Un avvocato è legittimato ad incassare per il proprio cliente in forza della sola procura alle liti e senza una specifica autorizzazione?
Lo ha chiarito il Tribunale di Roma con la sentenza 7 aprile 2020, n. 5840.
Il caso in esame
Veniva pronunciata dal Tribunale Civile di Roma sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro. I soccombenti pagavano nelle mani del difensore (rappresentante tecnico e non anche sostanziale) della parte vittoriosa. Tale difensore era munito di procura alla lite, che non lo legittimava tuttavia a ricevere, in nome del rappresentato vittorioso, il pagamento della somma liquidata nella sentenza.
Quest’ultimo, pertanto, domandava emettersi decreto ingiuntivo contro i soccombenti, che non avevano adempiuto nelle mani del legittimo destinatario del pagamento, e che dunque erano obbligati ad eseguire un nuovo pagamento all’intimante, con efficacia estintiva.
I debitori ingiunti promuovevano opposizione, eccependo l’avvenuta estinzione del debito. Interveniva nel giudizio di opposizione il difensore dell’intimante: il difensore dichiarava di aver ricevuto in pagamento la somma liquidata, e di averla imputata, d’accordo con l’intimante, a pagamento di debiti pregressi da ministero ed assistenza legale, rimasti fino allora insoluti. Il difensore inoltre domandava, nel giudizio di opposizione in corso, la condanna dell’intimante al pagamento del saldo delle spese legali, che pure residuava dopo l’imputazione.
Il Tribunale considera che la procura alla lite non conferisce il potere di ricevere pagamenti in nome e per conto del rappresentato, assistito in giudizio, a meno che questi non rilasci al difensore una speciale autorizzazione. Il pagamento eseguito dagli opponenti, pertanto, non potrebbe essere liberatorio, perché è stato fatto ad un destinatario diverso da quelli che, a norma dell’art. 1188 c.c., sarebbero legittimati a riceverlo. Il Tribunale, inoltre, considera inapplicabile l’art. 1189 c.c., relativo al pagamento liberatorio eseguito nelle mani del rappresentante apparente. Infatti, nel caso di specie, gli opponenti non hanno fornito prova di avere confidato, senza loro colpa, nell’apparente legittimazione a ricevere del difensore. Gli opponenti non hanno dimostrato, cioè, la loro buona fede. Ma, oltre a ciò, è carente la prova del secondo elemento di fattispecie, che deve essere presente, secondo costante interpretazione di legittimità, ai fini dell’applicazione dell’art. 1189 c.c. Gli opponenti, infatti, non hanno provato che l’apparente legittimazione del difensore, se pur presente, sia stata determinata da un comportamento colposo del creditore intimante.
Alla luce di queste considerazioni, dichiarato inapplicabile l’art. 1189 per difetto di prova dei relativi elementi di fattispecie, il Tribunale rigetta l’opposizione, e condanna gli opponenti ad eseguire un (secondo) pagamento soggettivamente regolare, in favore dell’unico legittimato a riceverlo, ossia il creditore intimante.
Le motivazioni della sentenza
La pronuncia in commento si segnala per due considerazioni notevoli. Innanzitutto, viene confermata la posizione della dottrina e della giurisprudenza consolidata, a mente delle quali il difensore, designato con la procura alle liti, acquista un potere di rappresentanza tecnica,[1] che può essere esercitato esclusivamente per la difesa processuale del rappresentato. Più precisamente, la legge stessa (art. 84 c.p.c.) conferisce al difensore, designato nella procura alle liti, il potere di compiere e ricevere tutti gli atti del processo, nel nome e per conto della parte, che si avvale del suo ministero.[2] La procura alle liti, pertanto, valendo come atto di semplice designazione, rileva ai soli fini della concentrazione, in capo al designato, dei poteri conferiti direttamente dalla legge. È dunque la legge, interpretata con argomento a contrario, ad escludere che la procura alle liti produca effetti diversi ed ulteriori, sul piano dei poteri sostanziali, in assenza di esplicita manifestazione di volontà del rappresentato, il quale conserva, con il suo eventuale rappresentante sostanziale, la legittimazione esclusiva di destinatario del pagamento.
Abbiamo visto che la sentenza nega al difensore l’acquisto di poteri di legittimazione sostanziale, per effetto della procura alle liti, a meno che il rappresento, assistito in giudizio, non rilasci specifica autorizzazione, ossia manifesti una specifica volontà in tal senso. Oltre a ciò, la sentenza si spinge ad escludere che la procura alle liti conferisca (non la legittimazione sostanziale ma) la mera legittimazione sostanziale apparente, con la conseguenza che il pagamento eseguito nelle mani del difensore non vale a liberare il solvens nemmeno in forza dell’art. 1189. In ciò constatare, tuttavia, la sentenza in commento mostra di aderire, in modo forse inavvertito, ad un’interpretazione, che vuole l’art. 1189 c.c. astrattamente applicabile al pagamento al rappresentante apparente.
Tale interpretazione è stata a lungo contestata da autorevole dottrina civilistica. Infatti, la rubrica dell’art. 1189, riferendosi al solo pagamento indirizzato al creditore apparente, sembrerebbe negare la legittimazione, sia pure apparente, a ricevere, di un destinatario del pagamento che appaia, senza esserlo, soltanto rappresentante del creditore. La tradizionale diffidenza verso un’interpretazione letterale delle rubriche delle leggi civili, nonché la più generale formulazione del corpo dell’articolo, che descrive il destinatario del pagamento come colui che “appare legittimato a ricever[e] in base a circostanze univoche”, hanno spianato la strada alla dottrina e alla giurisprudenza più liberali.
Non sembra inutile evocare qui le due contrapposte interpretazioni dell’articolo citato.
La posizione più liberale, accolta dalla sentenza in commento, viene giustificata dalla dottrina, tra l’altro, attraverso un’interpretazione combinata degli artt. 1188 e 1189 c.c.[3] Entrambe le disposizioni contengono la locuzione “legittimato a ricever[e]”: questa locuzione, contenuta nell’art. 1189, primo co., dovrebbe avere un significato analogo a quello di identica locuzione del secondo comma dell’art. 1188 c.c. L’art. 1188 sancisce, nel primo comma, che il pagamento è liberatorio quando è fatto, tra gli altri, al creditore o al suo rappresentante sostanziale: questi destinatari vengono richiamati dal secondo comma attraverso la locuzione riassuntiva dei “legittimati a ricever[e]” il pagamento. Logica vuole che analogo richiamo competa all’identica locuzione contenuta nell’articolo immediatamente successivo.
L’opposta interpretazione viene ben riassunta in una sentenza di legittimità,[4] secondo cui il pagamento fatto al rappresentante apparente sarebbe disciplinato dall’art. 1188, che richiamerebbe le norme sulla rappresentanza in assenza di poteri, di cui agli artt. 1398 e 1399 c.c. Evidentemente, in un simile regime giuridico il rappresentante apparente, in verità privo dei poteri di rappresentanza, non potrebbe incidere la sfera giuridica del creditore; il rappresentante apparente, per quanto qui di interesse, non potrebbe ricevere con efficacia liberatoria alcun pagamento in nome del creditore apparentemente rappresentato.
La Corte, tuttavia, non si nasconde che un simile regime potrebbe, talora, condurre ad esiti contrari al senso di giustizia: sarebbe questo il caso, su cui si sofferma la Corte, in cui l’apparenza della legittimazione a ricevere dipendesse da “un comportamento positivo o negativo del mandante, imputabile a colpa”. In un caso simile, afferma la Corte, il creditore in colpa sarebbe però responsabile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., “verso il debitore che abbia fatto in buona fede ragionevole affidamento sull’apparenza di potere nell’accipiens”. Inoltre, continua la Corte, tale “responsabilità” del creditore potrebbe condurre (oltre che alla liquidazione del danno sofferto) anche alla liberazione del solvens se questi, esperita l’azione di danno ex art. 1398 c.c. contro il rappresentante apparente, si trovasse di fronte una controparte insolvente, come tale non in condizione di restituire quanto indebitamente percepito. Ecco che, in presenza del fatto colposo (o doloso) del vero legittimato, il regime della responsabilità extracontrattuale condurrebbe alla liberazione del solvens danneggiato; tale regime, cioè, sortirebbe, per altra via, l’assetto giuridico finale a cui condurrebbe l’apparenza giuridica (colposa).
[1] Conforme Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, IIIa ed., Milano, 2019, p. 66.
[2] Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, XXVa ed., Torino, 2016, pp. 402 s., 412. Analoga costruzione dogmatica degli effetti della procura sembrerebbe fruibile nel processo amministrativo, regolato dal D. lgs. 2 luglio 2010, n. 104: le materie non disciplinate da questo decreto, infatti, ricadono sotto l’applicazione del codice di procedura civile, a cui l’art. 39 D. lgs. cit. opera rinvio (mobile). È pur vero che questo rinvio fa salva la compatibilità tra le disposizioni del codice di procedura civile e i principi generali del processo amministrativo, ma sembra che l’analogia dogmatica superi il vaglio di compatibilità anche in forza di quell’orientamento che richiede una procura speciale, diversa dalla procura alle liti ex art. 24 D. lgs. cit., per autorizzare il difensore a sottoscrivere (autonomamente) il ricorso (cfr. sul tema Caringella–Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, IIa ed., Roma, 2017, pp. 314 s.).
[3] Giorgianni, In tema di pagamento al creditore apparente , in Foro pad., 1953, I, cc. 323 s.;
[4] Cass. 25.2.1953, n. 457, in Riv. dir. comm., 1953, II, p. 118 s., con nota di Mengoni, Ancora in tema di pagamento al “falsus procurator”. Favorevole ad una interpretazione restrittiva dell’art. 1189 anche, p. es., G. Stolfi, Ancora sul pagamento al rappresentante senza potere, in Banca, borsa, tit. cred., 1960, II, p. 235.