dare mandato per la riscossione” presuppone aver accertato che nulla osta al soddisfacimento del credito tributario, ragion per cui il creditore adesso ha “il diritto di ottenere il pagamento della somma”, poiché tale pagamento non è soggetto né a termini né a condizioni e quindi è “esigibile”.
La domanda è: affinchè possa esercitata l’azione di responsabilità del liquidatore, è necessario che le somme da questi dovute siano state individuate come “riscuotibili”, oppure è sufficiente che le stesse siano state semplicemente “accertate”?
L’art. 19 DPR prevede che può essere concesso il beneficio della ripartizione del pagamento delle somme “iscritte a ruolo”.
Concedere al debitore il beneficio della rateazione presuppone che il credito di cui si chiede il pagamento sia già stato accertato come “esigibile”. Se, invece, il credito è ancora sottoposto a termini o condizioni e quindi non è ancora divenuto esigibile, non avrebbe senso concedere il beneficio del pagamento rateale in quanto non è ancora sussistente il presupposto della “riscuotibilità” del credito, e quindi si accorderebbe al debitore una dilazione per un pagamento che ancora non si sa se potrà essere riscosso o meno. La dilazione comporta l’obbligo di pagare, a valere su ciascuna rata, degli interessi, e chiedere il pagamento di interessi su un credito che non è ancora esigibile sarebbe illegittimo alla luce dell’art. 1282 c.c., a norma del quale possono produrre interessi di pieno diritto solo i crediti che siano “esigibili”.
Ebbene, l’art. 19 DPR non prevede che la dilazione (la quale, come appena visto, può essere concessa solo su crediti “esigibili”) possa essere accordata anche per debiti che siano stati accertati con un atto precedente il ruolo; essa stabilisce che tale beneficio può essere concesso soltanto per le somme “iscritte a ruolo”.
Cosa vuol dire questo? Che soltanto le suddette somme sono effettivamente “esigibili”, e che quindi, finchè non vi è tale esigibilità (e cioè fin quando non viene emesso il ruolo), non può essere esercitata l’azione di responsabilità di cui all’art. 36 DPR.
2) L’art. 25 comma 2 DPR prevede che “la cartella di pagamento, redatta in conformita’ al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procedera’ ad esecuzione forzata”.
La formazione del ruolo è il presupposto per l’emissione della cartella di pagamento, sulla base della quale viene poi attivato il procedimento esecutivo nel caso in cui il contribuente non dovesse adempiere: il ruolo sancisce l’esigibilità della riscossione, mentre il processo esecutivo è lo strumento mediante cui la riscossione ha luogo. Prima dell’iscrizione a ruolo, la pretesa non è esigibile, e quindi non vi è il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore.
3) Ai sensi dell’art. 1243 c.c., la compensazione si verifica solo tra debiti che sono “egualmente esigibili”.
Ebbene, l’art. 28 quater DPR prevede che i crediti “esigibili” maturati dall’appaltatore nei riguardi della stazione appaltante possano essere compensati “con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo”.
Di conseguenza, per effetto dell’art. 1243 c.c., le predette somme debbono essere necessariamente “esigibili”, altrimenti verrebbe a mancare il presupposto previsto per la compensazione, e cioè appunto la “esigibilità” di entrambi i debiti.
Pertanto, il contribuente può compensare un debito solo quando le somme che ne sono oggetto siano state iscritte a ruolo, ossia soltanto quando tali somme siano “esigibili”.
Ora, ci si deve porre questa domanda: che differenza c’è tra “compensare un debito mediante un controcredito” e “dimostrare di aver provveduto al pagamento che l’art. 36 DPR prevede al fine di sottarsi all’azione di responsabilità”?
A parere di chi scrive, nessuna, in quanto, in entrambi i casi, il debitore (nel nostro caso, il liquidatore) riesce a non far venire ad esistenza il presupposto previsto per la richiesta di pagamento del credito (nel nostro caso, per l’azione di responsabilità ex art. 36 DPR) e quindi riesce a neutralizzare la pretesa del creditore.
La sostanziale “identità finalistica” che lega la compensazione di un controcredito e la dimostrazione, da parte del liquidatore, di aver provveduto ai pagamenti previsti dall’art. 36 al fine di evitare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei suoi confronti, comporta questo: come è necessario che le somme da compensare (ossia il debito tributario) siano state iscritte a ruolo, così è necessario che le somme richieste al liquidatore siano state iscritte a ruolo.