Con la sentenza n. 24821 del 5 dicembre 2016, la sesta sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di assegno di mantenimento ex art. 337 ter co. 4 c.c., non v’è riduzione dell’assegno per il figlio quando l’ex partner lascia la residenza familiare e deve sostenere l’ulteriore spesa di un affitto.
Il caso in esame
Nel caso in esame, il ricorrente chiedeva la riduzione dell’assegno di mantenimento del figlio (da 700 € a 250 €), per il fatto che la ex compagna aveva lasciato la casa coniugale insieme al minore, trasferendosi in altra abitazione in affitto. Circostanza in grado di lasciar intendere una notevole disponibilità economica della donna, non considerata dalla Corte d’Appello.
Il pagamento di un affitto da parte dell’ex partner non giustifica la riduzione del mantenimento
Il 4° comma dell’art. 337 ter c.c. prevede che “ciascuno dei genitori debba provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito“. All’uopo, è il giudice a dover stabilire la corresponsione di un assegno periodico da determinare considerando, tra le altre circostanze, anche i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
A tal riguardo, la Suprema Corte, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha chiarito che nel determinare l’assegno periodico a norma dell’art. 337 ter c.c., la Corte territoriale aveva correttamente considerato, ai fini della verifica prescritta in ordine alle risorse economiche di entrambi i genitori, anche il debito gravante sulla madre per disporre di una abitazione, peraltro non solo per sé ma anche per il figlio minore.
In altre parole, se da un lato la spesa necessaria per sostenere una locazione potrebbe lasciar presumere una situazione patrimoniale consistente, dall’altro il fatto stesso di dover far fronte a tale spesa periodica, non solo a proprio vantaggio ma anche a favore del figlio minore, mette in evidenza un debito incidente in modo rilevante sulle risorse economiche a disposizione della madre, da considerare ai sensi dell’art. 337 ter, co. 4, c.c.
La decisione della Corte
In conclusione, la Corte rigettava dunque il ricorso, condannando il ricorrente al rimborso in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità.