Da sempre l’autotutela costituisce istituto espressione del potere discrezionale di riesame del soggetto pubblico, in grado di produrre la rimozione del provvedimento amministrativo considerato illegittimo o, semplicemente, non aderente rispetto alle valutazioni comparative degli interessi in gioco.
Nella consapevolezza che la tutela dell’affidamento legittimo del contribuente beneficia di precipua protezione da parte dell’ordinamento, perché collegata all’obbligo di buona fede oggettiva gravante sull’Amministrazione, il D.lgs. n. 219/2023, con l’inserimento degli artt. 10-quater e 10.quinquies all’interno della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), interviene per riscrivere la disciplina dell’autotutela esperibile dall’Amministrazione finanziaria, attraverso la previsione della obbligatorietà dell’istituto in esame al manifestarsi di talune puntuali fattispecie.
Si tratta di una innovazione tanto complessa quanto attesa poiché il rapporto tra autotutela tributaria e affidamento risulta fortemente condizionato dalla convivenza, e delle volte dalla sovrapposizione, di molteplici principi: civili, amministrativi, costituzionali ed europei.
Da ciò deriva la portata rivoluzionaria della disposizione in esame, che non si limita a far caducare i principi cardine della facoltatività e discrezionalità dell’agere amministrativo, ma interviene per contemperare l’interesse pubblico all’eliminazione dal mondo giuridico di un atto non legittimo, con l’interesse del singolo contribuente, in ossequio a plurimi principi, primo tra tutti quello della certezza del diritto, immanenti all’ordinamento nazionale e comunitario.
L’istituto della autotutela
Il diritto amministrativo definisce “autotutela” il potere dell’Amministrazione di rimuovere unilateralmente ed autonomamente gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dell’interesse pubblico.
A sua volta l’autotutela, istituto il cui perimetro assume una estensione molto ampia, si scompone in duplice forme: l’autotutela esecutiva e l’autotutela decisoria, quest’ultima ulteriormente suddivisa in spontanea, necessaria e contenziosa.
Nello specifico, mentre l’autotutela esecutiva[1] si sostanzia nell’attività posta in essere dal soggetto pubblico diretta all’esecuzione coattiva degli atti amministrativi[2]; l’autotutela decisoria, invece, si identifica nel potere dell’Amministrazione di riesaminare discrezionalmente i propri atti, sia sul piano della legittimità sia su quello della convenienza/opportunità, al fine di confermarli, modificarli annullarli o revocarli[3]. Più nel dettaglio, poi, se l’autotutela spontanea si configura nella facoltà dell’Amministrazione di rimuovere discrezionalmente un provvedimento precedentemente adottato, tendendo solo al soddisfacimento di un interesse concreto ed immediato della collettività[4], l’autotutela necessaria si realizza a seguito dell’esercizio della funzione di verifica del rispetto dei requisiti di legittimità e di merito degli atti amministrativi da parte di un’Amministrazione diversa da quella che ha adottato l’atto oggetto di controllo[5]. Infine, l’autotutela contenziosa, anche detta autodichia, si individua nel potere dell’Amministrazione di decidere (in autonomia senza ricorrere alla tutela giurisdizionale) il ricorso amministrativo[6] proposto dal privato avverso il provvedimento asseritamente lesivo. Invero, ricercando all’interno della medesima Amministrazione una composizione alle controversie insorte, in ossequio al principio dell’economia dei mezzi giuridici, anche attraverso la possibilità di far valere vizi di merito del provvedimento, l’autotutela contenziosa rappresenta, simultaneamente, incentivo ad un’azione amministrativa più efficace e strumento di deflazione contenziosa.
Sulla base di quanto espresso in linea generale, è opportuno procedere all’analisi delle peculiarità che involgono l’istituto dell’autotutela tributaria.
In particolare, in diritto tributario l’esercizio del potere di autotutela non presuppone la sussistenza di considerazioni di convenienza da parte dell’Amministrazione finanziaria, ma deriva direttamente dalla esistenza di un vizio nell’atto, in aderenza al principio di buona fede cui deve attenersi il soggetto pubblico nell’esercizio delle sue funzioni[7].
Sulla scorta di una necessaria ricostruzione di natura cronologica, è doveroso puntualizzare che l’istituto oggetto della presente indagine, per ciò che concerne il diritto tributario, è stato introdotto dall’art. 68, D.P.R. n. 287/92[8], successivamente abrogato dall’art. 22, D.P.R. n.107/01[9], poi recuperato ed integrato dall’art. 2-quater, D.l. n.564/94, ed infine, prima della Riforma attuata per effetto del D.lgs. n. 219/23[10], codificato con specifico regolamento approvato con D.m. n. 37/97[11].
In relazione agli aspetti attuativi, il combinato disposto degli artt. 2-quater, D.l. n.564/94 e 2, D.m. n.37/97, riconosceva all’Ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che fosse stato competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero, in via sostitutiva ed in caso di inerzia, alla Direzione regionale dalla quale l’Ufficio medesimo dipende, il potere-dovere di costituire in essere provvedimenti di autotutela, attraverso l’annullamento[12] o la revoca[13] degli atti precedentemente emanati, fatta salva la copertura del giudicato sostanziale, sul provvedimento di accertamento o diniego di rimborso, costituito a favore dell’Amministrazione finanziaria. Ancora, nell’esercizio dell’autotutela, secondo il comma 1-bis dell’art. 2-quater, D.l. n.564/94, veniva ricompreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato.
Ciò detto, si precisa che il ritiro del precedente atto, espressione piena dell’esercizio dell’autotutela non si limita all’ipotesi del cd. contro-atto (avente analoga struttura dell’atto rimosso ma dispositivo di segno contrario), ma può interessare anche la riforma in integrale del precedente provvedimento, realizzando la cd. autotutela sostitutiva[14]. A riguardo, altresì, l’Amministrazione potrà revocare in autotutela anche un precedente atto di autotutela senza produrre come effetto la reviviscenza dell’atto impositivo corretto, ma procedendo all’emissione di un nuovo provvedimento in conformità agli ordinari termini decadenziali[15].
Tanto premesso, si tratta adesso di esaminare il cuore della precedente disciplina, ossia la natura prevalentemente discrezionale dell’esercizio dell’autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Invero, il ricorso all’interpretazione letterale del dato dispositivo contenuto all’art. 68, D.P.R. n.287/92 (“Salvo che sia intervenuto il giudicato, gli uffici dell’amministrazione finanziaria possono procedere all’annullamento, totale o parziale, dei proprio atti riconosciuti illegittimi o infondati […]”) a cui faceva seguito quanto espresso dall’art. 2-quater, D.l. n.564/94, rendeva evidente il generale riconoscimento di una potestà discrezionale in capo all’Amministrazione finanziaria (avente ad oggetto la rimozione l’atto illegittimo), fermo restando che sulla stessa non sussisteva alcun dovere giuridico di ritirare l’atto viziato, al pari dell’assenza dello speculare diritto soggettivo del contribuente di pretendere la rimozione dell’atto attraverso specifica istanza.
Questa precisazione si spiega guardando al precipuo interesse perseguito dall’Amministrazione finanziaria.
Nello specifico, mentre in diritto amministrativo, ai fini dell’esercizio dell’autotutela, la Pubblica amministrazione è chiamata a ponderare i confliggenti interessi privati e controbilanciarli con l’interesse pubblico (con l’obbligo di tutelare il consolidamento delle situazioni soggettive conseguenti all’atto illegittimo); in diritto tributario, per converso, l’interesse pubblico corrisponde a quello costituzionale[16] di sostenere (e nel caso ristabilire) una giusta imposizione, in luogo di quella in precedenza esercitata, rivelatasi in contrasto con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria. Non è un caso, del resto, che lo stesso art. 2, D.m., n.37/97[17] non contenga alcun riferimento al requisito dell’interesse pubblico alla rimozione del provvedimento viziato, sottolineando, di contro, la rilevanza del raccordo tra autotutela e illegittimità dell’imposizione, dove la prima si pone in relazione consequenziale alla seconda.
La bontà di quanto sostenuto, infine, trovava conferma nell’orientamento della giurisprudenza più autorevole, in forza della quale, contro il diniego dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’esercizio del potere di autotutela, il contribuente poteva proporre impugnazione soltanto per dedurre profili di illegittimità del diniego e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria divenuta definitiva[18].
Da ultimo, con sentenza n.182/2017 la Corte Costituzionale, premettendo che l’autotutela tributaria conosce una disciplina articolata e specifica distinta da quella dell’autotutela amministrativa generale, seguitava a dichiarare infondate le questioni di legittimità costituzionale avanzate nei confronti degli artt. 2-quater, c. 1, D.l. n. 564/94[19] e 19, D.lgs. n. 546/92[20] (rispetto agli artt. 3, 23, 24, 53, 97 e 113 Cost.), con ciò contribuendo a sostenere l’interpretazione che rinveniva nell’autotutela tributaria un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali, sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non strumento di protezione del contribuente[21].
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D.lgs. n. 219/23: riscrittura della autotutela tributaria (facoltativa-obbligatoria)
Le modifiche apportate allo Statuto del contribuente (L. n.212/00) per effetto del D.lgs. n.219/23, disponendo una scissione tra le fattispecie in cui l’Amministrazione può esercitare il potere di autotutela e quelle in cui deve procedere all’annullamento/revoca del precedente provvedimento emanato, rappresentano il tramonto dei principi cardine (facoltatività e discrezionalità) che da sempre hanno contraddistinto l’attività di rimozione in autotutela dell’atto da parte del soggetto pubblico.
Ma procediamo con ordine.
L’art. 10-quarter, rubricato “Esercizio del potere di autotutela obbligatoria”, abrogando le fattispecie contenute nel D.m., n.37/97 e all’art. 2, D.l. n. 564/94, annovera una casistica in cui la rimozione del precedente provvedimento da parte dell’Amministrazione finanziaria, non si pone più come valutazione discrezionale (da esercitare ove in presenza di un effettivo interesse pubblico alla rimozione dell’atto viziato), assurgendo a vero e proprio obbligo.
La tipizzazione delle fattispecie in cui si ravvisa la manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione, rispettivamente, involge:
- l’errore di persona;
- l’errore di calcolo;
- l’errore sull’individuazione del tributo;
- l’errore sul presupposto d’imposta;
- la mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;
- la mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.
Il dettato dispositivo in esame, inoltre, specifica che l’autotutela obbligatoria è esercitabile anche in assenza di istanza di parte[22], potendo interessare anche atti definitivi, eccetto il caso in cui sia trascorso almeno un anno dal consolidamento dell’atto[23].
Ancora, l’obbligatorietà dell’autotutela non esclude la sua attivazione in pendenza di giudizio, in caso di atti divenuti definitivi[24], esclusa la sussistenza di una sentenza passata in giudicato favorevole[25] all’Ufficio.
Il cambio di passo realizzato dalla Riforma tributaria, nel segno di una maggior rilevanza riconosciuta ai rapporti intercorrenti tra Amministrazione e contribuente, che passa anche attraverso la previsione di un obbligo laddove vigeva (da sempre) un esercizio discrezionale del potere di rimozione del provvedimento, trova consolidamento nelle tutele esperibili dal soggetto passivo del rapporto tributario.
Invero, sulla considerazione che la previsione di obblighi in capo all’Amministrazione finanziaria sarebbe stata tronca non sorretta dalla definizione di adeguati mezzi giurisdizionali, esperibili dal contribuente in caso di (eventuale) violazione degli stessi, il D.lgs. n. 220/23[26] è intervenuto per rafforzare la disciplina dell’autotutela obbligatoria attraverso la previsione dell’impugnabilità del diniego di autotutela obbligatoria[27] (manifestata dall’Amministrazione sia in forma espressa sia in forma tacita).
A seguire, l’art. 10- quinquies, rubricato “Esercizio del potere di autotutela facoltativa”, stabilisce tutti i casi in cui l’illegittimità del provvedimento o dell’atto impositivo, che non configurano tra le ipotesi disciplinate all’art 10-quater, attribuiscono facoltà in capo all’Amministrazione di valutare discrezionalmente l’annullamento, o meno, dell’atto viziato.
Nel dettaglio, evidenziata la possibilità di esercitare anche questa forma di autotutela in assenza di una espressa istanza di parte, come accade per nella ipotesi di autotutela obbligatoria, il ricorso alla rimozione dell’atto da parte del soggetto pubblico potrà avvenire indipendentemente dalla definitività dell’atto invalido o dalla pendenza di eventuale giudizio.
In questa fattispecie, tuttavia, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di cui all’art. 10-quater, la sussistenza di un giudicato favorevole ovvero il trascorrere del termine di uno anno dalla definitività dell’atto, non costituiranno ostacolo all’attivazione dell’istituto in oggetto da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Infine, anche in caso di autotutela facoltativa il D.lgs. n. 220/23 ha previsto l’impugnabilità del diniego manifestato dall’Ufficio sia in forma espressa sia in forma tacita[28], fermo restando che la contestazione oggetto di impugnazione (sia per l’autotutela obbligatoria sia per l’autotutela facoltativa) dovrà riguardare vizi attinenti all’esercizio del potere di autotutela e non qualunque vizio dell’atto impugnato[29].
Da ultimo, con espresso riguardo all’autotutela disciplinata agli artt. 10-quater e 10-quinquies, occorre mettere in evidenza la riduzione della responsabilità amministrativa, avente ad oggetto le valutazioni compiute dagli enti impositori, soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti, con riferimento all’esercizio, o meno, dell’autotutela, circoscritta alle sole ipotesi di dolo (non più estesa alla colpa grave).
[1] Art. 21-ter, L. n. 241/90: “Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge, ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato”.
[2]A titolo meramente esemplificativo, in materia di autotutela esecutiva avente ad oggetto i beni demaniali e del patrimonio indisponibile, il Consiglio di Stato, a più riprese (sentenza n.1164/93; sentenza n.969/1991; sentenza n.1224/1999), ha chiarito che essa costituisce “il potere di controllo e di intervento di imperio, sia per proteggere il bene da turbative, sia per eliminare ogni situazione di contrasto riguardo alle esigenze di pubblico interesse che devono ispirare l’utilizzazione dei beni destinati a pubblico servizio”.
[3] Sui limiti del potere di annullamento e di revoca dell’atto illegittimo: Consiglio di Stato, sentenze nn. 8516/09; 8291/10; 4770/11.
[4] Art. 21-nonies, L. n.241/90: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. […]”.
[5] Si tratta di un’attività, non a caso, definita necessaria poiché l’Amministrazione è obbligata ad esercitare i poteri di controllo e, eventualmente, eliminare i provvedimenti viziati, si rimanda la D.lgs. n. 286/99 (Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 11 della Legge 15 marzo 1997, n.59).
[6] La rilevanza dei ricorsi amministrativi nell’alveo delle tutele esperibili contro gli atti della P.a., che per lungo tempo hanno rappresentato un passaggio obbligato prima di accedere alla tutela davanti al giudice amministrativo, ha subito una deflazione a seguito della emanazione della Legge n. 1034/71- Istituzione dei tribunali amministrativi regionali-.
[7] Art. 1, L. n. 241/90; Art. 97 Cost. e per quel di maggior interesse Art. 10, L. n. 212/00 “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede […]”. Ancora, Consiglio di Stato, sentenza n. 6753/22 “Il principio di buona fede, inteso quale concetto giuridico generale che si riempie di contenuto a seconda della fattispecie che viene in rilievo e il cui nucleo precettivo è costituito dai doveri di correttezza e lealtà, è oggi innalzato a clausola generale dell’ordinamento giuridico, in grado di permeare ogni ambito del diritto. […]”.
[8]D.P.R. n. 287/92 (Regolamento degli uffici e del personale del Ministero delle Finanze).
[9] D.P.R. n. 107/01 (Regolamento di organizzazione del Ministero delle finanze).
[10] D.lgs. n. 219/23 (Modifiche allo statuto dei diritti del contribuente).
[11] D. m. n. 37/97 (Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria).
[12] Nel caso di vizi di legittimità, ossia vizi di forma o procedimentali.
[13] Nelle ipotesi di atti infondati, ossia viziati nel contenuto.
[14] Sul punto il Supremo Collegio, riconoscendo l’esperimento dell’autotutela sostitutiva in corso di giudizio, ha suggellato il principio secondo cui “E’ sempre possibile, per l’Ufficio, emendare errori formali e di merito dell’atto impositivo purché sia rispettato il divieto di doppia imposizione e il diritto di difesa del contribuente”. (Cass., sentenza n. 13807/20).
[15]Cass., sentenza n.22827/13: “Né la norma speciale né il correlato decreto ministeriale nel sancire e disciplinare il potere d’annullamento d’ufficio da parte dell’Amministrazione finanziaria di atti impositivi, prevedono la particolare ipotesi dell’annullamento d’ufficio di un precedente atto di annullamento, adottato sempre in autotutela, di un atto impositivo; ma alla luce dei principi generali in materia, non sussistono ragioni ostative per non ritenere che, anche l’atto di annullamento in autotutela, alla pari di ogni altro atto amministrativo, possa, nella sussistenza delle condizioni di legge, essere posto nel nulla dalla stessa Pubblica Amministrazione nell’esercizio del potere, riconosciutole dall’ordinamento, di ripristino dell’assetto provvedimentale violato dall’atto illegittimo[…]”.
[16 Art. 53 Cost. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
[17]Art. 2, D.m., n. 37/97: “L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di auto-accertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione […]”.
[18] Cass, SS.UU., sentenza n.2870/09: “E’ inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività. […]”.
[19] Nella parte in cui non prevede né l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull’istanza di autotutela proposta dal contribuente, né l’impugnabilità del silenzio tacito su tale istanza.
[20] Nella parte in cui non prevede l’impugnabilità, da parte del contribuente, del rifiuto dell’Amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela proposta dal contribuente.
[21] Il privato può, naturalmente, sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso. Sul punto, Cass., SS.UU., sentenza n.7388/07: “Non esiste un dovere dell’amministrazione di pronunciarsi sull’autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d’altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente […]”.
[22] Art. 10- quater, comma 1, L. n. 212/00.
[23] Art. 10- quater, comma 2, L. n. 212/00.
[24] Art. 10- quarter, comma 1, L. n. 212/00.
[25] Art. 10 -quater, comma 2, L. n. 212/00.
[26] D.lgs. n. 220/23 – Disposizioni in materia di contenzioso tributario-.
[27] Art. 19, comma 1, lett. g-bis), D.lgs. n. 546/90.
[28] Art. 19, comma 1, lett. g-ter), D.lgs. n. 546/90.
[29] Cass., ordinanza n. 28105/23: “Deve, invece, escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente, che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo. […]”.
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Flavio Carlino
Avvocato, Dottore Commercialista, Revisore Legale e Giornalista Pubblicista. Founder dello Studio legale-tributario Carlino dal 1991, ha un’esperienza ultratrentennale nel campo della consulenza nel settore tributario. Nel 2022 ha fondato l’Associazione Italiana Avvocati Commercialisti (A.I.A.C.), di cui è attualmente Presidente, ed ha creato una rete di professionisti con 20 sedi su tutto il territorio nazionale. CTU e perito presso il Tribunale di Lecce, è difensore tributario di enti pubblici e privati.