La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10289 del 20 maggio 2015 ha avuto modo di specificare i contenuti del dovere di diligenza dell’avvocato nell’esercizio del proprio mandato cui è tenuto ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c.
Nella fattispecie, l’attrice conveniva in giudizio il proprio avvocato, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali per negligente condotta professionale. In particolare, essa assumeva che il suddetto convenuto, suo procuratore in una causa per il risarcimento danni da lei subiti per mancata messa in opera ed eseguito collaudo di una lavatrice industriale, avrebbe dovuto aderire all’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla società convenuta, anziché contrastarla infondatamente, facendo così protrarre per ulteriori dieci anni il giudizio conclusosi con una declaratoria di incompetenza. Inoltre, l’attrice deduceva che l’avvocato aveva chiamato in causa come terzo la ditta che aveva effettuato il trasporto della lavatrice, sebbene il diritto da tutelare fosse già prescritto, come poi di fatto rilevato dalla chiamata in causa.
Vittorioso in primo grado, a seguito del giudizio di gravame l’avvocato veniva condannato al pagamento, in favore dell’attrice, di una somma di denaro a titolo di risarcimento danni. Impugnava, così, la sentenza di secondo grado avanti la corte di legittimità lamentando, tra le altre, l’omessa valutazione da parte della corte territoriale della circostanza secondo cui che la scelta di procedere alla chiamata del terzo era stata concordata tra il professionista e la cliente e da questa approvata.
Chiedeva, pertanto, che fosse cassata la sentenza, in quanto l’attrice non aveva fornito la prova dell’omessa informazione del professionista e, pertanto, il rischio di una prevedibile eccezione di prescrizione formulata dal chiamato doveva imputarsi alla sola cliente, con esclusione di qualsiasi colpa del’avvocato.
La Corte di Cassazione, ribadendo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha affermato che la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell’art. 1176 comma 2 c.c., secondo cui “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Orbene, secondo la Corte, tale violazione, ove consista nell’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è nè esclusa nè ridotta per la circostanza che l’adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale.
L’avvocato, infatti, all’atto del conferimento del mandato e nel corso dello svolgimento del rapporto, non si deve limitare ad assolvere al dovere di informazione del cliente, ma anche a quelli di sollecitazione e dissuasione dello stesso.
Rientra, quindi, nel concetto di diligenza dell’avvocato, la cui violazione dà luogo a responsabilità per negligente condotta professionale, il dovere di sconsigliare il cliente dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole.
(Corte di Cassazione, III Sezione civile, sentenza n. 10289 del 20 maggio 2015)