Condominio: legittimazione processuale e apparenza giuridica

in Giuricivile, 2020, 3 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. VI civ., sent. 15/01/2020, n. 724

In caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale – come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento di proprietà non comunicato all’amministratore abbia continuato a comportarsi da proprietario – difettando, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d’altra parte, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale.

Fatti di causa

Con atto di citazione ritualmente notificato, C.G. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo (…) con il quale gli era stato ingiunto di pagare la somma di Euro (…) in favore del Condominio () situato in (…), eccependo il suo difetto di legittimazione passiva. L’attore esponeva in particolare di essere solo usufruttuario di alcune unità immobiliari site nell’edificio condominiale ed osservava che il credito si fondava sulla delibera assembleare del 1.12.2004, nella quale non era stata posta all’ordine del giorno l’autorizzazione ad eseguire opere straordinarie.

Si costituiva il condominio resistendo all’opposizione.

Con sentenza n. 1129/2010 il Tribunale di Nocera Inferiore rigettava l’opposizione sul presupposto che l’opponente non avesse adeguatamente dimostrato la sua carenza di legittimazione passiva (…). (OMISSIS)

Interponeva appello il C. e si costituiva in seconde cure il condominio, resistendo all’impugnazione.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1172/2017, la Corte di Appello di Salerno rigettava l’impugnazione, affermando che l’appellante si sarebbe comunque comportato come condomino apparente, partecipando alle riunioni assembleari in cui erano stati discussi i lavori straordinari di cui alla pretesa oggetto del decreto ingiuntivo opposto in prime cure senza dichiarare che il relativo onere era a carico del nudo proprietario. (OMISSIS)

Ragioni della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c., degli artt. 63 e 67 disp. att. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perché la Corte di Appello, pur avendo rilevato che i punti oggetto della delibera assembleare del 16.3.2004 fossero di competenza del nudo proprietario, e non dell’usufruttuario, in quanto relativi ad opere di carattere straordinario, e che essi non erano stati approvati dal ricorrente medesimo, non aveva rilevato il difetto di legittimazione passiva di quest’ultimo in relazione alla pretesa di pagamento originariamente azionata dal condominio.

La doglianza è fondata.

Ed invero questa Corte ha affermato il principio secondo cui “In caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale – come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento di proprietà non comunicato all’amministratore abbia continuato a comportarsi da proprietario – difettando, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d’altra parte, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale”.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo (…).

Il fatto e la motivazione della Corte.

Veniva emesso decreto ingiuntivo per il pagamento di somme relative a opere e lavori straordinari, posti in essere nel condominio del debitore ingiunto. Questi si opponeva al decreto, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva. L’opponente, infatti, nella sua qualità di usufruttuario di alcune unità immobiliari site nell’edificio condominiale, non era tenuto a pagare per le riparazioni straordinarie, che dovevano porsi a carico del nudo proprietario. E ciò tanto più che l’opponente non aveva votato, nell’assemblea condominiale, a favore dell’autorizzazione ad eseguire le opere.

L’opponente soccombeva nei gradi di merito, e ricorreva per cassazione con due motivi. Con il primo, il ricorrente censurava la sentenza di appello, nella parte in cui ometteva di rilevare il difetto di legittimazione passiva al pagamento delle somme relative ad opere straordinarie. Il ricorrente, infatti, vantava un diritto di usufrutto su alcune unità dell’immobile condominiale, e soltanto le spese per opere di manutenzione ordinaria potevano essere poste a suo carico, in accordo alla disciplina giuridica dell’usufrutto (artt. 1005, 1123 c.c.). Certamente, proseguiva il ricorrente,  non poteva fondare l’obbligo per le spese straordinarie la ricostruzione dei fatti accolta dalla sentenza di appello, laddove si rilevava che il ricorrente si era comportato “come condomino apparente, partecipando alle riunioni assembleari in cui erano stati discussi i lavori straordinari di cui alla pretesa oggetto del decreto ingiuntivo opposto in prime cure”.

La Corte accogliendo il primo motivo, esclude che il principio dell’apparenza giuridica possa operare nei rapporti fra condominio, che è privo di personalità giuridica ed è un semplice “ente di gestione”, ed i singoli condomini (nel nostro caso, in particolare, l’usufruttuario opposto). Il condominio, infatti, non può considerarsi quali terzo di buona fede, il cui affidamento sia meritevole di protezione contro quelle divergenze tra la situazione di fatto (apparente) e la (vera) situazione di diritto, di cui l’amministratore non sia a conoscenza.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo.

Commento.

È tradizione, per chi voglia dedicarsi al tema dell’apparenza giuridica [1], iniziare a parlare delle ragioni di politica del diritto, che hanno spinto l’ordinamento a riconoscere l’apparenza giuridica nella sua qualità di istituto, volto esclusivamente a tutelare la posizione dei terzi [2] che prendono parte alla circolazione dei beni e dei valori giuridici. È comune l’affermazione che il superamento, in progresso di tempo, dell’economia curtense medievale, attraverso lo sviluppo dei commerci e le rivoluzioni tecniche dei mezzi di produzione, abbia costretto il diritto privato a dotarsi di mezzi, in grado di accelerare la circolazione giuridica dei beni. La storia dell’apparenza giuridica è notevole alla luce di questa considerazione, che tutti e tre i formanti giuridici hanno risposto con i loro mezzi al mutamento degli schemi economici e del sentire sociale, in un’azione (forse non volutamente) sinergica per dare protezione ai nuovi interessi giuridici.

Questa premessa di inquadramento generale ci aiuta a comprendere la soluzione che la Corte ha dato al caso concreto. Invero, un orientamento di legittimità molto consolidato, inaugurato dalla sentenza delle Sezioni unite n. 5035 dell’8 aprile 2002, esclude che il principio dell’apparenza giuridica possa venire in rilievo al fine di fondare la legittimazione passiva del condomino apparente per il pagamento di oneri o spese condominiali, di cui sarebbe debitore il proprietario dell’unità abitativa condominiale [3].

Tra le argomentazioni che stanno alla base di questo orientamento, alcune anche richiamate dalla sentenza in commento, vi sarebbe il difetto di terzietà nei rapporti tra condominio e singoli condomini. Il condominio, infatti, quale mero ente di gestione, sarebbe privo di personalità giuridica rispetto ai singoli condomini, e quindi non potrebbe considerarsi soggetto terzo, distinto da questi ultimi. Inoltre, per il caso delle spese condominiali, è necessario segnalare l’esistenza di una specifica disciplina giuridica dei rapporti obbligatori tra condominio e singoli condomini: questa disciplina, contenuta negli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c., prevede, tra l’altro, la possibilità, per l’amministratore di ottenere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, senza necessità di una preventiva autorizzazione dell’assemblea. Ora, non sembra che una simile disciplina possa essere disapplicata in favore della teorica del condomino apparente, perché una simile interpretazione correttiva avrebbe l’effetto di sostituire “un rapporto giuridico di natura preterlegale (quello tra condominio e condomino apparente) ad un rapporto giuridico già insorto (quello tra condominio e condomino effettivo) per espressa previsione legislativa” [4].

Se pure vorremmo riservare il giudizio su alcuni degli argomenti spesi a sostegno del ricordato orientamento giurisprudenziale, l’evoluzione storica dell’apparenza giuridica parrebbe fornire un argomento ulteriore, a conforto di quelli appena richiamati. Infatti, in accordo alla sua evoluzione storica, l’apparenza giuridica è causa integrativa di negozi, privi di qualche requisito di efficacia, e non è tanto causa di obblighi a carico del legittimato apparente; in altri termini, l’apparenza giuridica non ha l’effetto (diretto) di costituire obbligazioni in capo al soggetto che sorprende l’affidamento del terzo in buona fede [5]. Un simile effetto costitutivo, tuttavia, avrebbe a verificarsi nel caso di specie, qualora si ponesse a carico del condomino, che appaia titolare di un diritto di proprietà sulla singola unità condominiale, l’obbligo di pagarne le spese e gli oneri, sempreché gli altri condomini siano stati in buona fede.

Dobbiamo riconoscere, per completezza, che gli argomenti adottati dalla sentenza in commento, per escludere la rilevanza della figura del condomino apparente, non potrebbero essere superati nemmeno alla luce della teoria dell’apparenza cd. colposa. Nell’apparenza giuridica colposa, infatti, il nesso di significazione socialmente apprezzabile, che unisce il fenomeno manifestante e la situazione giuridica manifestata (nella specie, la legittimazione passiva alle spese), viene aggravato da un ulteriore carico strutturale. Questo carico strutturale argina la vis espansiva dell’istituto e sollecita l’interprete ad interrogarsi, sul ruolo che il vero legittimato può aver rivestito nel processo di formazione del fenomeno manifestante [6]. Il (qui denegato) rilievo dell’apparenza giuridica nei rapporti condominiali, e, in generale, nei rapporti non specificamente regolati dal legislatore, potrebbe giustificarsi, secondo la giurisprudenza, solo provando l’imputabilità al vero legittimato della creazione delle circostanze di fatto manifestanti. Il vero legittimato, poi, sarebbe costituito in colpa, pure a fronte di una condotta meramente omissiva, solo qualora avesse violato un obbligo di protezione a favore del terzo, che invoca l’apparenza e la protezione del suo affidamento.


[1]

L’espressione usata nel testo è da preferire all’espressione ‘apparenza del diritto’, per quanto le due siano a volte usate indistintamente. Ad avviso di autorevole dottrina (Pugliatti, La trascrizione. La pubblicità in generale, Milano, 1957, p. 252), infatti, sarebbe sbagliato parlare di apparenza di un diritto soggettivo in senso tecnico, dacché non esisterebbero, nel nostro ordinamento, fatti che consentano di derivare, in forza di un nesso di significazione sufficientemente intenso, la titolarità di un diritto. La formula ‘apparenza giuridica’ sarebbe più corretta, purché l’aggettivo sia inteso come ‘rilevante per l’ordinamento giuridico’. Per dare una definizione orientativa fondata sulla ricostruzione teorica più accreditata dell’apparenza giuridica, possiamo dire che l’apparenza giuridica è una “falsa segnalazione della realtà giuridica rilevante per l’ordinamento giuridico”. Per un inquadramento bibliografico sull’apparenza giuridica: Sacco, voce “Apparenza”, Dig. Priv. (sez. civile), 1987, pp. 353 s.; Bessone – Di Paolo, voce “Apparenza”, Enc. Giur. Treccani, II; Sotgia, Apparenza giuridica e dichiarazioni alla generalità, 1930; Bolaffi, Le teorie sull’apparenza giuridica, in Riv. dir. comm. e gen. obbl., 1934, I, pp. 131 s.; Moschella, Contributo alla teoria dell’apparenza giuridica, 1973; Falzea, Voci di teoria generale del diritto: accertamento, apparenza, capacità, efficacia giuridica, fatto giuridico, fatto naturale, 1985, pp. 95 s. (anche in Enc. Dir., voce “Apparenza”, 1958, pp. 682 s.); D’Amelio, voce “Apparenza del diritto”, in Nuovo Dig. it., 1937; Giorgianni,  voce “Creditore apparente”, in Nov.sso Dig. it., 1959, pp. 1157 s.; Stolfi, L’apparenza del diritto, 1934.

[2] Naendrup, Begriff des Rechtscheins und Aufgabe der Rechtscheinsforschung, 1910, pp. 3 s.

[3] Ex multis, Cass.,  27.12.2004, n. 23994; Cass., 25.1.2007 n. 1627; Cass., 3.8.2007, n. 17039; Cass., 10.8.2007, n. 17619; Cass., 22.10.2007, n. 22089; Cass., 12.1.2011, n. 574; Cass., 6.7.2011, n. 14883; Cass., 12.7.2011, n. 15296; Cass., 9.10.2017, n. 23621

[4] Imarisio, L’apparenza del diritto. Profili pratici ed applicazioni giurisprudenziali, Milano, 2015, p. 133.

[5] Già la dottrina tedesca, che ha dato i natali alla teoria dogmatica dell’apparenza giuridica, si occupava della questione, se ed in quale misura specifici effetti giuridici (l’acquisto di un diritto, la liberazione di un debito etc.) potessero realizzarsi attraverso i corrispondenti atti negoziali (Akte des geschäftlichen Verkehrs), anche quando, nella persona della controparte, non sono realizzati tutti i presupposti da cui dipende l’efficacia (Wirkungseintritt) del negozio stesso.

La risposta, che la dottrina da a questa domanda [Oertmann, Grundsätzliches zur Lehre vom Rechtsschein, in Zeitschr. f. d. gesamte Handelsrecht und Konkursrecht, 1930 (Bd. 95, F. 4), pp. 458, 474] è positiva: si ritiene, infatti che l’apparenza giuridica, e quindi le disposizioni che la vivificano e che costituiscono il suo sostrato legislativo, siano in grado di integrare l’efficacia di negozi giuridici, che altrimenti non produrrebbero alcun effetto. Più precisamente, solo la mancanza di presupposti di efficacia di un negozio può essere integrata per effetto dell’apparenza giuridica: di fronte ad atti giuridici non negoziali, l’ordinamento non consente all’apparenza di integrare, in via sostitutiva, quell’efficacia che altrimenti all’atto non negoziale mancherebbe.

Del resto, l’apparente qualità di condomino debitore, deriva da condotte dell’usufruttuario, quali p. es. la partecipazione alle sedute assembleari, che non sono facilmente distinguibili dagli atti di godimento possessori dell’unità abitativa condominiale. Occorre però segnalare che la più autorevole dottrina sull’apparenza giuridica annovera il possesso tra i fatti di natura opaca, che non sono in grado di significare alcunché oltre se stessi (Falzea, voce cit., pp. 687 s.). Si ritiene, infatti, di escludere dal campo dei fenomeni manifestanti (fatti reali) quei fatti che, per la loro natura opaca, non consentono di significare, in modo socialmente apprezzabile, l’esistenza di una situazione giuridica (Contra, p. es., Nuvolone, Il possesso nel diritto penale, 1942, pp. 20 s.).

[6] Sostanzialmente conforme Distaso, Osservazioni in tema di mandato, rappresentanza e apparenza del diritto, in Giur. completa Cass. civ., 1950 (29), I, p. 242. L’A. afferma che, nel caso del mandato apparente, il requisito dell’imputabilità (colposa) dell’apparenza all’apparente mandante escluderebbe la rilevanza ed anche l’utilità del (parallelo) richiamo all’istituto dell’apparenza giuridica.

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