Automatismo processuale e implicito rigetto delle domande

Le Sezioni Unite Civili hanno chiarito che la giurisprudenza di legittimità, governata dall’impulso d’ufficio, non permette l’applicabilità degli istituti della sospensione e dell’interruzione su istanza di parte. Questo consolidato automatismo processuale garantisce la continuità dei processi indipendentemente dalle dinamiche delle parti coinvolte. Infine, hanno chiarito che il rigetto implicito di una domanda richiede un’incompatibilità logica o giuridica.

Corte di Cassazione-Sez. Un. Civ.- ord. n. 14676 del27-05-2024

La questione

Nel 1971, un consorzio di bonifica subì una trasformazione a causa di un’occupazione di un’area di circa due ettari per la costruzione di una strada. Anni dopo, il cessionario dei crediti della società proprietaria del terreno citò il Consorzio dinanzi al Tribunale di Palmi, sostenendo l’occupazione illegittima del fondo e formulando la domanda risarcitoria.
La causa venne trasferita dinanzi Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche ma venne respinta per mancanza di legittimazione attiva.
In appello, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche aveva riconosciuto le richieste in via parziale e condannò il Consorzio a pagare oltre 12.000 euro. Tuttavia, le altre domande di risarcimento furono rigettate.

L’automatismo processuale

In primis, le Sezioni Unite Civili hanno ritenuto l’istanza del difensore del Consorzio sull’interruzione del giudizio, a causa dell’intervenuta soppressione del Consorzio, per effetto della legge regionale Calabria n. 39 del 2023, inammissibile. A tale proposito, i giudici hanno osservato come la giurisprudenza di legittimità sia governata dall’impulso d’ufficio e non su istanza di parte, escludendo così l’applicabilità degli istituti della sospensione e dell’interruzione. Molte pronunce hanno sottolineato come l’automatismo processuale non si piega alle dinamiche delle parti, consolidando la continuità dei processi anche nei casi di soppressione degli enti.
Inoltre, la Procura Generale e il Consorzio hanno sollevato eccezioni di inammissibilità del ricorso, basandosi sull’argomentazione che la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche non sia impugnabile per cassazione, se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Tra questi non figura l’omessa pronuncia, che dovrebbe essere rettificata tramite ricorso specifico ex art. 204 del r.d. 1775/33.
Tuttavia, a parere delle Sezioni Unite Civili, tale eccezione si era rivelata infondata poiché il ricorrente aveva contestato la sentenza per un error in procedendo, non a causa di un’omessa pronuncia.
I giudici hanno osservato come il ricorrente abbia evidenziato un errore processuale nella sentenza emessa in seguito al giudizio di rettificazione: tale pronuncia, qualora si ritenga viziata da un errore di diritto, è soggetta a ricorso per cassazione, al pari di qualsiasi altro provvedimento definitivo.
Pertanto, i giudici ermellini, sul punto hanno applicato il principio giuridico che stabilisce: “La sentenza conclusiva del giudizio di rettificazione ex art. 204 r.d. 1775/33, se erronea in punto di diritto, può essere impugnata per cassazione”.

Implicito rigetto delle domande

Nel primo motivo di ricorso, il ricorrente ha lamentato che la sentenza impugnata avesse violato gli artt. 112 e 132 c.p.c. In particolare, il ricorrente ha argomentato che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche aveva considerato che la sentenza da rettificare avesse esaminato e rigettato per implicito le domande risarcitorie, d’indennità di occupazione temporanea e di rivalutazione monetaria.
L’analisi dell’implicito rigetto di una domanda è sorretta da un principio in base al quale una domanda può essere implicitamente rigettata se il suo accoglimento diviene incompatibile con l’analisi complessiva della sentenza. (I giudici delle Sezioni Unite Civili sul punto hanno richiamato una pronuncia risalente della Corte di Cassazione, la n. 1735 del 26 giugno 1963, che affermò che la decisione implicita è configurabile quando una questione risulta superata e, dunque, travolta dalla soluzione di un’altra questione, la cui risoluzione implichi l’irrilevanza o l’infondatezza della prima.

 Applicazione del principio al caso concreto

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che le domande di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione temporanea, del lucro cessante e della rivalutazione monetaria fossero state implicitamente rigettate.
Tuttavia, i giudici hanno osservato come una valutazione accurata delle singole domande dimostra che non vi era alcuna incompatibilità logica o giuridica con l’intera complessità della sentenza.
Sul tema dell’indennità da occupazione temporanea, i giudici hanno precisato come la domanda si appresti ad essere autonoma rispetto a quella per il risarcimento del danno da lucro cessante e per l’indennizzo per l’irreversibile trasformazione del fondo.
È, dunque, possibile, infatti, che possa sussistere il credito per l’indennità di occupazione anche se non sussiste quello per il lucro cessante.
La motivazione della sentenza impugnata non escludeva né rigettava tale domanda del lucro cessante. I riferimenti al “valore del bene” e alla “carenza probatoria generale, secondo i giudici, devono essere intepretati come riferiti al danno emergente e non al lucro cessante.
La sentenza non ha affrontato la questione della rivalutazione monetaria, limitandosi a disporre il pagamento degli interessi legali sicché tale punto non può essere interpretato come un rigetto implicito della domanda di rivalutazione, poiché la rivalutazione e gli interessi assolvono funzioni diverse e non sono legati da un nesso di consequenzialità reciproca.

Conclusioni

In definitiva, per le Sezioni Unite Civili, il rigetto implicito presuppone una chiara incompatibilità logica o giuridica tra le domande e le statuizioni della sentenza. L’analisi delle singole domande nel caso di specie dimostra che tale incompatibilità non sussiste, pertanto le domande non possono essere considerate implicitamente rigettate.

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