Assegnazione casa familiare: rapporti tra genitore assegnatario e terzi con diritti sul bene immobile

in Giuricivile, 2018, 7, (ISSN 2532-201X), nota a Tribunale di Bari, sez. II, 24 aprile 2018

La recentissima pronuncia del Tribunale di Bari costituisce l’occasione per tornare a riflettere sul tema dei rapporti tra l’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio e i terzi che possano vantare sul bene immobile diritti confliggenti con quello del genitore assegnatario.

Le principali tappe dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale

Il tema presenta due motivi di forte complessità: quello strettamente tecnico-giuridico, legato all’interpretazione e applicazione della disciplina stratificatasi nel corso di quasi cinquant’anni e la complessità derivante dall’importanza vitale degli interessi sociali e umani che vengono in gioco quando si tratta di assegnazione della casa familiare.

È evidente, infatti, che tale provvedimento giudiziale s’inserisce in situazioni di crisi del nucleo familiare e in presenza di figli, anche minori. La legge, fin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, si è preoccupata di proteggere l’integrità dell’habitat familiare nell’interesse della prole. I dati statistici, infatti, dimostrano che nella maggior parte dei casi il coniuge o il convivente assegnatario non è il proprietario dell’immobile o comunque non è proprietario esclusivo. Dunque il legislatore ha scelto di limitare il diritto di proprietà di uno dei coniugi o dei conviventi per dare prevalenza alla tutela dei diritti della prole. Il diritto patrimoniale cede o subisce una compressione per tutelare diritti non patrimoniali.

L’art. 155, co.4, c.c., oggi sostanzialmente trasfuso nell’art. 337-ter c.c., prevedeva che, in caso di separazione, l’abitazione nella casa familiare spettava di preferenza, e ove fosse possibile, al coniuge affidatario dei figli. Tale principio è rimasto invariato.

La legge n. 898/1970 sul divorzio, tuttavia, non recava un’analoga disposizione che consentisse l’assegnazione della casa familiare. Ragion per cui, il legislatore, con successiva norma, introduceva all’art. 6, co. 6, della suddetta legge, la previsione secondo cui, anche in caso di divorzio, il coniuge affidatario dei figli è preferito nell’assegnazione della casa familiare e “l’assegnazione della casa familiare, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.[1].

La Corte Costituzionale, inoltre, con la sent. n. 454 del 1989, estendeva l’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare ai sensi dell’art. 1599 c.c. anche alla separazione.

L’art. 1599 c.c. è dettato in tema di locazione e prevede sinteticamente che la locazione, ove trascritta, è sempre opponibile al terzo acquirente dell’immobile, il quale è tenuto a rispettare il diritto personale di godimento del conduttore. Diversamente, se la locazione non è trascritta, il diritto del conduttore è comunque opponibile al terzo acquirente ma nei limiti di nove anni dall’inizio della locazione.

Ciò voleva significare che l’assegnazione della casa familiare avrebbe dovuto seguire lo stesso principio.

Il richiamo all’art. 1599 c.c. non era di certo risolutivo, sia perché creava incertezze sulla natura giuridica del diritto del coniuge assegnatario dell’abitazione familiare, sia perché mancava di coordinamento con i principi generali e le norme in tema di pubblicità immobiliare e garanzie reali, in particolare quelle in tema di trascrizione immobiliare e iscrizione di ipoteca.

Le difficoltà interpretative conducevano alla storica pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 11096 del 2002, con la quale si affermò che, date le similitudini tra la posizione dell’assegnatario e del conduttore, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare è opponibile al terzo acquirente in data successiva, anche se non trascritto, per nove anni decorrenti dalla data dell’assegnazione, ovvero anche dopo i nove anni ove il titolo fosse stato in precedenza trascritto.

Il quadro normativo, infine, si è completato con l’introduzione dell’art. 155-quater c.c. oggi abrogato e sostituito dall’art. 337-sexies c.c. ad opera del dec. lgs. n. 154 del 2013.

Quest’ultima norma ripropone il disposto del previgente art. 155-quater c.c. e dispone che “Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 c.c.”.

Si tratta di un radicale cambiamento di prospettiva, in quanto il legislatore sembra abbandonare il vecchio criterio basato sul richiamo all’art. 1599 c.c. per ricondurre la soluzione dei conflitti tra genitore assegnatario della casa familiare e terzi alle normali regole della pubblicità immobiliare. Sul coniuge assegnatario grava un onere di trascrizione del provvedimento giudiziale. In caso di conflitto tra più aventi causa sul medesimo immobile si applica la regola del “prior in tempore potior in jure”, ossia la regola della prevalenza della trascrizione prioritaria di cui all’art. 2644 c.c.

In effetti, analizzando il tenore letterale delle disposizioni, si nota una differenza di fondamentale rilevanza tra l’art. 6, co.6, legge sul divorzio e il nuovo 155-quater (oggi 337-sexies) c.c. La differenza è nella nozione di “terzi” potenzialmente in conflitto con il genitore assegnatario della casa familiare.

Mentre nella prima norma si fa esplicito ed esclusivo riferimento all’opponibilità dell’assegnazione ai “terzi acquirenti”, nell’art. 155-quater e nel successivo 337-sexies c.c. la nozione di “terzi” viene allargata genericamente a tutti i “terzi” la cui posizione potrebbe entrare in conflitto con il diritto dell’assegnatario. La platea dei soggetti cui è opponibile l’assegnazione della casa familiare si amplia sino a comprendere non soltanto il terzo acquirente, ma anche il creditore ipotecario o il terzo comodante.

È opportuno però sottolineare che ampliare la nozione di terzi implica, come rovescio della medaglia, anche l’ampliamento dei soggetti che a loro volta possono opporre i loro diritti a quello dell’assegnatario e prevalere su di esso.

Questo è il principio che appare dalla lettura testuale del vigente art. 337-sexies c.c., il quale, condivisibilmente, è stata definito da alcuni autori “di una semplicità disarmante[2] rispetto alla natura degli interessi orbitanti intorno alla crisi familiare.

Tuttavia, come dietro le apparenti uguaglianze possono nascondersi profonde differenze, dietro la disarmante semplicità della regola dettata dal legislatore si nasconde un’ altrettanto disarmante complessità che ha portato alla frammentazione delle decisioni giurisdizionali sul tema.

Dal quadro normativo delineato, infatti, sono sorte diverse problematiche.

Oltre al tema della natura giuridica del diritto spettante al genitore assegnatario, è sorta la necessità di adattare la regola di legge a diverse fattispecie come i rapporti tra assegnatario e creditore ipotecario, tra assegnatario e terzo acquirente del bene, tra assegnatario e terzo comodante.

La natura giuridica del diritto del genitore assegnatario della casa familiare

In parallelo all’evoluzione normativa e giurisprudenziale, si è sviluppato il dibattito circa la natura giuridica del diritto spettante al coniuge o al convivente assegnatario della casa familiare. In effetti, la soluzione delle diverse fattispecie di conflitto tra assegnatario e terzi (creditore ipotecario, terzo acquirente o terzo comodante) è inscindibilmente legata alla natura che si riconosce al diritto dell’assegnatario dell’abitazione familiare.

Una parte della dottrina, sia prima che dopo il richiamo all’art. 1599 c.c., ha sostenuto la natura reale del diritto dell’assegnatario, sub specie di diritto reale di abitazione. Tale diritto di abitazione viene costituito per effetto di una fattispecie complessa: la previsione legislativa che, di norma, prevede l’assegnazione della casa familiare al genitore affidatario dei figli anche se non proprietario del bene e il provvedimento giurisdizionale[3].

In quanto tale, il diritto del genitore assegnatario è opponibile erga omnes e si risolve in radice il problema dei conflitti con i terzi attraverso la normale applicazione delle regole generali in tema di trascrizione dei diritti reali.

La tesi è stata disattesa dalla giurisprudenza e dalla scienza giuridica, sull’assunto che i modi di costituzione dei diritti reali sono tassativamente previsti dalla legge e questi non possono essere costituiti per provvedimento giurisdizionale per effetto degli artt. 1026 e 978 c.c[4].

Inoltre, il diritto reale di abitazione spettante al genitore affidatario è stato ritenuto eccessivamente condizionato, nella sua esistenza, da criteri preferenziali e di mera possibilità e, nella sua durata, da circostanze accidentali, in termini tali da renderlo incompatibile con gli schemi delle situazioni giuridiche reali.

Con la sopra citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2002, la Cassazione ha definito il diritto del genitore assegnatario della casa familiare come diritto personale di godimento atipico, in linea con il richiamo del legislatore all’art. 1599 c.c. in tema di locazione. In quest’occasione, le Sezioni Unite affermavano che il diritto di abitare assegnato al coniuge convivente con la prole ha natura “di diritto personale di godimento e/o di un diritto assimilato quoad effectum alla locazione”.

La tesi è stata confermata anche dopo l’introduzione dell’art. 155-quater c.c. e del successivo art. 337-sexies c.c. Il richiamo all’art. 2643 c.c., in effetti, non consente di dedurre la volontà del legislatore di riconoscere la natura reale del diritto dell’assegnatario della casa familiare. In primo luogo, perché al provvedimento giudiziale di assegnazione non è riconosciuta alcuna efficacia costitutiva. In secondo luogo, perché l’art. 2643 c.c. descrive gli atti o meglio gli effetti degli atti e negozi giuridici trascrivibili e, tra questi, vi sono anche atti ad effetti obbligatori dai quali sorgono diritti personali non aventi carattere reale (es. locazione ultranovennale, anticresi, ecc.)[5]

Il richiamo all’art. 2643 c.c., pertanto, non concerne la natura del diritto, bensì il suo regime giuridico. Non è un richiamo qualificante, bensì disciplinante, nel senso che attribuisce alla trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare valore di pubblicità dichiarativa con il conseguente operare della regola sancita dall’art. 2644 c.c.

Assegnazione della casa familiare e conflitto con il creditore ipotecario

La pronuncia del Tribunale di Bari in commento affronta proprio il caso del creditore garantito da ipoteca sull’immobile che richiede la liberazione del bene casa familiare assegnato nelle more al coniuge non proprietario.

In sede di esecuzione, infatti, il coniuge assegnatario della casa familiare e non proprietario aveva fatto opposizione all’esecuzione facendo valere il diritto derivante dal provvedimento di assegnazione della casa familiare, al fine di impedirne l’espropriazione, sull’assunto che l’iscrizione dell’ipoteca era precedente all’assegnazione ma la trascrizione del pignoramento era successiva ad essa.

La questione non è, in sé, sconosciuta alla giurisprudenza, la quale più volte si è pronunciata sulla medesima. Tuttavia, è proprio quella disarmante semplicità della regola della trascrizione prioritaria che lascia sempre il retrogusto amaro dell’insoddisfazione tipica delle soluzioni semplici ai problemi complessi.

Il Tribunale di Bari, uniformandosi alla nota pronuncia della Cassazione n. 7776/2016, ritiene che l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2002 debba essere superato e che l’opponibilità ai terzi dell’assegnazione della casa familiare debba seguire le ordinarie regole della trascrizione. Di conseguenza, se l’iscrizione dell’ipoteca ha data anteriore alla trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, il creditore ipotecario prevale sull’assegnatario e ha diritto di vedere liberato l’immobile per procedere ad esecuzione forzata, a nulla rilevando che il pignoramento sia successivo all’assegnazione dell’abitazione familiare.

La decisione non è così scontata come potrebbe apparire, in quanto – ed è questo il punto critico dell’intera questione – non vi è certezza circa l’esclusività della regola risultante dagli artt. 2643 e 2644 c.c.

In altri termini, occorre chiedersi se sia proprio vero che, allo stato, l’unica regola volta a disciplinare i conflitti tra assegnatario della casa familiare e creditore ipotecario sia quella della trascrizione prioritaria. Sul punto sono emerse due differenti impostazioni.

La pronuncia del Tribunale di Bari, infatti, è di particolare interesse perché prende un’esplicita posizione in merito alla suddetta questione. Il Giudice scrive, in motivazione, che la regola della trascrizione prioritaria è l’unica e sola applicabile ratione temporis, in quanto la disposizione di cui all’art. 6, co. 6, L. n. 898/1970 in tema di divorzio, che conteneva il rinvio alla regola dettata dall’art. 1599 c.c., “deve ritenersi implicitamente abrogata dall’art. 155-quater c.c. (poi trasfuso nell’odierno 337-sexies c.c.)”. L’abrogazione tacita dell’art. 6, co.6, L. 898/70 è il portato logico della ritenuta incompatibilità tra la regola della trascrizione prioritaria di cui all’art. 2644 c.c. e quella previgente dettata dall’art. 1599 c.c. La disapplicazione di quest’ultima è la conseguenza logica dell’applicazione della norma neo introdotta.

Il Tribunale, pertanto, aderisce alla tesi della esclusività della regola della trascrizione prioritaria fondata sull’abrogazione implicita della regola previgente di cui all’art. 1599 c.c. Di tal ché, si esclude in radice qualsiasi possibilità di opporre l’assegnazione della casa familiare non trascritta sebbene per il limitato periodo di nove anni, come invece avrebbe consentito la regola dettata dall’art. 1599 c.c.

La presa di posizione ha ricadute implicite notevoli. In concreto, affermare l’abrogazione implicita del rinvio all’art. 1599 c.c. contenuto nell’art. 6, co.6, L. n. 898/1970 significa sostenere che, ove l’assegnazione della casa familiare non sia stata trascritta del tutto, non vi è possibilità alcuna di invocare l’applicazione, in via residuale, della regola di cui all’art. 1599 c.c. e, quindi, di opporre l’assegnazione della casa familiare almeno per il novennio dalla medesima.

La pronuncia si pone sulla scia del suo precedente di legittimità più autorevole: Cass., Sez. III, 20 aprile 2016, n. 7776, Est. Barreca. Anche in quel caso era stata espressa la regola della prevalenza del creditore ipotecario che abbia iscritto ipoteca in data anteriore rispetto alla trascrizione del provvedimento di assegnazione per effetto dell’art. 2644 c.c., sebbene il pignoramento sia successivo. Tuttavia, la Cassazione non si era pronunciata sul tema dell’abrogazione implicita o no del rinvio all’art. 1599 c.c. perché in quel caso l’assegnazione era stata trascritta anche se tardivamente.

La Cassazione, in motivazione, afferma che tutelare il coniuge assegnatario anche se ha trascritto posteriormente all’ipoteca “significherebbe che l’ordinamento verrebbe ad accordare maggiore tutela al coniuge che, dopo l’iscrizione dell’ipoteca, abbia avuto attribuito il diritto parziale rispetto al coniuge (convivente von i figli) che, per ipotesi, abbia conseguito la piena proprietà del bene ipotecato”.

L’assegnazione della casa familiare viene, infatti, ad assumere i tratti di un “vincolo sostanzialmente espropriativo” o di “un’espropriazione di valore” per il creditore ipotecario, il quale si vede azzerato il valore d’uso e di scambio del bene ai fini della vendita forzata. Secondo la Cassazione, non vi è alcuna norma che consenta di sottrarre al creditore ipotecario il valore d’uso e di scambio del bene.

Ulteriore spinta verso la suddetta soluzione è stata dettata dalla preoccupazione di scongiurare intenti speculativi o addirittura fraudolenti tra i coniugi a danno di creditori che avevano regolarmente iscritto ipoteca ed erogato ad essi un mutuo proprio per l’acquisto della casa coniugale.

Tuttavia, è emersa una diversa impostazione che arriva a conclusioni differenti muovendo dalla erroneità del presupposto dell’abrogazione implicita dell’art. 6, co.6, legge sul divorzio, contenente il rinvio all’art. 1599 c.c. per effetto dell’introduzione dell’art. 155-quater e oggi art 337-sexies c.c.

Si tratta della tesi del c.d. concorso tra regola della trascrizione prioritaria e regola di cui all’art. 1599 c.c. In giurisprudenza e dottrina è stato più volte sostenuta la tesi che riteneva necessaria la trascrizione ai soli fini dell’opponibilità ultranovennale, in virtù della perdurante vigenza dell’art. 6, co.6, legge sul divorzio. Tale norma, secondo questa prospettiva, non è incompatibile con la regola della trascrizione prioritaria, ma concorre insieme ad essa a disciplinare l’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare entro il limite dei nove anni.

Parte della scienza giuridica ha scritto che la regola di cui all’art. 1599 c.c. contenuto nel citato art. 6, co.6, “non è stata abrogata dalle nuove disposizioni introdotte dalla L. n. 54/2006 e… risponde all’esigenza di tutela della parte più debole nei giudizi di separazione e di divorzio, ossia i figli, il cui interesse al mantenimento dell’habitat domestico è garantito con l’assegnazione della casa al genitore presso cui sono collocati o con il quale convivono[6].

Di conseguenza, ove l’assegnazione non sia stata trascritta, secondo questa impostazione, non vi è alcuna norma che impedisca al giudice di applicare, in via residuale, la regola dettata dall’art. 1599 c.c. e garantire al genitore assegnatario della casa familiare l’opponibilità del proprio diritto ad abitare per almeno nove anni nei confronti dei terzi che vantano diritti sul bene medesimo.

La tesi della permanenza in vigore dell’art. 6, co.6, legge sul divorzio, è suffragata, secondo alcuni autori, anche dal fatto che il legislatore del 2013, con la riforma della filiazione, non ha modificato il disposto della suddetta norma, così da potersi ritenere che il richiamo all’art. 1599 c.c., in essa contenuto, sia sopravvissuto.

Nello stesso senso si è orientata una parte della giurisprudenza più recente[7].

Assegnazione della casa familiare e terzo acquirente

Altra fattispecie che ha messo a dura prova la giurisprudenza e la scienza giuridica è quella del conflitto tra assegnatario dell’abitazione familiare e terzo acquirente dell’immobile dall’ex-coniuge e/o ex-convivente proprietario. Il problema più delicato, anche per gli interessi che vengono in rilievo, sorge nei casi di alienazione dell’immobile a terzi nelle more del procedimento di separazione o comunque prima che venga adottato il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario.

Anche in tal caso, in base al dato normativo e alla prevalente tesi dell’abrogazione implicita del richiamo all’art. 1599 c.c., il conflitto dovrebbe essere risolto applicando la regola della trascrizione prioritaria derivante dal combinato disposto degli artt. 337-sexies, 2643 e 2644 c.c. E però questa risulta facilmente eludibile, specie nell’ipotesi sopra descritta in cui l’alienazione del bene avviene scientemente prima che sia adottato il provvedimento giudiziale di assegnazione. Per cui, almeno in linea teorica, il terzo acquirente dovrebbe poter opporre il proprio acquisto se ha trascritto in data anteriore alla trascrizione dell’assegnazione della casa familiare.

Sennonché, nelle ipotesi in esame, la giurisprudenza si è mostrata molto meno ligia alla rigida applicazione formale del dato normativo, come dimostrato dalla criticatissima (sotto l’aspetto puramente tecnico-giuridico) pronuncia della Cassazione, sez. I, 11 settembre 2015, n. 17971, Est. Acierno.

La pronuncia citata ha affermato il principio secondo cui, anche se l’acquisto del terzo è trascritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, il coniuge o il convivente assegnatario può comunque opporre il proprio diritto al terzo acquirente in quanto titolare di una detenzione qualificata del bene cronologicamente preesistente all’alienazione. Il coniuge o convivente assegnatario, secondo la Cassazione, è titolare di un “doppio qualificato titolo detentivo: il primo costituto dalla convivenza di fatto con il proprietario dante causa, il secondo dalla destinazione dell’immobile a casa familiare, prima della alienazione a terzi, e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo mediante l’assegnazione della casa familiare[8].

Nella prospettiva della Cassazione, dunque, la relazione di fatto esistente con l’immobile, qualificata come detenzione in base a comodato, è anteriore all’alienazione e crea, in capo all’assegnatario, una sorta di “aspettativa” di assegnazione opponibile al terzo acquirente/primo trascrivente.

Le critiche alla decisione della Suprema Corte erano certamente attese e sono pervenute da più parti. La ratio della decisione è stata senza dubbio quella di anticipare la soglia di tutela del coniuge assegnatario e dei figli per evitare distorsioni o elusioni delle regole della pubblicità immobiliare. La preoccupazione della Corte è ovviamente condivisibile. Molto meno lo è il percorso logico-giuridico intrapreso per arrivare a tale conclusione.

La critica più aspra è di aver sostanzialmente reso una “interpretatio abrogans” dell’art. 337-sexies c.c., se non addirittura di averlo inapplicato. E’ evidente che una detenzione qualificata tradotta in diritto personale di godimento per comodato non può tecnicamente essere ritenuta opponibile al terzo acquirente che abbia trascritto il proprio acquisto in data anteriore all’assegnazione della casa familiare. L’unica eccezione sarebbe quella in cui l’acquirente, al momento della stipula, conoscesse l’esistenza del comodato sul bene e lo avesse accettato[9].

Tuttavia, ad un’attenta lettura della pronuncia, la portata del principio espresso dalla Cassazione risulta estremamente ridotta dalla silenziosa quanto significativa precisazione che il dictum vale entro tre limiti:

  1. l’opponibilità non può prescindere dal concreto ottenimento del provvedimento di assegnazione della casa familiare;
  2. l’opponibilità vale solo nei limiti del novennio[10];
  3. il terzo acquirente, oltre ad essere a conoscenza della destinazione dell’immobile ad abitazione familiare, deve essere stato “partecipe del disegno volto alla sottrazione del bene dal patrimonio del debitore”.

Indubbiamente, si tratta di dettagli importanti ma che non sanano il contrasto con i principi generali dell’ordinamento in tema di pubblicità immobiliare.

Ciò detto, evitando l’aridità della critica per la critica, le soluzioni alternative per tutelare il coniuge assegnatario nelle ipotesi di elusione o uso strumentale delle norme sulla trascrizione immobiliare, sempre nelle more del procedimento per l’assegnazione della casa familiare, sono state individuate da più parti e sono tutte suggestive, sebbene anch’esse non vadano esenti da critiche serie almeno quanto quelle mosse alla sentenza della Cassazione del 2015 sopra citata.

Di seguito, si indicano le principali strade alternative proposte:

  1. l’azione revocatoria ex art. 2901, co.1, n. 2 , c.c. proponibile dai familiari creditori del coniuge alienante nei confronti del terzo acquirente che sia a conoscenza della destinazione familiare dell’abitazione e della dannosità dell’atto per le ragioni dei creditori familiari[11].
    Sul punto, è sufficiente osservare che lo strumento revocatorio non è una soluzione credibile, sia perché è uno strumento di conservazione della garanzia del credito pecuniario, sia perché non è immediatamente satisfattivo, non consentendo di ottenere il rilascio dell’immobile[12].
  2. la responsabilità ex art. 2043 c.c.: l’alienazione dell’immobile destinato a casa familiare integrerebbe gli estremi del fatto illecito per violazione dei doveri endofamiliari[13].
    Anche tale soluzione presenta un deficit di utilità, atteso che l’interesse ad ottenere il godimento del bene non sarebbe comunque soddisfatto.
  3. il sequestro giudiziario dell’immobile in via cautelare ex art. 670, n.1 , c.p.c., il sequestro conservativo o un provvedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c.[14]
  4. la costituzione e la trascrizione, prima della crisi coniugale, di un atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
  5. la trascrizione della domanda giudiziale di assegnazione con effetto prenotativo della futura ed eventuale assegnazione della casa familiare.

Si tratta, forse, della soluzione alternativa più interessante. E’ chiaro, infatti, che la trascrizione della domanda giudiziale di assegnazione consentirebbe di retrodatare gli effetti della trascrizione del provvedimento giudiziale alla data di trascrizione della domanda[15].

L’effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale, in concreto, consentirebbe, come efficacemente scritto, al tempo giuridico di azzerare il tempo storico. Di tal ché, l’assegnazione sarebbe opponibile al terzo acquirente fin dal momento della trascrizione della domanda e, nelle more del giudizio, il coniuge futuro assegnatario sarebbe tutelato da eventuali trascrizioni in suo danno.

Se non fosse, però, che tale trascrizione non è ritenuta tecnicamente possibile.

Infatti, la domanda di assegnazione della casa familiare non è compresa nel novero delle domande trascrivibili ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c. Alla trascrivibilità della domanda di assegnazione osta il principio di tassatività degli atti soggetti a trascrizione. Questa è la posizione prevalsa in giurisprudenza e dottrina[16].

Diversamente, ove si aderisse alla tesi che legge le norme sulla trascrizione come norme sugli effetti e non sugli atti, si dovrebbe verificare quale sia l’effetto in concreto realizzato dalla domanda di assegnazione della casa familiare e se esso sia analogo a quello realizzato da una delle domande trascrivibili elencate dagli artt. 2652 e 2653 c.c.

Parte della giurisprudenza e della dottrina ha tentato un’interpretazione estensiva-sistematica dell’art. 2652 c.c. ipotizzando che, prevedendo la trascrizione del provvedimento di assegnazione, implicitamente il legislatore abbia ammesso, altresì, la trascrizione della domanda di assegnazione. Nello stesso senso, una parte della scienza giuridica ha teorizzato la trascrivibilità della domanda di assegnazione mediante l’interpretazione estensiva dell’art. 2652, n. 2 c.c., poiché siffatta disposizione potrebbe essere applicata ogniqualvolta sia richiesta, in relazione a beni immobili o diritti immobiliari, la sentenza costitutiva di uno degli effetti dei contratti di cui all’art. 2643 c.c. Rientrando, in tale ottica, ogni sentenza costitutiva nell’ambito dell’art. 2652, n. 2, cod. civ., sarebbe irragionevole, secondo questa impostazione, escludere la trascrizione della domanda di assegnazione tendente anch’essa ad una sentenza costitutiva[17].

Tuttavia, va detto che non si ricava nella disciplina della trascrizione un principio generale in virtù del quale sono suscettibili di trascrizione tutte le domande giudiziali che si riferiscono agli atti suscettibili di trascrizione, non essendo possibile colmare in via interpretativa la lacuna legislativa, dovuta a mera dimenticanza o difetto di coordinamento, alla luce dell’attuale disciplina.

In assenza di un intervento normativo, si tratta di un tentativo di colmare un vuoto di tutela davvero arduo, a meno che non si solleciti un intervento della Corte Costituzionale sugli artt. 2652 e 2653 c.c. nella parte in cui non prevedono la trascrivibilità della domanda di assegnazione.

Assegnazione della casa familiare e terzo comodante

La terza ipotesi più ricorrente nella prassi in cui il diritto dell’assegnatario della casa familiare può venire in conflitto con la posizione del terzo riguarda gli immobili dati in comodato alla coppia di coniugi o di conviventi per la destinazione a casa familiare. In occasione della crisi del rapporto coniugale o di cessazione della convivenza, è molto frequente che il comodante richieda al genitore assegnatario della casa familiare e non proprietario il rilascio dell’immobile dato in comodato.

Domandare il rilascio dell’immobile dato in comodato al genitore assegnatario significa, tecnicamente, esercitare il diritto di recesso dal contratto. Si viene, così, a creare una situazione di conflitto tra il comodante, che intende recedere dal contratto e ottenere il rilascio dell’immobile, e il genitore assegnatario della casa familiare.

È opportuno premettere che il comodato non è un contratto formale, anzi è un contratto reale ad effetti obbligatori: si perfeziona con la consegna materiale del bene al comodatario e produce obbligazioni in capo ad entrambi le parti, tra cui, principalmente, l’obbligo di consentire al comodatario il godimento gratuito dell’immobile.

È un contratto gratuito, nel senso che al sacrificio del comodante corrisponde un vantaggio del comodatario ma quest’ultimo non deve tollerare alcun sacrificio, né far ottenere un vantaggio economicamente misurabile al comodante. Al più, il contratto può rispondere ad un interesse morale o non patrimoniale del comodante.

Il codice civile prevede sostanzialmente due tipologie di comodato: il comodato in senso stretto di cui agli artt. 1803 e 1809 c.c. e il comodato c.d. precario di cui all’art. 1810 c.c.

Il comodato in senso stretto è quello sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso specifico. Trattandosi di un comodato a termine o ad uso specifico, l’art. 1809 c.c. consente al comodante il recesso soltanto per il soddisfacimento di bisogni sopravvenuti urgenti e imprevisti. Tra questi vi rientrano, affinchè il recesso sia legittimo, due macro categorie: le ipotesi in cui il comodante ha necessità dell’uso diretto del bene; quelle in cui, per difficoltà finanziarie, il comodante si trova nella necessità di sfruttare economicamente il bene mediante locazione, compravendita ecc.

L’onere della prova dell’effettiva esistenza del bisogno sopravvenuto al contratto, dell’urgenza e dell’imprevedibilità ricade in capo al comodante recedente.

A ciò si aggiunga che, nel momento in cui la giurisprudenza individua le due macro categorie di bisogni legittimanti il recesso dal comodato a termine o ad uso specifico, fa ricorso al concetto di stato di necessità, il quale implica la prova della c.d. inevitabilità altrimenti, ossia l’assenza di alternative ugualmente efficaci e meno negativamente incidenti sulla posizione del comodatario.

Il comodato precario, invece, è detto precario proprio perché non avendo un termine o un uso specifico, la legge riconosce al comodante il diritto di recesso ad nutum, senza alcuna particolare ragione giusitificativa. E’ bene ricordare, però, che i poteri discrezionali unilaterali incidenti sul contratto, anche se sganciati da una giusta causa, sono soggetti al limite esterno della buona fede. La giurisprudenza è unanime nell’affermare che i canoni di buona fede e correttezza informano anche e soprattutto l’esercizio di poteri contrattuali unilaterali discrezionali, come ad esempio, il potere di recesso ad nutum ecc. (si pensi al notissimo caso Renault 2009).

Questa premessa è un passaggio obbligato per arrivare a risolvere il problema del conflitto tra comodante recedente e coniuge assegnatario della casa familiare. La chiave di volta sulla quale si è accesso il contrasto giurisprudenziale risolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite è proprio la natura del comodato, dalla quale dipendono le condizioni del recesso.

Secondo un primo orientamento, espresso da Cass., SS.UU., n. 13603 del 2004, in caso di concessione in comodato di immobile destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione della casa familiare non modifica la natura del rapporto. Il diritto personale di godimento derivante dal comodato si cristallizza in capo al coniuge assegnatario.

Il comodato segue le regole dell’art. 1809 c.c. essendo stato concesso per un uso specifico, ossia la destinazione dell’immobile ad abitazione della famiglia. La crisi del rapporto coniugale o di convivenza non determina l’impossibilità sopravvenuta della destinazione a casa familiare, anzi questa è ancora possibile proprio in virtù del provvedimento di assegnazione.

Il comodante è tenuto a consentire il godimento del bene, potendo recedere soltanto in casi di bisogno sopravvenuto urgente e imprevisto.

Per diverso orientamento, espresso da Cass., n. 15986/2010, la destinazione a casa familiare non ha rilevanza ai fini dell’uso specifico. Se nel rapporto di comodato instaurato con la coppia non vi era un termine, il comodato deve ritenersi a tempo indeterminato e quindi precario. Di tal ché, è sempre ammesso il recesso ad nutum del comodante, nei limiti della buona fede, anche in presenza di provvedimento di assegnazione della casa familiare.

Il contrasto è stato risolto da Cass., SS.UU., n. 20448 del 29/09/2014, che ha aderito al primo orientamento, confermando quanto deciso dalle Sezioni Unite del 2004[18].

Considerazioni conclusive

La panoramica sui principali temi dibattuti fino ad oggi consente di guardare al problema dei rapporti tra assegnatario della casa familiare e terzi da un punto vista sistematico.

Ciò che, prima di tutto, risalta all’attenzione del giurista è senza dubbio una certa incoerenza logica nella valorizzazione della ratio sottesa all’assegnazione della casa familiare.

Si è visto, infatti, che, nei rapporti tra assegnatario e creditore ipotecario, la giurisprudenza ha fatto una rigida applicazione delle disposizioni di legge, dando prevalenza al creditore ipotecario che abbia iscritto ipoteca in epoca anteriore alla trascrizione dell’assegnazione. Inoltre, la giurisprudenza si è spinta fino a dichiarare implicitamente abrogato l’art. 6, co. 6, L. n. 898/70 e, di conseguenza, ad escludere l’applicazione della regola di cui all’art. 1599 c.c.

La morale è che, siccome l’assegnazione priva il bene del proprio valore d’uso o di scambio e vi è il timore di comportamenti fraudolenti a danno dei creditori, la tutela delle ragioni del creditore ipotecario viene ritenuta prioritaria rispetto alla tutela degli interessi della prole, anche minore, e non economicamente autosufficiente. In questa sede non spetta esprimere giudizi di valore, per cui, sul piano strettamente tecnico, la decisione può esser ritenuta valida o, come sostenuto da alcuni autori, erronea in quanto l’art. 6, co.6, legge n. 898/1970, sarebbe sopravvissuto alle riforme.

Tuttavia, l’orientamento seguito anche dalla sentenza del Tribunale di Bari in commento stride con l’eccesso di tutela dell’assegnatario che, al contrario, la giurisprudenza ha ritenuto di accordare nei rapporti con il terzo acquirente e il terzo comodante.

In questi due ultimi casi, infatti, si è visto che la giurisprudenza è giunta a forti deroghe ai principi generali del nostro ordinamento, soprattutto nel riconoscimento dell’opponibilità della detenzione qualificata cronologicamente preesistente al terzo acquirente/primo trascrivente. Ma lo stesso si è fatto per i rapporti con il terzo comodante, in cui la necessità di tutelare l’assegnatario della casa familiare e della prole è stata ritenuta tale da limitare fortemente il diritto di recesso del comodante ai soli casi dell’art. 1809 c.c.

Pertanto, in modo del tutto scevro da condizionamenti e giudizi di valore, sorge spontaneo chiedersi quale sia la ragione giustificativa della disparità di trattamento tra il creditore ipotecario e gli altri terzi (acquirente o comodante).

Un’applicazione coerente della ratio sottesa all’istituto e delle disposizioni normative dovrebbe quanto meno condurre la giurisprudenza ad optare chiaramente per una sola strada, qualunque sia quella ritenuta più rispondente al dato normativo.

Molti studiosi della materia, infatti, hanno più volte auspicato un intervento chiarificatore e armonizzatore delle Sezioni Unite in grado di ricondurre la soluzione delle diverse fattispecie problematiche alla medesima logica.

Per la verità, altra parte della scienza giuridica ha affermato che un intervento delle Sezioni Unite sui temi sopra descritti sarebbe poco efficace e non risolutivo, in quanto si tratta di colmare vuoti di tutela attraverso scelte di competenza del legislatore.

Ciò detto, dal punto vista della gerarchia di valori che emerge dalla Carta Costituzionale, i difetti tecnici delle pronunce della Cassazione in tema di tutela dell’assegnatario rispetto al terzo acquirente e al terzo comodante sono compensabili, almeno fino ad un intervento legislativo, con il grande merito di aver assicurato la prevalenza degli interessi sociali e umani della famiglia, che comprendono anche la sua crisi, su interessi strettamente patrimoniali. E’ opportuno ricordare che l’art. 29 Cost. non tutela soltanto la famiglia nel momento in cui essa esiste, ma, ancor più importante, tutela la famiglia e i figli nel momento di crisi, di disgregazione della medesima.

Al contrario, le scelte operate dalla giurisprudenza nel riconoscere la prevalenza del creditore ipotecario che abbia iscritto per primo sulla successiva assegnazione della casa familiare sono tecnicamente corrette, ma hanno il grave difetto di invertire la gerarchia di valori indirettamente risultante dalla Costituzione della Repubblica. La tutela della famiglia e della prole è subordinata al mantenimento del valore d’uso o di scambio del bene.

I dubbi sorgono, altresì, dalla considerazione che l’assegnazione della casa familiare è un provvedimento temporaneo revocabile quando vengono meno le condizioni di legge per il suo riconoscimento (es. i figli diventano economicamente indipendenti, l’instaurazione di una convivenza di fatto o le nuove nozze) e che è ammessa, in giurisprudenza, l’azione di accertamento della sopravvenuta assenza degli stessi.

Il paradosso da segnalare, per ciò, è che, da un lato, vi sono pronunce tecnicamente corrette ma ingiuste sul piano valoriale o comunque troppo rigide, necessitanti di temperamenti; dall’altro, vi sono pronunce tecnicamente assai criticabili ma più rispettose della scala gerarchica di valori trasmessa dalla Costituzione.

Sono, questi, problemi che nascono dal vuoto normativo di tutela.

Come primo passo, per ciò, sarebbe auspicabile che il legislatore introducesse la trascrivibilità della domanda di assegnazione della casa familiare con effetto prenotativo, così come tempo addietro fu fatto per il contratto preliminare.


[1] Per eventuali approfondimenti sul dibattito scientifico, si veda: Frezza, Mantenimento diretto e affidamento condiviso, Milano, 2008.

[2] Chiusoli, Assegnazione della casa familiare e opponibilità ai terzi: la disarmante semplicità del principio di priorità della trascrizione, in Dir. e fam., 1, 2017, 37 e ss.

[3] Per tutti: Bianca, Diritto Civile, 2, La Famiglia. Le successioni, 1981, Milano.

[4] Pascucci, Assegnazione della casa familiare e terzi acquirenti dell’immobile: una singolare anticipazione di tutela a favore dell’aspirante assegnatario, in Famiglia e dir., 5, 2016, 441 e ss.

[5] Sul punto è bene ricordare che tradizionalmente si contrappongono due interpretazioni. Secondo quella tradizionale, l’art. 2643 c.c. fa un elenco tassativo degli atti trascrivibili e, quindi, presuppone imprescindibilmente la necessaria corrispondenza tra tipi di atto (quello compiuto e quello indicato dalla norma). Per altra e diversa impostazione, l’art. 2643 c.c. è norma sugli effetti, nel senso che consente la trascrizione di tutti quegli atti che, pur non corrispondendo ai tipi espressamente previsti, producono effetti analoghi a questi.

[6] Gazzoni, Manuale di diritto privato, XII ed., Napoli, 2006, 395; Figone, L’assegnazione della casa familiare, in Famiglia e dir., 2011, 409 e ss.; Pascucci, Assegnazione della casa familiare e terzi acquirenti dell’immobile: una singolare anticipazione di tutela a favore dell’aspirante assegnatario, in Famiglia e dir., 5, 2016, 441 e ss.

[7] Cass., 22.07.2015, n. 15367.

[8] L’orientamento è seguito dalla prevalente e più recente giurisprudenza. Si veda, ad esempio: Cass., sez. III, n. 7007/2017.

[9] Si deroga fortemente ai principi in tema di comodato. Si veda: Cass., n. 664/16, secondo cui “Il contratto di comodato di immobile, stipulato dall’alienante di esso in epoca anteriore al suo trasferimento, non è opponibile all’acquirente del bene, non estendendosi a rapporti diversi dalla locazione le disposizioni, di natura eccezionali, di cui all’art. 1599 c.c., sicchè l’acquirente non può risentire alcun pregiudizio dall’esistenza del rapporto di comodato, atteso il suo diritto a far cessare in qualsiasi momento “ad libitum” il godimento del bene da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa”.

[10] Nello stesso senso Cass. civ. Sez. II, 24/01/2018, n. 1744, secondo cui: “Il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) è opponibile – nei limiti del novennio, ove non trascritto – anche al terzo acquirente dell’immobile, ma solo finché perdura l’efficacia della pronuncia giudiziale, sicché il venire meno del diritto di godimento del bene (perché la prole è divenuta maggiorenne ed economicamente autosufficiente) legittima il terzo acquirente dell’immobile a proporre un’ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna degli occupanti al pagamento della relativa indennità di occupazione illegittima.”.

[11] Paladini, Limiti all’opponibilità del diritto dell’assegnatario di casa familiare, in nuova giur. civ. comm., 2016, 247 e ss.

[12] Cass., 22.05.2007, n. 11830.

[13] Paladini, Limiti all’opponibilità del diritto dell’assegnatario di casa familiare, in nuova giur. civ. comm., 2016, 247 e ss.

[14] Trib. Padova, 20.07.2009, ord., in Nuova giur. civ. comm., 2010, 169, con nota di Ronchese, Assegnazione della casa familiare e tutela cautelare atipica: centralità della persona e principio di sussidiarietà in concreto.

[15] Re, Assegnazione della casa familiare ed iscrizione di ipoteca, in Imm. & propr., 4, 2018, 239 e ss.

[16] Per tutti: Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, in Il Codice Civile, commentario fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2015, passim; in giurisprudenza, si veda: Cass., 30.08.2004, n. 17391; Trib. Pisa, 27 febbraio 2008, in Dir. fam., 2008, 737 e ss., con nota adesiva di Gazzoni.

[17] Gabrielli, Pubblicità dei diritti di abitazione, reali e personali, nei registri immobiliari del codice civile e nei libri fondiari, in Vita not., 2003, 583; Sirena, L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso, in Riv. dir. civ., 2011, II, 574.

[18] La tesi ha avuto seguito anche nella giurisprudenza successiva e più recente. Ex multis, si veda, Cass., Sez. VI – Ord., 12/02/2018, n. 3302,  secondo cui: “Il provvedimento con il quale il Giudice della separazione o del divorzio dispone l’assegnazione della casa coniugale, anche a favore del coniuge che non sia titolare di diritti reali o personali sul bene nei confronti del terzo proprietario, non investe il titolo negoziale che regolava l’utilizzazione dell’immobile prima del dissolvimento della unità del nucleo familiare, alla stregua del quale continuano ad essere disciplinate le obbligazioni derivanti dal rapporto tra le parti, ma va a concentrare l’esercizio dei diritti e delle obbligazioni esclusivamente in capo al coniuge assegnatario a favore del quale, pertanto, non viene costituito alcun nuovo diritto che va a limitare la preesistente situazione giuridica del dominus. L’anzidetto provvedimento, pur non essendo costitutivo di un nuovo diritto, deve ritenersi elemento indispensabile in quanto presupposto di legittimazione affinché il coniuge (o l’ex coniuge) assegnatario della casa familiare che non sia già titolare di diritti reali o personali nei confronti del dominus, possa continuare a godere dell’immobile utendo jure del titolare-comodatario, in quanto componente di quel nucleo familiare che deve considerarsi l’effettivo beneficiario dell’uso dell’immobile. Il contratto di comodato di lunga durata, figura nella quale si inscrive il rapporto caratterizzato dalla destinazione d’uso per le esigenze della famiglia, pertanto, non può ritenersi scollegato dalle vicende del nucleo familiare, sia nel momento fisiologico che in quello patologico della convivenza matrimoniale, così come accertate nel provvedimento giudiziale innanzi menzionato, atteso che solo in seguito a tale provvedimento risultano verificate le condizioni legali che consentono l’assegnazione della casa familiare, in difetto delle quali cessa il presupposto che legittima l’assegnatario, che non era titolare di diritti sull’immobile, a permanere nel godimento del bene.

1 COMMENTO

  1. Cosa posso fare per avere la disponibilità dell’appartamento di mia proprietà dato in comodato d’uso 10 anni fa a mia figlia al fine di destinarlo insieme a suo marito a proprio domicilio.I due anno avuto una figlia che ora ha 7 anni e 2 anni fa si sono separati con l’assegnazione della casa coniugale a mia figlia ma con la condizione che i coniugi si alternano nell’appartamento per garantire alla bimba di dimorare stabilmente nella casa coniugale.a gennaio 2018 mia figlia ha avuto un bimbo da da un suo compagno presso il quale vive stabilmente da giugno 2018 .essendo venuta meno l’esigenza all’uso familiare dell’immobile come posso ottenere la disponibilità dell’immobile di mia proprietà? In caso contrario posso pretendere un affitto adeguato al valore di mercato?

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