La tematica della validità del patto di traslazione degli oneri fiscali dal contribuente individuato ex lege ad un altro soggetto è una questione che, da oltre trent’anni, ha visto contrapposti principalmente due orientamenti giurisprudenziali.
Il primo[1], recessivo, in virtù del quale un siffatto accordo sarebbe sempre nullo, ex art. 1418 c.c., primo comma, per contrasto con l’art. 53 Cost.; ed il secondo[2], oggi prevalente, seppur non unanimemente condiviso, che tende ad operare una distinzione tra la traslazione dell’obbligazione tributaria, da considerarsi sempre nulla, e il trasferimento del peso economico dell’imposta, invece, valido poiché estrinsecazione conforme dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c.
La lettura dell’art. 53 della Costituzione
Pur giungendo a risultati diversi, le due tesi citate si fondano sulla medesima interpretazione dell’art. 53 della Carta Fondamentale, norma imperativa, direttamente precettiva ed attuativa di uno dei doveri di solidarietà riferibili all’art. 2 Cost.
Invero, ambedue gli orientamenti accedono ad una interpretazione oggettiva e soggettiva del canone costituzionale fonte dell’obbligazione tributaria, tale per cui non è sufficiente che il tributo sia calcolato sul patrimonio del debitore, essendo altresì necessario che il quantum debeatur sia corrisposto dal contribuente individuato dalla legge.
A differenza però dell’orientamento minoritario, che pretende un pagamento effettivo e definitivo da parte del titolare del rapporto obbligatorio, invalidando conseguentemente qualunque accordo che diventi per il contribuente uno strumento di recupero della ricchezza versata all’erario, la giurisprudenza maggioritaria qualifica come traslazione del tributo il solo patto che di fatto comporti l’accollo della posizione debitoria strictu sensu.
In altri termini, solo il contratto che dà luogo al fenomeno della successione a titolo particolare nel debito, ex art. 1273 c.c., è affetto da nullità virtuale per contrarietà a norma imperativa.
La recente pronuncia della Sezioni Unite (Cass. n. 6882 del 2019)
Chiamata a pronunciarsi in merito alla validità della clausola di un contratto di locazione ad uso non abitativo “che attribuisca al conduttore il carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore” le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato l’orientamento, in un certo senso, meno rigoroso.
La clausola esaminata, nel caso concreto, non individuerebbe un “nuovo debitore” del fisco, bensì conterrebbe solo degli elementi idonei a quantizzare una parte della prestazione negoziale validamente pattuita.
Invero, la determinazione dell’ammontare del corrispettivo della locazione, salvo che non si tratti di contratto ad uso abitativo a canone concordato (ma in tal caso la problematica sarebbe diversa), è priva di vincoli per i contraenti.
Nell’esercizio dell’autonomia negoziale, le parti sono dunque libere di prevedere il pagamento di onori accessori ad integrazione del canone locativo, a nulla rilevando se le componenti aggiuntive in commento siano già determinate nel loro ammontare o, al contrario, come nel caso in esame, siano soltanto determinabili al momento della conclusione del contratto.
Ciò che potrebbe rilevare, al più, potrebbe essere un errore del conduttore circa l’effettivo ammontare, in termini approssimativi, di tale integrazione, a causa di una di loro prospettazione non veritiera, ad opera del locatore.
Del resto, anche qualora si optasse per l’orientamento minoritario, stante l’impossibilità per il giudice di sindacare l’equilibrio normativo ed economico delle prestazioni, possibile solo in casi eccezionali, non potrebbe “svelarsi” la traslazione occulta del peso economico degli oneri fiscali che il conduttore ingloba nella richiesta del canone, salvo i casi in cui non sia manifestata espressamente, e non saggiamente- a questo punto-, al conduttore.
Conclusioni finali
Le considerazioni fin qui svolte sollevano implicitamente due questioni.
La prima ha ad oggetto l’esatta individuazione del patto elusivo del divieto di traslazione degli oneri fiscali vietato dalla giurisprudenza maggioritaria, oggi confermata dalle Sezioni Unite, mentre la seconda attiene all’esatta interpretazione dei divieti espressi contenuti nella legislazione speciale.
Se l’elusione accede ad una interpretazione dell’art. 53 Cost. che dà luogo al divieto di accollo della posizione debitoria, la stessa dovrebbe aversi allorquando il patto sia idoneo, a contribuente invariato, a generare il medesimo effetto.
L’accordo dovrebbe essere idoneo, quindi, a traslare, non formalmente ma sostanzialmente, l’onere fiscale su un altro soggetto, attraverso un accollo meramente interno.
A differenza di quello previsto dall’art. 1273 c.c., l’accollo in commento, frutto dell’autonomia negoziale, comporta infatti solamente la sopportazione di fatto del peso economico dei tributi su un altro soggetto.
Tuttavia, a differenza della giurisprudenza minoritaria, quella oggi prevalente nega la nullità ex art. 1418 co. 1 c.c. dell’accordo traslativo avente ad oggetto il solo costo economico dell’imposizione fiscale
Di conseguenza, dovrebbe considerarsi elusivo dell’art. 53 Cost. solo l’accordo idoneo a recidere il collegamento oggettivo tra tributo e patrimonio, imposto dal canone costituzionale, ovvero, in alternativa, quel patto in grado di ingenerare il fenomeno dell’evasione fiscale.
Con riguardo alla seconda problematica, il quesito si sdoppia nel senso che è lecito domandarsi anzitutto la portata del divieto espresso, contenuto dalla disciplina settoriale, nonché la sua ratio nel contesto ordinamentale tout court considerato.
È pacifico che enunciare una regola (tendenzialmente) comune avrebbe poco senso, poiché sarebbe più coerente valutare l’estensione del divieto del patto traslativo dell’onere tributario alla stregua della costruzione normativa offerta dal legislatore.
Quello che, però, da taluni non è condiviso è il risultato interpretativo del divieto, qualunque esso sia, alla luce di un’art. 53 Cost. che in tutti gli orientamenti giurisprudenziali considerati, non si “sradica” dalla dimensione soggettiva.
Invero, se la norma settoriale vietasse l’accollo esterno, liberatorio o cumulativo, nonché qualunque altro patto idoneo a sottrarre, in ultima istanza, il peso economico dell’imposta sul patrimonio del contribuente, riuscirebbe- ancora- ad esprimere una sua portata innovativa.
Se invece la norma si arresta al solo divieto già desumibile dell’art. 53 Cost. si delineano due soluzioni: o se ne accetta una portata meramente ricognitiva oppure bisognerebbe riconsiderare il canone costituzionale in rilievo, valorizzandolo nella sola accezione oggettiva.
Del resto, al netto dei casi in cui sia espressamente vietato il patto traslativo del costo economico dell’onere fiscale, accedere ad una lettura dell’art. 53 Cost. solo oggettiva, piuttosto che ad una interpretazione oggettiva e soggettiva, ma solo in senso “formale”, conduce, anche se per vie diverse, alla medesima attenuazione del dovere di contribuire alla spesa pubblica.
[1] v. Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5
[2] v. Cass., Sez. Un., 18/12/1985, n. 6445