L’anticresi nella prassi negoziale. Disciplina ed aspetti applicativi

Tra gli istituti giuridici che hanno avuto scarsa diffusione nella pratica indubbiamente può annoverarsi l’anticresi.

Tale istituto, disciplinato dal Codice civile (artt. 1960-1964), si caratterizza per la funzione di garanzia ed è collocato dopo la fideiussione.

Il numero esiguo di controversie giudiziarie aventi ad oggetto l’anticresi rivelano lo scarso ricorso degli operatori del diritto a tale strumento giuridico.

Sarebbe tuttavia fuorviante ipotizzare che il limitato numero di liti sia dovuto all’assenza di orientamenti interpretativi incontroversi e pacifici[1].

Anticresi: Etimologia, significato e origini del contratto

Il nomen juris ha origine greca [ἀντί (in luogo, senza); χρῆσις  (godimento, uso)].

Il moderno istituto di anticresi trova le sue origini nel diritto romano e verosimilmente nel pegno con patto anticretico.

Nel pignus datum il diritto si caratterizzava per il mantenimento della possessio fino al momento della satisfactio del creditore.

Per antichresis si intendeva l’accordo che legittimava il creditore pignoratizio a percepire i frutti della cosa pignorata, imputandoli agli interessi ed al capitale, comportandone la riduzione e l’estinzione.

Il patto in oggetto costituiva una deroga alla regola per cui l’utilizzo della res pignorata costituiva furtum usus e l’appropriazione dei relativi frutti integrava il furtum rei[2].

L’istituto de quo si è evoluto nel tempo acquisendo una sua autonomia rispetto al pegno e divenendo oggetto delle prime codificazioni francesi e del Codice civile italiano del 1865.

Quest’ultimo dedicava all’anticresi un’autonoma disciplina che si differenziava dalla legislazione francese per la natura personale e non reale del diritto del creditore anticretico[3].

Art 1960 cc: Definizione, disciplina e peculiarità

Il Codice civile definisce l’anticresi come “il contratto con il quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale” (art. 1960 c.c.).

L’anticresi configura un’ipotesi di contratto oneroso e consensuale, dovendosi ritenere la consegna quale mero atto esecutivo dell’accordo, priva di effetto costitutivo[4].

Il consenso delle parti necessario a perfezionare l’anticresi deve rivestire, secondo quanto disposto dall’art 1350 cc la forma scritta ed, ai fini dell’opponibilità del diritto ai terzi, occorre la trascrizione del titolo nei registri immobiliari[5].

Invero, gli atti di trasferimento del bene dato in garanzia risultano inefficaci nei confronti del creditore anticretico solo quando il contratto di anticresi sia stato trascritto prima rispetto alla trascrizione dell’atto traslativo del medesimo bene in capo a terzi (Cass. civ., 12 marzo 1983, n. 1866).

L’istituto in esame rappresenta una tipica ipotesi di negozio accessorio di garanzia (indissolubilmente legato al rapporto di credito cui accede)[6], caratterizzato dal diritto di ritenzione sull’immobile in capo al creditore fino all’integrale soddisfacimento delle sue ragioni e con facoltà di acquisire i frutti fino all’estinzione del debito (Cass. Civ., 11 luglio 1969, n. 2548).

Aspetto di rilievo che differenzia l’anticresi dagli altri diritti reali di garanzia è la mancanza di acquisizione del diritto di prelazione per il creditore unitamente all’assenza di collegamento funzionale con l’inadempimento dell’obbligazione garantita e la relativa azione esecutiva.

Qualora infatti il creditore intenda aggredire esecutivamente il bene, concorre con tutti gli altri creditori chirografari a norma dell’art. 2741 c.c.

Per quanto concerne invece la funzione del contratto, deve dirsi che, pur comportando il soddisfacimento delle pretese creditorie, la causa sembra essere costituita dalla garanzia del credito.

Gli obblighi del creditore anticretico ex art 1961 cc

L’art. 1961 c.c. pone a carico del creditore anticretico l’onere di pagare i tributi ed i pesi annui relativi all’immobile.

Tuttavia, tale norma può essere derogata da un accordo espresso e contrario delle parti, che sono libere di regolare diversamente la sorte degli oneri e dei pesi tributari o di altro genere stabilendo il soggetto tenuto all’adempimento.

La durata dell’anticresi

Ai sensi dell’art. 1962 c.c., il contratto di anticresi dura fino alla data stabilita dalle parti o, in assenza di tale previsione, fino al soddisfacimento del credito.

L’anticresi non può comunque eccedere la durata dei dieci anni[7].

L’eventuale determinazione delle parti di un termine che ecceda la durata dei dieci anni è da considerarsi invalida, tuttavia, tale invalidità non è destinata a viziare l’intero contratto: la clausola avente ad oggetto tale accordo sarà sostituita di diritto dalla norma imperativa della durata di dieci anni (art. 1419 c.c.) (Cass. civ., 24 maggio 1968, n. 1574).

L’anticretista ha facoltà di estinguere anticipatamente la sua obbligazione, cagionando l’estinzione dell’anticresi e la restituzione del bene.

Il divieto del patto commissorio anticretico

L’eventuale patto commissorio anticretico è da considerarsi nullo ai sensi dell’art. 1963 c.c.

Pertanto, l’accordo che riguardi il trasferimento della proprietà dell’immobile concesso in anticresi in caso di inadempimento del creditore garantito non avrà alcuna validità[8].

Il divieto di patto commissorio è finalizzato a tutelare da un lato il debitore, in modo tale da evitare eventuali pressioni morali da parte del creditore, dall’altro gli interessi dei creditori che rimarrebbero pregiudicati dalla sottrazione del bene malgrado l’assenza di cause legittime di prelazione (Cass. Civ., 12 febbraio 1993, n. 1787).

Oggetto del contratto di anticresi

Possono essere concessi in anticresi esclusivamente beni immobili, rustici ed urbani.

Ipotizzare un’anticresi mobiliare creerebbe alcuni problemi, tra cui in primis l’improduttività degli effetti verso i terzi causata dalla non trascrivibilità del titolo.

Inoltre, se anche ammessa, dovrebbe considerarsi un semplice pegno con patto anticretico.

Va detto che parte della dottrina, rimasta isolata, ha tentato di sostenere la sussistenza di un’anticresi avente ad oggetto aziende e beni mobili registrati, tuttavia, il dato normativo fa riferimento esclusivamente a beni immobili (art. 1960 c.c.)[9].

La Suprema Corte ha inoltre stabilito la possibilità per il debitore di obbligarsi a consegnare anche un immobile locato o affittato affinché il creditore ne percepisca le pigioni.

In una simile ipotesi la consegna risulta essere meramente simbolica ed il diritto si estrinseca mediante una disponibilità solo mediata ed indiretta (Cass. Civ., 12 marzo 1958, n. 836).

La natura giuridica dell’anticresi

Argomento di discussione tra gli interpreti ha avuto ad oggetto la natura giuridica del contratto in questione, in particolare se esso integri gli estremi di un negozio giuridico a prestazioni corrispettive o semplicemente unilaterale.

I sostenitori della corrispettività, rigettando la tesi del negozio unilaterale, affermano che oltre alla prestazione del debitore (concessione del bene in godimento) vi sia la controprestazione del creditore consistente nell’obbligo di conservare ed amministrare il bene ed, ove non diversamente stabilito, pagare i tributi ed i pesi gravanti sull’immobile.

Per altro orientamento (i sostenitori dell’unitarietà) dall’anticresi sorgerebbero obbligazioni esclusivamente a carico del debitore e gli obblighi del creditore sarebbero privi della natura di prestazione in senso, in quanto configuranti semplici oneri accessori alla garanzia.

L’istituto in esame può essere distinto in anticresi estintiva (o satisfattiva) e compensativa.

Nella prima ipotesi i frutti vengono imputati sia agli interessi che al capitale, in modo tale da ottenere progressivamente l’estinzione del bene.

Nel secondo caso vanno a compensare esclusivamente gli interessi, lasciando invariato il capitale.

L’anticresi compensativa può essere rescissa per lesione, ricorrendone i presupposti (art. 1448 c.c.)[10].

Conclusioni

L’istituto esaminato non gode di una consistente diffusione nella prassi negoziale, tuttavia potrebbe rivelarsi uno strumento di garanzia adeguato a determinate situazioni.

A titolo esemplificativo si pensi all’ipotesi di una vendita con pagamento differito nel tempo[11] oppure al caso del debitore che non possiede in un determinato momento la liquidità sufficiente ad estinguere un debito ma può concedere in godimento un appartamento, in modo tale da soddisfare l’esigenza abitativa o l’interesse turistico del suo creditore.

Lo scarso utilizzo dell’anticresi trova le sue ragioni nella predilezione verso altre figure, ugualmente idonee a garantire il credito, come ad es. l’ipoteca.

Nella pratica risultano evidenti i limiti di questa figura, infatti nel caso in cui un bene renda molto, il debitore proprietario difficilmente manifesterà il proposito di concederlo in godimento al creditore.

Ipotizzando, diversamente, il caso di un bene poco utile e redditizio, la soluzione si rivelerebbe futile per il creditore che non avrebbe motivi per accettarla[12].


[1]    R. Giuffrè, Di taluni contratti trascurati: il mandato di credito e l’anticresi, in Corriere giuridico, 2012, 1, p. 34.

[2]    C. Cicero, Anticresi, in Il codice civile. Commentario, 2010, pp. 3-4.

[3]    G. Iaccarino, Contratto di anticresi, in Il Foro napoltano/Esperienze, 2012, 2-3, p. 948.

[4]    Idem, op. cit., p. 949.

[5]    L. Buffoni, F. Caringella, Manuale di Diritto Civile, 2016, p. 1637.

[6]    G. Iaccarino, op. cit., p. 948.

[7]    Idem, op. cit., pp. 948 e ss.

[8]    Ivi, pp. 950-952.

[9]    C. Cicero, op. cit., p. 25.

[10] L. Buffoni, F. Caringella, op. cit., p. 1637.

[11] G. Iaccarino, op. cit., p. 950.

[12] C. Cicero, op. cit., p. 7.

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