Assegno divorzile: revisione alla luce della recente giurisprudenza

in Giuricivile, 2020, 3 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. I civ., sent. n. 1119 del 20/01/2020

Assegno divorzile: il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale non integra, ex se, i giustificati motivi sopravvenuti richiesti dall’art. 9, comma 1, della legge n. 898/1970 per la revisione del contributo.

1. Il caso in esame

La questione prende avvio dal rigetto di un’istanza di un ex coniuge tesa ad ottenere una revisione degli obblighi di contribuzione nascenti dalla pronuncia di scioglimento e/o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel dettaglio, chiedeva di essere manlevato dall’obbligo di corrispondere all’ex moglie l’assegno divorzile nonché una riduzione dell’assegno per il mantenimento della figlia.

Il giudice di seconde cure ha rigettato il reclamo di cui sopra, sottolineando che l’iter procedimentale intrapreso dall’ex marito non rappresentava in alcun modo un valido strumento per la revisione delle determinazioni assunte in sede divorzile; al contrario, si atteggiava a mezzo finalisticamente indirizzato ad emendare l’alterazione della compagine economica intervenuta tra le parti e legata a circostanze sopraggiunte in un momento storico ulteriore e diverso rispetto a quello della pronuncia di divorzio.

Altresì, il giudice d’Appello, a supporto del proprio decreto, ha evidenziato come le circostanze addotte dalla parte fossero state già indicate al momento della pregressa sentenza e, dunque, in essa già debitamente prese in considerazione.

Di qui l’ex coniuge è intervenuto a mezzo di ricorso per cassazione, articolandolo in nove motivazioni, di seguito analizzate.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 9 della Legge n.898/1990 ritenendo che il giudice territoriale non abbia tenuto conto di un fatto decisivo in termini di circostanza sopravvenuta rispetto al momento della sentenza emessa in seno al giudizio di divorzio: l’aumento del reddito da lavoro della controparte (ex moglie).

Violazione, quest’ultima, invocata anche in riferimento alla seconda doglianza unitamente, tra l’altro, ad un vizio di motivazione cui, a detta del ricorrente, la Corte d’Appello sarebbe incorsa per aver considerato la sua posizione di pensionato inidonea a determinare un’alterazione dell’equilibrio economico considerato in sede di determinazione dell’assegno di divorzio.

Argomentazione che, a sua volta, ben si aggancia al terzo motivo addotto dall’ex marito. Difatti, questi ritiene infondate le conclusioni del giudice di secondo grado per non avere predisposto un raffronto, in termini di valutazione concreta e reale, tra le posizioni reddituali vantate tra le parti coinvolte. Esame che, secondo il ricorrente, sarebbe stato necessario al fine di evidenziare con maggiore incisività un eventuale e forte disequilibrio nelle condizioni economiche.

Nel successivo punto, il ricorrente adduce la violazione delle disposizioni normative di cui agli articoli 115 c.p.c., 2727 e 2729 c.c. e 171 D.P.R. n. 18/1967 per avere la Corte erroneamente ritenuto che egli disponesse di una consistente liquidità; asserzione che, secondo la parte, il giudice d’Appello avrebbe fondato su di una valutazione riduttiva e priva di fondamento probatorio, in quanto ruotante attorno ad una situazione non attuale ma legata esclusivamente ad una fase passata.

Passaggio argomentativo, quest’ultimo, intimamente connesso al quinto motivo. Difatti, con esso l’ex marito lamenta una ulteriore omissione da parte della Corte d’Appello; nello specifico, con riferimento alla parte in cui non ha considerato il peggioramento delle sue condizioni di salute.

Con il sesto ed il settimo motivo, poi, il ricorrente addebita ex novo al giudice di merito la mancata osservanza dell’art. 9 Legge n. 898/1990. Al riguardo, sottolinea la mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, di una duplice condizione intervenuta successivamente al momento della sentenza di divorzio. Ovvero, per un verso il ricorrere di sopraggiunti oneri scaturenti dall’esigenza di fornire un apporto economico alla madre anziana e, per altro, dall’avere contratto un nuovo matrimonio.

Infine, con l’ottavo ed il nono motivo evidenzia la mancata considerazione, da parte della Corte di merito, del significativo ed intervenuto miglioramento della condizione economico-reddituale della ex moglie sia per acquisizione ereditaria che per ulteriori entrate.

2. Uno sguardo alle diverse opzioni interpretative in tema di assegno di divorzio

Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità analizzano preliminarmente l’ampio ventaglio di posizioni che nel corso degli anni hanno caratterizzato la scena giurisprudenziale.

Ricostruzione che la Cassazione, ai fini della risoluzione della questione, ha inteso condurre con un preciso intento finalistico: comprendere in che modo le diverse tappe interpretative hanno connotato il processo evolutivo in tema di assegno di divorzio.

Dapprima, hanno analizzato il primo e tradizionale tassello posto dalla storica pronuncia n. 11490 del 1990, con la quale le Sezioni Unite hanno inteso soffermarsi sulla natura dell’assegno di divorzio nonché sul presupposto fondante il rilascio dello stesso.

Al riguardo, va precisato che gli Ermellini ne avevano individuato la ratio giustificatrice nel presupposto assistenziale, da intendersi in termini di valutazione circa l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio; aggiungendo, inoltre, che il calcolo sull’ammontare dell’assegno andasse effettuato sulla scorta di una valutazione ponderata dei criteri specificamente individuati dalla legge.

Orientamento, quest’ultimo, che ha caratterizzato il panorama giurisprudenziale per molto tempo, dovendosi attendere ben trent’anni per registrarsi un vero e proprio revirement.

Difatti, è con la nota sentenza n. 11504 del 2017 che i giudici di legittimità sposano una linea di pensiero differente, ancorando l’accertamento circa l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante ad un diverso parametro: il principio dell’auto-responsabilità economica di ciascun coniuge. Con la precisazione che sono ugualmente da ritenersi applicabili i criteri individuati dal legislatore, ancor più con riguardo all’esito dell’accertamento circa la condizione di non autosufficienza economica.

Ulteriore tessera di pregnante rilievo, poi, viene posta dalle Sezioni unite nel 2018 (sentenza n. 18287). In particolare, la Corte, intervenendo nuovamente sulla materia in discussione, ha ritenuto che la valutazione in merito all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge istante sia da ricercarsi nelle caratteristiche e nella ripartizione dei ruoli assunti dalle parti nel corso della vita matrimoniale, tenendo in conto la durata del matrimonio e l’età dei soggetti. Di qui, l’enunciazione dei seguenti principi di diritto:

– in primo luogo, all’assegno di divorzio deve attribuirsi natura non solo meramente assistenziale bensì anche perequativa e compensativa, venendo qui in rilievo un importante baluardo di matrice costituzionale, ovvero il principio di solidarietà (art. 2 Cost.); asserzione, quest’ultima, che conduce alla conclusione secondo cui il riconoscimento del contributo deve fondarsi non già su di un parametro puramente astratto ma, diversamente, sulla base di un raggiungimento in concreto di un reddito adeguato all’apporto fornito nella conduzione del management familiare, anche in considerazione delle aspettative professionali sacrificate;

– in secondo luogo, i giudici specificano che la ratio equilibratrice del reddito degli ex coniugi assolve ad una precisa finalità: il riconoscimento dell’apporto nonché del ruolo dato dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;

– il terzo punto verte essenzialmente sulla necessità che il riconoscimento dell’assegno di divorzio si fondi su di un accertamento concreto in merito all’inadeguatezza dei mezzi e/o strumenti dell’ex coniuge istante e all’impossibilità, per lo stesso, di procurarseli per ragioni obiettive nonché sull’applicazione dei parametri normativamente sanzionati, cui il giudice deve attenersi nella decisione riguardante l’attribuzione e quantificazione del mantenimento.

In particolare, il giudizio dovrà essere emesso sulla scorta di una valutazione basata sulla comparazione e disamina di specifici criteri: condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione dell’apporto fornito dall’istante nella gestione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale dato da ciascuna parte, in ordine alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.

Di qui, si pone il problema focale che ruota attorno alla soluzione del quesito posto dinanzi al Supremo Consesso: l’applicabilità dei suesposti principi nell’ipotesi di una domanda di revisione dell’assegno di divorzio già riconosciuto.

Nel dettaglio, ci si chiede se, in tema di procedimento di revisione, sia necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti o se il mutamento di natura e funzione dell’assegno di divorzio rappresenti un autonomo e legittimo motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 della Legge sul divorzio.

Di seguito le argomentazioni addotte dal Collegio nonché la soluzione finale.

3. Le argomentazioni della Cassazione

La Cassazione parte dalla disamina dell’art. 9 della Legge n. 898 del 1970, a mente del quale: Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, in camera di consiglio può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6”.

Riferimento normativo, quest’ultimo, che ben si aggancia, a detta dei giudici, ai pregressi orientamenti; questi ultimi, in particolare, hanno ritenuto che la revisione dell’assegno divorzile sia imperniata sull’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, atta a determinare una variazione del pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti.

Specificandosi che, in sede di revisione, l’autorità giudiziaria non può dar luogo ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla scorta di una diversa ponderazione delle condizioni patrimoniali delle parti già precedentemente realizzata con la pronuncia di divorzio; aggiungendosi, inoltre, che il giudice deve verificare in che misura e se le sopravvenute circostanze abbiano causato una alterazione dell’equilibrio, in modo da poter procedere ad un adeguamento dell’importo o dell’obbligo alla contribuzione alla nuova ed acclarata situazione reddituale.

Argomentazioni, quelle suesposte, che, a detta degli ermellini, ben si sposano con un importante principio: il giudicato, in tema di statuizioni determinative, è passibile di modifiche in caso di successive modificazioni di fatto, le quali, per potersi dire rilevanti, devono essere dedotte mediante l’esperimento dell’apposito procedimento di revisione. Restando fermo, tuttavia, il diritto da parte dell’ex coniuge di percepire l’assegno ed il corrispondete obbligo, gravante sulla controparte, di versarlo, atteso che tale corresponsione resta in piedi fintanto che non intervenga la variazione del provvedimento/sentenza di divorzio.

Altresì, nella pronuncia oggetto di disamina, i giudici sottolineano come la funzione della giurisprudenza sia essenzialmente ricognitiva, nel senso che sia orientata a riconoscere ed attestare l’esistenza, la veridicità ed il contenuto delle norme giuridiche; dunque, agli interventi giurisprudenziali non può attribuirsi valenza creativa bensì interpretativa della regola iuris, nel senso che una variazione di pensiero (in ambito giurisprudenziale) non può assimilarsi al diritto sopravvenuto né soggiacere al principio di irretroattività, sicchè una data tesi ben può essere oggetto di revisione da parte di altro giudice.

Ne discende che un sopravvenuto cambiamento della situazione economica e patrimoniale dei coniugi inerisce ad una dimensione fattuale, rendendosi necessario, al riguardo, un accertamento dell’autorità giudiziaria affinchè sia possibile procedere ad un giudizio di revisione dell’assegno di divorzio.

Ancora, viene puntualizzato che il timore che si pervenga a soluzioni differenti nella risoluzione e nel trattamento di questioni analoghe, a seconda che il giudizio revisionale si fondi o meno nell’insorgenza di eventi sopravvenuti, non può trovare alcun fondamento; ciò in considerazione che, in assenza di fatti intervenuti successivamente alla sentenza di divorzio, il diritto all’assegno trova la propria ratio giustificatrice nel giudicato rebus sic stantibus.

Dovendosi considerare che, anche nell’ipotesi di successione della legge nel tempo, l’applicazione della nuova normativa trova un limite insormontabile, rappresentato dall’intervenuto giudicato sulla situazione oggetto di giudizio, senza che ciò arrechi un pregiudizio al principio di uguaglianza ex ar. 3 Costituzione.

Infine, la Cassazione intende precisare che parificare un mutamento di carattere giurisprudenziale ai “giustificati motivi” normativamente positivizzati in tema di revisione dell’assegno divorzile finirebbe con il determinare situazioni illogiche e prive di congruenza. Incongruità che troverebbe terreno fertile in una duplice occasione: nell’ipotesi di un successivo mutamento interpretativo nonchè nel caso di non adesione, da parte di un giudice di merito, ad un nuovo indirizzo.

4. La soluzione proposta

La Cassazione, sulla scorta delle posizioni uti sopra analizzate, propende per una inammissibilità dei motivi dichiarati dal ricorrente, con conseguente rigetto delle doglianze esposte nel ricorso dall’ex marito.

In prima battuta, sostiene che i motivi di ricorso riferiti alla violazione dell’art. 9 della legge n.898/1970 non tengono conto che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, determinando, pertanto, una problematica di natura interpretativa.

Diversamente, nel caso di specie, il vizio risulta essere esterno, in quanto non attinente ad una esatta interpretazione della norma bensì concernente la valutazione eseguita da un giudice di merito.

A tal proposito, i giudici di legittimità propendono per un rigetto delle censure sollevate dall’ex marito atteso che i fatti dedotti in ricorso già erano stati oggetto di accurata e specifica disamina da parte della Corte d’Appello, avendo, quest’ultima, già provveduto a specificare che le circostanze allegate dalla parte non erano sopraggiunte, di guisa che ad esse non poteva attribuirsi valenza decisiva ai fini di una revisione e/o modifica della condizioni esposte nella originaria statuizione, quale pronuncia intervenuta in tema di definizione dell’assegno di divorzio. Sottolineando, altresì, che la medesima sorte (stante l’insussistenza dei fatti sopravvenuti) andasse estesa anche alla richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della figlia.

Ancora, la Cassazione ritiene priva di fondamento anche la doglianza afferente il precario stato di salute addotto dal ricorrente, ritenendo che allo stesso non potesse attribuirsi carattere significativo in quanto mancante una puntuale e dettagliata argomentazione sulle ripercussioni negative derivanti dallo stesso sulla situazione reddituale della parte.

Con riguardo, infine, al motivo invocato dal ricorrente circa la violazione delle disposizioni normative di cui agli articoli 115 c.p.c., 2727 e 2729 c.c. e 171 D.P.R. n. 18/1967 (per avere il giudice d’appello ritenuto che egli disponesse di una consistente liquidità), la Cassazione aderisce alla posizione assunta dal giudice d’appello.

Gli Ermellini, difatti, statuiscono che la valutazione eseguita dalla Corte territoriale debba trovare pieno accoglimento, in quanto non ancorata alla mera valutazione di una situazione esclusivamente passata (come, invece, sostenuto dal ricorrente), dovendosi, pertanto, escludere che la valutazione eseguita dal giudice di secondo grado sia da considerarsi riduttiva perché legata alla disamina di una situazione priva di attualità.

I giudici di legittimità, al riguardo, specificano che “ad essere contestato non è il procedimento logico per cui il giudice del merito ha desunto l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto secondo la normalità dei casi bensì, ab origine, l’accertamento del fatto noto il che costituisce puto merito”.

Precisando, infine, che la violazione dell’art. 115 c.p.c. non è invocabile sulla scorta della mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove in modo non condiviso da una delle parti in causa; al contrario, (detta violazione) potrà invocarsi allorquando l’autorità giudiziaria non abbia posto a fondamento della decisione le prove assunte dalle parti.

Di qui, la conclusione secondo cui le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà rese dalla parte ricorrente (ex marito) non hanno valore probatorio nei confronti dell’ex moglie.

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