Con l’ordinanza n. 28437 del 28 novembre 2017, è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione riguardante l’individuazione dei limiti di legittimità di eventuali clausole negoziali che comportino il trasferimento del carico fiscale da un contraente all’altro[3], in riferimento a un rapporto di locazione ad uso non abitativo, ed estranee al sinallagma negoziale.
Tale provvedimento rappresenta l’occasione per meditare, ancora una volta, sulla compressione dell’autonomia negoziale[1] e, specularmente, sull’efficacia diretta dei principi costituzionali[2].
Sommario: Premessa – 1. L’incidenza dell’art. 53 Cost.: in senso oggettivo e in senso soggettivo – 2. Il dibattito giurisprudenziale – 3. Primo orientamento – 4. Secondo orientamento – 5. L’abuso del diritto – 6. Posizioni dottrinali – 7. In attesa delle Sezioni Unite (Cass. Civ., ord. 28 novembre 2017 n. 28437)
Il limite giuridico sarebbe costituito dal principio di capacità contributiva, contemplato dall’art. 53 Cost., considerato quale norma imperativa capace di precludere la contrazione di patti negoziali che possano causarne l’esclusione.
Occorre, allora, verificare la sussistenza effettiva – o meno – di questo limite: sussistenza che, qualora fosse accertata, comporterebbe l’applicazione della sanzione della nullità. Quindi è necessario indagare i rapporti che avvincono la pattuizione de qua alla norma fondamentale.
1. L’incidenza dell’art. 53 Cost.: in senso oggettivo e in senso soggettivo
L’art. 53 Cost. mira a realizzare un dovere inderogabile di solidarietà[4], come sancito dall’art. 2 Cost[5].
L’obbligo di contribuzione alle spese pubbliche, in ragione della capacità contributiva di ognuno, si esprime attraverso due concezioni: una oggettiva e l’altra soggettiva.
Se si desse preminenza al senso oggettivo, il patrimonio del debitore individuato dalla norma rileverebbe per la determinazione di quanto dovuto al fisco, e la somma impiegata per l’adempimento potrebbe anche essere corrisposta da un soggetto diverso.
Se, invece, si cogliesse anche il senso soggettivo della norma, si dovrebbe guardare al patrimonio del debitore come fonte unica di provenienza di quanto corrisposto[6], e si dovrebbe concludere per la necessaria corrispondenza tra il soggetto sul quale, per legge, grava l’obbligo e quello che effettivamente lo adempie. Sarebbe, insomma, da escludersi il trasferimento dell’onere fiscale su un patrimonio diverso.
Bisogna chiedersi, allora, se, a parte i casi specifici in cui espressamente la legge permette la traslazione e quelli in cui dichiaratamente la vieta, è possibile all’autonomia privata determinare il soggetto passivo dell’imposta: interrogativo necessitato dalla natura imperativa e percettiva della disposizione costituzionale.
2. Il dibattito giurisprudenziale
Sin dagli anni Settanta, si fronteggiano due orientamenti giurisprudenziali.
Il primo si pone a sostegno della invalidità tout court del patto diretto a trasferire l’onere d’imposta a un soggetto diverso rispetto a quello individuato dalla norma[7].
Il secondo, invece, paventa la soluzione opposta[8], dubitando della possibilità di applicare l’art. 1418 co.1 c.c. per l’impossibilità di desumere, dall’impianto costituzionale, un divieto generalizzato al trasferimento dell’onere del tributo.
La posizione di quest’ultima linea, in realtà, è più complessa. Bisognerebbe, infatti, individuare i casi in cui l’accordo traslativo sia un autentico trasferimento dell’obbligazione tributaria (dovendo concludere per l’illegittimità della clausola); e le ipotesi in cui la convenzione comporti solamente la traslazione del peso economico dell’imposta, (dovendo giungere alla soluzione opposta, cioè alla conseguente validità dell’accordo[9]).
3. Sguardo al primo orientamento
L’argomento cardine della prima posizione è costituito proprio dalla valenza da attribuire alla disposizione costituzionale[10].
La clausola contrattuale che assegna l’onere al soggetto diverso da quello determinato dalla voluntas legis sarebbe viziata in quanto in contrasto con l’art. 53 Cost.
Si tratterebbe, pertanto, di una nullità ex art. 1418 c.c., che sanziona la violazione del divieto inderogabile di riversare l’adempimento fiscale su un soggetto diverso dal debitore d’imposta, cioè su un patrimonio diverso da quello sul quale è prevista l’imposizione.
Il debito di imposta diretta sarebbe personale ed infungibile, e quindi non sarebbe consentito l’accordo che lo eluda o lo trasferisca ad altri[11].
4. Sguardo al secondo orientamento
Tuttavia, il patto di traslazione, per essere colpito dalla nullità, deve effettivamente comportare l’alterazione del collegamento richiesto dall’art. 53 Cost. tra il soggetto tenuto a versare il tributo e il presupposto della percezione del reddito.
Infatti, una seconda tesi esclude la nullità della clausola quando possa qualificarsi come mera traslazione convenzionale del carico di imposta, senza che sia contraddetto il principio di capacità contributiva[12].
Si instrada, allora, un certo orientamento secondo il quale dovrebbe ammettersi il principio di indifferenza della traslazione[13]. Con due eccezioni:
- ovviamente, la traslazione non è consentita quando vietata dalla norma[14];
- e quando possa causare la neutralizzazione del principio di capacità contributiva[15], cioè quando possa celare l’intento di frodare la norma fiscale.
Ma se essa non incide sul rapporto pubblicistico contribuente – fisco, quindi se non comporta il versamento da parte di un soggetto diverso dal percettore del reddito corrispondente (visto il carattere inderogabile del presupposto soggettivo del tributo), sarebbe lecita[16].
Lecita, cioè, quando non c’è violazione della norma costituzionale: il che avviene quando la convenzione determina l’entità del corrispettivo e il peso economico del tributo viene considerato come parametro di individuazione del quantum dovuto. La clausola, per non contrariare il disposto costituzionale, deve avere come oggetto non il tributo in sé ma una porzione del corrispettivo. Deve, quindi, essere inclusa nel sinallagma contrattuale.
Questa sensibilità, unitamente alla concezione soggettiva dell’art. 53 Cost. e al relativo condizionamento dell’autonomia privata, viene avvalorata dalla giurisprudenza successiva, sempre operate le opportune distinzioni a proposito del fenomeno traslativo[17].
5. L’abuso del diritto
La legittimità della traslazione d’imposta, di per sé e alle condizioni indicate supra, costituirebbe uno strumento giuridico lecito. Dello stesso avviso parrebbe essere la giurisprudenza comunitaria.
Vero, però, che tale operazione potrebbe pericolosamente collocarsi in una zona limitrofa rispetto al fenomeno dell’abuso del diritto[18]. La Corte di Giustizia, allora, non ha potuto fare a meno di richiamare l’attenzione al rischio che, in materia fiscale, le variazioni dell’autonomia negoziale possano essere corrotte dalla dinamica abusiva[19].
Non a caso, è stata nel frattempo operata l’introduzione, da parte del d.lgs. 5 agosto 2015 n. 128, dell’art. 10 bis nello Statuto del contribuente (“Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”).
È chiara la volontà della norma di sanzionare quelle operazioni prive di sostanza economica[20] che, pur apparendo rispettose del dettato formale della norma fiscale, in realtà, realizzano vantaggi fiscali indebiti, cioè “benefici anche non immediati, ottenuti in contrasto con le finalità della disposizione fiscale e con i principi dell’ordinamento tributario” che rappresentano lo scopo essenziale della condotta[21].
Tutto ciò costituisce un tassello importante che, indubbiamente, potrebbe orientare gli sviluppi ermeneutici.
6. Posizioni dottrinali
Il contrasto si anima anche sul versante dottrinale[22].
La posizione maggioritaria tenderebbe ad escludere un’incidenza diretta della disposizione costituzionale sui rapporti privatistici che, in quanto tali, a parte l’operatività di limiti giuridici specifici, dovrebbero essere rimessi alla libertà contrattuale delle parti[23].
D’altro canto, però, viene fatto notare che, così ragionando, si svuoterebbe di significato la ratio dell’art. 53 Cost., producendosi un ridimensionamento a regola meramente formale – che stabilisce presupposto e contenuto delle obbligazioni tributarie – del concorso alle spese pubbliche.
7. In attesa delle Sezioni Unite (Cass. Civ., ord. 28 novembre 2017 n.28437)
Permanendo incertezze circa la sorte della clausola contrattuale de qua, vista la valenza nomofilattica della questione, con ordinanza del 28 novembre 2017 n. 28437 vengono rimessi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Seguiranno aggiornamenti.
[1] V. Roppo, Il contratto, Giuffrè, Milano 2001, pp. 35 e ss.; p. 754
[2] C. Sartoris, Locazione e possibile nullità dell’accordo traslativo di imposta per contrasto con l’art. 53 della Costituzione, Persona e Mercato, 2017, p. 2.
[3] C. Granelli, Capacità contributiva e traslazione d’imposta in Giur. it., 1986, 1,1, col. 953
[4] F. Moschetti, I principi di giustizia fiscale della Costituzione italiana, per “l’ordinamento giuridico in cammino” dell’Unione europea in studiomoschetti.com, p. 435 secondo cui: “Il dovere di solidarietà non è peraltro visto nell’art. 53 Cost. in senso squilibrante e soffocante, ma in senso armonico con i diritti. Ed anche questo non è proprio del solo diritto tributario, ma dell’intero sistema costituzionale, che, nell’art. 2, significativamente fonde in unica previsione, i “doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale” e la tutela dei “diritti inviolabili dell’uomo”.
Orbene, nello specifico del diritto tributario, il dovere di solidarietà sussiste solo “in ragione della capacità contributiva”, che è dunque assunta a “presupposto”, “criterio di commisurazione” e “limite massimo” del dovere. La libertà del legislatore è dunque limitata in particolare nella scelta del presupposto di fatto (che deve essere una manifestazione di capacità contributiva) e nella disciplina della base imponibile (che deve quantificare la reale capacità contributiva).
Il riferimento alla capacità contributiva dà anche un particolare contenuto al giudizio di “eguaglianza tributaria”.
Per approfondimenti sul carattere “etico” del dovere tributario: v. J. LANG, Über das Ethische der Steuertheorie von Klaus Tipke, in Die Steuerrechts-Ordnung in der Diskussion, Festschrft für Klaus Tipke, herausgegeben von J. Lang, Köln 1995, p. 3 ss.
[5] G. Marongiu – A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Giappichelli, Torino 2010, p. 12: “La capacità contributiva è il fondamento dei tributi, ne è insieme la causa giustificatrice e il parametro di misura. Chi non è titolare di capacità contributiva non è tenuto pagare. Al variare della capacità contributiva è consentito (anzi, tendenzialmente doveroso) il variare l’entità del tributo. Ad identica capacità contributiva deve corrispondere uguale tributo. Il tributo è una variabile dipendente dalla capacità contributiva.
Sul piano ideologico, in un’ottica di area liberale, l’art. 53 è una garanzia nei confronti dello Stato: un limite alla possibile ingerenza dello Stato, al suo poter drenare risorse dai privati.
In un’ottica (in senso lato) socialista, questa norma costituisce attuazione di un dovere di solidarietà, tale che tutte le classi sociali sono tenute a collaborare mettendo a disposizione della collettività una quota della propria ricchezza, per fini comuni. Entrambe le impostazioni sono pienamente compatibili con la previsione dell’art. 53, che è, pertanto, una norma ideologicamente neutrale”.
[6] B. Druda, Nullità della clausola del contratto di locazione traslativa degli oneri patrimoniali relativi all’immobile locato: la parola alle SS. UU. in Cammino diritto, ISSN 2421-7123, 23 dic. 2017, p. 4.
[7] Cass. Civ., Sez. I, 11 dicembre 1974 n. 4181; Cass., Civ., sez. I, 5 gennaio 1985 n.5
[8] Cass, Civ., Sez. Un., 18 dicembre 1985 n. 6445
[9] Si otterrebbe la seguente relazione: il soggetto obbligato dalla legge adempie l’onere fiscale nei confronti del fisco e solo in seconda battuta recupera quanto versato, “scaricando” il peso economico dell’imposta su un soggetto differente.
[10] Cass., Civ., Sez. I, 5 gennaio 1985 n.5
[11] Cass. Civ., Sez. Un., 23 aprile 1987 n. 3935; Cass. Civ., Sez. Un., 26 giugno 1987 n. 5652
[12]. Cass, Civ., Sez. Un., 18 dicembre 1985 n. 6445
[13] Cass. Civ., Sez. V, 14 maggio 2003 n. 7440; F. Santamaria, Autonomia privata e statuto del contribuente, Giuffrè, Milano 2012, p. 62
[14] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 31 marzo 2014 n. 7501
[15] Cfr. Corte Cost., 10 luglio 1972 n.120 e Corte Cost., 26 giugno 1965 n.50 secondo cui la capacità contributiva deve essere effettiva e attuale. L’oggetto dell’imposizione deve essere un indice rivelatore concretamente di ricchezza ed effettivamente collegato al soggetto passivo del tributo.
[16] Cass. Civ., Sez. V, 25 febbraio 2015 n. 3770
[17] Cass. Civ., Sez. I, 8 febbraio 2016 n. 2412; Cass. Civ., Sez. I, 27 novembre 1999 n.13261
[18] Cass., Sez. Trib., 19 maggio 2010 n. 12249; U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso di diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim.dir.proc.civ., 1958, p. 19 ss; M. Rotondi, L’abuso di diritto in Riv. dir. civ., 1923, p. 105 e ss.
[19] Corte di Giustizia, 21 febbraio 2006, C – 255/02. Si ricorda che i presupposti dell’abuso, in ambito comunitario, sono tradizionalmente ricondotti all’elemento oggettivo, costituito dal risultato di aggiramento della norma nazionale; all’elemento soggettivo, rappresentato dalla consapevolezza dell’abusività della condotta ed al profilo teleologico. Cfr. Cafaro, L’abuso del diritto nel sistema comunitario: dal caso Van Binsbergen alla Carta dei diritti, passando per gli ordinamenti nazionali, in Dir. Un. Europea, 2003, p. 298.
[20] Cfr. art. 10 bis co. 2 Statuto contribuente che intende per queste: “fatti, atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”.
[21] M. Villani, Abuso del diritto tributario, Giappichelli, Torino 2017, p. 31
[22] R. Cordeiro Guerra, Problemi in tema di traslazione convenzionale dell’imposta in Rass. trib., 1988, I, p. 465
[23] Sulla rilevanza meramente privatistica degli accordi cfr.: A. Fedele – V. Mostraiacovo – S. Cannizzaro, Autonomia privata e distribuzione dell’onere del tributo, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio del 10 gennaio 2006; V. Ficari, Gruppo di imprese e consolidato fiscale all’indomani della riforma tributaria in Rass. trib., 2005, p. 1587; cfr. M. Moscatelli, Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Giuffrè, Milano 2007, p. 104.