Con la sentenza n. 12477 del 21 maggio 2018, le Sezioni Unite hanno risolto la controversa questione dell’interpretazione dell’art. 43 della Legge Assegni[1], concernente la natura della responsabilità della banca che abbia pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore.
Il caso in esame
Una compagnia assicurativa aveva convenuto in giudizio una banca eccependo il fatto che quest’ultima avesse emesso un assegno di traenza non trasferibile – intestato a un soggetto beneficiario che era titolare di un indennizzo assicurativo – ma che tale assegno fosse stato poi incassato da una persona diversa dal beneficiario e chiedendo perciò il risarcimento del danno per aver dovuto emettere un nuovo pagamento al vero beneficiario.
La Banca, costituitasi in giudizio, eccepiva il fatto che il portatore dell’assegno si fosse presentato allo sportello della banca esibendo i documenti di identità falsificati, e che solo a causa di tale frode gli era stato concesso di incassare la somma. Pertanto, la convenuta chiedeva di essere manlevata dalla banca che aveva emesso l’assegno, sottolineando che il danno era stato provocato dal comportamento negligente di quest’ultima, per il fatto di aver indicato sull’assegno solo il nome ed il cognome del soggetto beneficiario, e per essersi accorta solo troppo tempo dopo dell’errore.
Il Tribunale di primo grado non accoglieva la domanda di manleva, ma solo la domanda attorea, peraltro parzialmente, asserendo che la responsabilità dell’accaduto fosse imputabile ad entrambe le parti in egual misura.
Anche il successivo giudizio di appello aveva un esito non particolarmente differente dal precedente, poiché la sentenza[2] di primo grado veniva riformata solo nei capi in cui aveva rivalutato il danno in favore dell’attore con decorrenza dalla data della domanda, e non da quella in cui si era prodotto, respingendo invece la censura con cui la compagnia assicurativa aveva evidenziato la natura oggettiva della responsabilità della banca negoziatrice, decidendo in definitiva per un inadempimento contrattuale.
Giunta in Cassazione, e rilevata la presenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema, la causa è stata assegnata alle Sezioni Unite, che hanno risolto la questione dopo aver passato in rassegna una serie di pronunce discordanti sul punto, decidendo per la non responsabilità oggettiva della banca, purché questa sia in grado di fornire la prova di aver assolto alla propria obbligazione diligentemente (obbligazione nascente dall’art. 1176 c.c. in virtù della qualità di operatore professionale in capo alla banca stessa).
Il contrasto giurisprudenziale
La prima pronuncia presa in considerazione dalla Suprema Corte è assai risalente, datata 1958[4], in occasione della quale la Cassazione aveva sostenuto l’ipotesi per cui l’art. 43 legge assegni non fosse un’obbligazione di tipo risarcitorio da parte della banca verso il prenditore, bensì un’obbligazione originaria, che, in quanto non validamente adempiuta, deve essere nuovamente adempiuta in modo satisfattivo con nuovo pagamento al soggetto realmente legittimato. Per tale interpretazione non rileva in alcun modo la difficoltà riscontrata nell’identificazione del soggetto che presenta alla banca il titolo.
L’ipotesi appena citata è stata superata da una sentenza successiva, la n. 2360 del 1968[5], con la quale la Suprema Corte ha affermato che “chi esegue il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, ma che si legittima cartolarmente come tale, ne risponde verso l’effettivo prenditore soltanto se non ha usato la dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo (…) posto che l’art. 43 legge assegni si riferisce alla legittimazione cartolare e quindi non comporta deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale”. Lo scopo dell’intrasferibilità non sarebbe, quindi, quello di assicurare in ogni caso all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma quello di impedire la circolazione del titolo.
L’orientamento anzidetto fu superato solo nel 1999, quando la Cassazione, con la pronuncia n. 1098, riprese la teoria formulata dalla sentenza n. 3133/1958[6], sostenendo, quindi, che l’art. 43 legge assegni disciplini in modo autonomo l’adempimento dell’assegno non trasferibile, imponendo alla banca di pagare unicamente al titolare indicato come prenditore. Secondo tale ipotesi, la finalità dell’articolo anzidetto sarebbe quella di tutelare il prenditore dagli effetti di un eventuale spossessamento, impedendo a chi se ne appropri indebitamente di incassare la somma.
Nel 2016, con tre diverse pronunce, vi è stato un ulteriore mutamento interpretativo, nel quale ha ripreso centralità l’elemento della colpa, nella visione in cui la responsabilità della banca negoziatrice (nonché quella della banca trattaria) dall’inosservanza del dovere di diligenza richiesto ex art. 1176, II comma, c.c.[7]
È effettivamente a quest’ultimo indirizzo che si sono uniformate le Sezioni Unite, le quali hanno posto a fondamento della propria decisione interpretativa la citata sentenza recante numero 14712 del 2007.
Tale sentenza ha il pregio di essere intervenuta per dirimere un precedente contrasto interpretativo circa la natura della responsabilità scaturente dal pagamento dell’assegno a persona diversa dal prenditore, e di conseguenza alla durata del termine di prescrizione dell’azione che può essere proposta dal danneggiato.
Le S.U. avevano affermato che il dettato dell’art. 43 legge assegni fosse da interpretarsi in senso ampio, e che potesse essere applicato anche alla banca negoziatrice quale unico soggetto in grado di controllare efficacemente l’autenticità dell’assegno e l’identità del soggetto. Per quanto concerne, invece, la natura della responsabilità, la Suprema Corte già in quell’occasione aveva riscontrato la sussistenza di una responsabilità di tipo contrattuale sulla base della c.d. teoria del contratto sociale qualificato[8]. È stato proprio questo l’indirizzo seguito dalle sezioni Unite nella pronuncia 12477 del 21 maggio 2018.
La decisione delle Sezioni Unite
Chiamate a pronunciarsi sul tema, dedotto nel secondo motivo del ricorso ed attinente all’interpretazione dell’art. 43, II comma, legge assegni., le S.U. hanno affermato che tale previsione[3] va estesa anche alle ipotesi in cui siano pagati un assegno circolare o bancario, non trasferibili, a persona diversa dal prenditore, sulla base di quanto asserito dalla citata sentenza a S.U., la n. 14712 del 2007.
La compagnia assicurativa aveva sostenuto che il più volte menzionato art. 43 legge assegni fosse stato violato, portando così ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, per il solo fatto del pagamento dell’assegno non trasferibile a persona diversa da quella legittimata, e prescindendo dall’accertamento di una condotta colposa della banca per averlo effettuato senza osservare la dovuta diligenza.
Tale assunto è stato giudicato dalla Suprema Corte come totalmente errato, dal momento che la sussistenza della colpa non esclude che il danno sia imputabile al concorso colposo con il creditore, con la conseguente inammissibilità della censura sollevata dalla ricorrente per difetto di interesse, fermo restando l’accertamento della responsabilità della Banca che ha erroneamente pagato.
In definitiva, la Corte ha dunque deciso per il rigetto del ricorso principale e per l’inammissibilità di quello incidentale, dichiarando la reciproca soccombenza delle parti, con compensazione fra le stesse delle spese di lite.
Il principio di diritto
Alla luce di quanto rilevato, le Sezioni Unite, passando in rassegna svariate pronunce precedenti, hanno quindi enunciato il seguente principio di diritto:
“Ai sensi dell’art. 43 legge assegni, la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, II comma, c.c.”.
[1] R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736, di cui l’art. 43 menzionato recita “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”.
[2] Con sentenza pronunciata il 7.12.2010
[3] Il dettato dell’art. prevede che “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”. All’art. 43 L.A. rinviano espressamente gli artt. 86 I comma, e 100 della medesima norma.
[4] Sentenza n. 3133/1958.
[5] Alla quale si uniformarono diverse pronunce susseguenti, ossia la n. 3317/1978, la n. 5118/1979, la 686/1983, la 4187/1987, la 4047/1992, 10460/1994 e la n. 9888/1997.
[6] A tale sentenza si sono uniformate le seguenti: Cass. n. 1978/2000; 9141/2001; 10190/2001; 3654/2003; 7949/2010; 3405/2016.
[7] “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
[8] Di tale concetto si riporta la stessa definizione fornita dalla Suprema Corte nella sentenza in oggetto, che la definisce quale ipotesi “ravvisabile ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti su un corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto”.