La pubblicità dell’avvocato è un tema che rischia di dividere in due l’avvocatura, tra “conservatori” e “progressisti”, tra coloro che vedono come il fumo negli occhi la pubblicità e il web come piattaforma per lo sviluppo della professione e quelli che sono fautori di una completa liberalizzazione della professione in favore del mercato. Come sempre, a parere di chi scrive la virtù sta nel mezzo e l’avvocatura, senza perdere il senso primo del suo essere un baluardo a tutela del diritto di difesa garantito dalla Costituzione, non deve chiudersi in se stessa ma utilizzare al meglio i nuovi mezzi di comunicazione e di diffusione al servizio di detta funzione.
Una divisione che rischia di acuirsi enormemente dopo il provvedimento con il quale l’Autorità Garante per le comunicazioni ha censurato l ’art. 35, comma 9 del nuovo Codice deontologico, entrato in vigore il 15 dicembre scorso.
9. L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso
Il rischio di una vera e propria “deregulation“. Giova qui riportare il testo degli artt. 17 e 17 bis che trattano in generale “delle informazioni sull’attività professionale”, un titolo che evitando volutamente il termine “pubblicità” evidenzia il timore fondato del Consiglio Nazionale Forense di vedere l’avvocatura, in un incontrollato ricorso al mondo della pubblicità, traghettata verso una completa e nefasta deregulation.
Art. 17 – Informazioni sull’attività professionale.
L’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale. Il contenuto e la forma dell’informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell’Ordine. Quanto al contenuto, l’informazione deve essere conforme a verità e correttezza e non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L’avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi vi consentano. Quanto alla forma e alle modalità, l’informazione deve rispettare la dignità e il decoro della professione. In ogni caso, l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa. I. Sono consentite, a fini non lucrativi, l’organizzazione e la sponsorizzazione di seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni di avvocati. II. E’ consentita l’indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei suoi eredi.
Art. 17 bis – Modalità dell’informazione.
L’avvocato che intende dare informazione sulla propria attività professionale deve indicare: •) la denominazione dello studio, con la indicazione dei nominativi dei professionisti che lo compongono qualora l’esercizio della professione sia svolto in forma associata o societaria; •) il Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritto ciascuno dei componenti lo studio; •) la sede principale di esercizio, le eventuali sedi secondarie ed i recapiti, con l’indicazione di indirizzo, numeri telefonici, fax, e-mail e del sito web, se attivato. il titolo professionale che consente all’avvocato straniero l’esercizio in Italia, o che consenta all’avvocato italiano l’esercizio all’estero, della professione di avvocato in conformità delle direttive comunitarie. Può indicare:
•) i titoli accademici;
•) i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari;
•) l’abilitazione a esercitare avanti alle giurisdizioni superiori;
•) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente;
•) le lingue conosciute;
•) il logo dello studio;
•) gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale;
•) l’eventuale certificazione di qualità dello studio; l’avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell’Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l’indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato;L’avvocato può utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipa, previa comunicazione tempestiva al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui è espresso. Il professionista è responsabile del contenuto del sito e in esso deve indicare i dati previsti dal primo comma. Il sito non può contenere riferimenti commerciali e/o pubblicitari mediante l’indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo.
Secondo il provvedimento n. 25847 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, diffuso nel bollettino n. 21 del 16 giugno 2015, queste norme “si pongono in contrasto con i principi e le valutazioni effettuate dall’Autorità nel provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014; esse, pertanto, costituiscono una violazione di quanto disposto alla lettera c) del deliberato del provvedimento, con il quale l’Autorità diffidava il Cnf dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata“.
Il caso “Amica Card” che ha portato a mettere nuovamente il CNF ed il nuovo codice deontologico sotto accusa era già arrivato agli onori della cronaca nel 2012. L’AGCOM imputa al CNF di aver reiterato l’infrazione relativa alle restrizioni sull’attività promozionale via web degli studi legali non ottemperando ad un precedente ordine di rimozione del parere n. 48/2012 considerato restrittivo della concorrenza tra i professionisti forensi, in quanto impediva “loro di utilizzare determinate piattaforme digitali per pubblicizzare i propri servizi professionali, anche con riguardo alla componente economica degli stessi”, limitando pertanto l’impiego “di un importante canale messo a disposizione dalle nuove tecnologie per la diffusione dell’informazione circa la natura e la convenienza dei servizi professionali offerti, potenzialmente in grado di raggiungere un ampio numero di consumatori sul territorio nazionale”. Il 21 maggio scorso – a detta dell’Autority – il Cnf non solo non aveva aderito all’invito di presentare una relazione scritta illustrante le misure assunte per porre termine all’infrazione, ma non aveva neanche adempiuto alla richiesta rimozione del suddetto parere. Il parere era ancora pubblicato sul proprio sito istituzionale, perpetuando così la restrizione concorrenziale e la relativa violazione della liberalizzazione della pubblicità professionale, operata prima dalla riforma Bersani e successivamente dalla legge professionale forense. Per l’autorità, così facendo il Cnf non solo è “recidivo” nella reiterazione dell’infrazione accertata e stigmatizzata ma inasprisce ulteriormente le limitazioni introdotte con il parere n. 48/2012 alla possibilità di utilizzare un canale di diffusione delle informazioni come il web per promuovere l’attività professionale. Pertanto, il Cnf avrà 30 giorni di tempo dalla notifica del provvedimento per far pervenire all’Agcom scritti difensivi, documenti e chiedere di essere sentiti e, in ogni caso, il procedimento (e la relativa decisione) è da intendersi concluso entro 180 giorni.
Tutto è, come sempre e per fortuna, rimesso al buon senso degli avvocati e alla tutela dei loro interessi da parte dei suoi organi istituzionali amministrativi e politici. Il caso che ha portato l’Antitrust ad occuparsi della pubblicità non è certo il caso di un giovane avvocato che voleva far conoscersi tramite i social ma piuttosto quello di un organizzazione che così sintetizza il suo business:
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Noi crediamo che gli avvocati italiani che ogni giorno “stanno sul pezzo”, nelle Aule giudiziarie, nelle Carceri, che credono ancora in una professione sempre più maltrattata dalla politica, dai tagli alla spesa, in certa parte anche dai media, sapranno utilizzare tutte le opportunità per far conoscere la propria attività tramite il web ed i social network senza svilire la loro funzione verso una concorrenza al massimo ribasso del prezzo e senza passare sopra il corpo del proprio collega. Chi svolge realmente la professione crede al detto “la causa passa, ma il collega resta”.
L’innato buon senso degli avvocati li guiderà in questa fase di “sbandamento” dopo il provvedimento dell’Antitrust ma alle istituzioni forensi, ed in particolare al CNF, spetta una riformulazione dei canoni deontologici censurati – che comunque devono continuare ad essere osservati e a costituire il canone di comportamento sul quale i nuovi Consigli Distrettuali di Disciplina dovranno basare la loro attività – coniugando il rispetto del rapporto di colleganza con la possibilità per gli avvocati di farsi conoscere e diffondere informazioni sulla propria attività anche tramite i social network e la rete, dimostrando di saper leggere le opportunità che le nuove tecnologie e gli strumenti di informazione e pubblicità possono portare all’avvocatura e ponendosi quindi come “trait d’union” da quelle due anime contrapposte, “conservatori e progressisti”, delle quali si parlava in apertura.