Associazioni professionali e D.Lgs. 55/2014: errori di legittimazione attiva

Nel caso di specie, il ricorrente ha contestato una decisione legata alle associazioni professionali, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione sul D.Lgs. 55/2014. Si evidenziano errori nella gestione della legittimazione attiva dei professionisti in assenza di deleghe o clausole statutarie, e si discute l’applicazione del principio del ne bis in idem nell’ammissione al passivo.

Corte di Cassazione-Sez. I Civ.-ord. n. 23835 del 05-09-2024

La vicenda

Il Tribunale di Forlì, con un decreto del 12 ottobre 2017, ha respinto l’opposizione presentata da un avvocato ai sensi dell’art. 98 della Legge Fallimentare. L’avvocato aveva richiesto l’ammissione allo stato passivo del Fallimento di una società in liquidazione per un credito derivante da prestazioni professionali. Tuttavia, il Tribunale ha evidenziato che il credito era stato già presentato dal padre, anch’egli avvocato, con una domanda unica per sé e per lo studio.
Il giudice ha sottolineato che il credito era contitolare tra padre e figlio, e ciò era stato confermato da entrambi nelle osservazioni presentate nel 2015. Poiché il credito era stato già considerato e deciso come unitario, l’opponente non poteva presentare una nuova istanza per la sua parte di credito.

 I motivi di ricorso

Nel caso in esame, il ricorrente solleva la violazione di principi giurisprudenziali affermati dalla Corte di Cassazione in materia di associazioni professionali, in relazione agli articoli 1 e 23, comma 1, del D.Lgs. 55/2014. In particolare, viene contestato il provvedimento impugnato, laddove si afferma che il credito dedotto in giudizio fosse già stato richiesto dal padre del ricorrente, sia per sé che per il suo studio legale. Secondo la consolidata giurisprudenza, i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono all’associazione la titolarità del rapporto di prestazione professionale (art. 1 D.Lgs. 55/2014). Ne consegue che ciascun professionista conserva la propria legittimazione attiva nei confronti del cliente, salvo che non sia presente una delega ad hoc o una specifica clausola statutaria (art. 23, comma 1, D.Lgs. 55/2014). Nel caso in esame, poiché non esisteva prova di un potere rappresentativo conferito allo studio legale, il tribunale ha errato nel ritenere che la domanda del padre includesse anche la quota di credito del ricorrente.

La mancata Pertinenza alla Ratio Decidendi

La Corte di Cassazione, esaminando il ricorso, ha ritenuto inammissibili il primo e il secondo motivo poiché non hanno affrontato in modo pertinente la ratio decidendi del decreto impugnato. Il Tribunale di Forlì non ha mai sostenuto che il titolare del credito fosse un’associazione professionale, ma ha piuttosto chiarito che il credito, originariamente fatto valere dal padre del ricorrente, riguardava anche la quota spettante a quest’ultimo. Il padre aveva infatti agito in via unitaria anche nell’interesse del figlio, il quale, sottoscrivendo le osservazioni al progetto di stato passivo, aveva implicitamente confermato e ratificato l’azione congiunta.

Il ricorrente, tuttavia, non si è confrontato con questi presupposti di fatto e di diritto, né ha contestato le circostanze poste a fondamento della decisione di merito. In particolare, non ha tenuto conto della mancanza di rilevanza, in sede di giudizio, della questione riguardante la legittimazione del singolo professionista o dell’associazione a richiedere l’ammissione al passivo di un credito derivante da prestazioni professionali, una questione che non era stata neppure sollevata nel merito.

Il principio del ne bis in idem nell’ammissione al passivo

La decisione impugnata si basa sul principio del ne bis in idem, che preclude la proposizione di una nuova istanza di ammissione al passivo per lo stesso credito dopo che una prima domanda era già stata esaminata e decisa. Il tribunale ha infatti sottolineato che il ricorrente avrebbe potuto proporre opposizione autonoma contro il decreto con cui il giudice delegato aveva statuito sulla domanda presentata dal padre, ma non presentare una nuova istanza di ammissione dopo la decisione che riguardava già anche la sua quota di credito.

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