Annullabilità assoluta: la convalida del negozio è inammissibile

in Giuricivile, 2018, 1 (ISSN 2532-201X), Nota a Cass., Sez. II Civ., 20.6.2017, n. 15268

Sommario: 1. Introduzione -2. Nullità e annullabilità: le differenze in punto di disciplina – 3. Forme ibride di invalidità: nullità relative e annullabilità assoluta -4. Annullabilità assoluta e convalida: Cass., Sez. II Civ., 20.6.2017, n. 15268 – 5. Il caso all’esame della Suprema Corte – 6. Conclusioni

1. Introduzione

L’annullabilità è, insieme alla nullità, una forma di invalidità del contratto. E’ prevista dalla legge rispetto ad un atto di volontà espressione di un processo decisionale formatosi in maniera non corretta, a causa della presenza di circostanze esterne (violenza morale, dolo ed errore) o interne (incapacità) al suo autore (artt. 1425 ss. c.c.).

Se tradizionalmente le nullità e annullabilità sono state distinte sul piano quantitativo, relativo alla maggiore o minore gravità del vizio, nelle più recenti ricostruzioni si evidenzia, invece, il fine con esse perseguito dal legislatore.

In tal senso, il criterio distintivo tra nullità e annullabilità va ravvisato nella diversa natura dell’interesse protetto: mentre con la nullità l’ordinamento reagisce a quelle situazioni che incidono negativamente su un interesse super-individuale, l’annullabilità è prevista al fine di tutelare un interesse individuale, proprio del singolo contraente.

2. Nullità e annullabilità: le differenze in punto di disciplina

Da tale diversità di ratio discendono importanti differenze in punto di disciplina.

Nullità e annullabilità divergono, innanzitutto, sotto il profilo sistematico: mentre il sistema delle cause di nullità è, in linea di principio, un sistema flessibile, non tipizzato né tassativo, le cause di annullabilità sono tipiche e tassative [1].

Nullità e annullabilità si distinguono, inoltre, sul piano degli effetti: mentre il contratto annullabile produce temporaneamente i suoi effetti fin tanto che non venga caducato, il contratto nullo, invece, non produce effetti (quod nullum est nullum producit effectum) [2].

La nullità, quindi, opera di diritto: il contratto nullo è, ab origine, improduttivo di effetti. Il contratto, annullabile, viceversa, produce effetti temporanei ancorché precari, in quanto destinati a venir meno ex nunc mediante sentenza costitutiva.

Peraltro, diversamente dalla nullità, l’annullabilità non è rilevabile d’ufficio dal giudice, potendo essere azionata o eccepita solo su iniziativa di parte. La ratio della legittimazione ristretta è chiara: il rimedio protegge l’interesse della parte colpita dal vizio e solo questa è, perciò, arbitra della sorte del contratto.

Il contratto annullabile, di regola, può essere oggetto di convalida da parte del contraente cui spetta l’esercizio dell’azione di annullamento (art. 1444 c.c.) [3]; l’azione volta a stigmatizzare l’annullabilità del contratto si prescrive in cinque anni (art.1442, 1 comma c.c.) a fronte dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità (art. 1422 c.c.).

3. Forme ibride di invalidità: nullità relative e annullabilità assoluta

Se questa è stata tradizionalmente l’impostazione – prettamente codicistica – prevalente, negli ultimi tempi si tende a mettere in discussione la rigida dicotomia tra nullità (assoluta) e annullabilità (relativa). A tal proposito, si evidenzia che la distinzione tra contratto nullo e annullabile, basata sulle differenze di regime suesposte, se certamente esiste, ha valore solo tendenziale nell’attuale ordinamento giuridico [4].

Pertanto, se usualmente nullità e annullabilità sono state considerate soluzioni sostanzialmente alternative alla patologia negoziale, nell’attuale sistema giuridico, invece, i contorni tra le due figure appaiono più sfumati, tendendo i due rimedi, senz’altro, ad avvicinarsi.

Quanto detto trova piena conferma ove si considerino due figure intermedie ed ibride: la nullità relativa (anche detta di protezione) e l’annullabilità assoluta [5].

Prescindendo da una puntuale disamina delle nullità relative, che non è tema che qui ci occupa, va detto soltanto che esse sono quelle nullità che, contro la regola di cui all’art. 1421 c.c., possono farsi valere non da chiunque vi abbia interesse, ma solo da una delle parti, quella cioè protetta dalla sanzione della nullità. Tali nullità s’identificano generalmente con le nullità di protezione, disposte dalla legge nell’interesse di una parte che rappresenta una categoria sociale particolarmente meritevole di tutela nei confronti dell’altra (per esempio clienti contro banche, investitori-risparmiatori contro intermediari finanziari) [6].

L’annullabilità assoluta, invece, rinviene la sua ratio nella necessità, da parte dell’ordinamento, di tutelare interessi trascendenti quelli meramente individuali dei contraenti [7]. Pertanto, mentre l’annullabilità relativa è posta a tutela del soggetto che sarebbe danneggiato dal negozio, per evitare che l’altro contraente tragga vantaggio dal suo stato di incapacità, l’annullabilità assoluta, viceversa, tutela un interesse generale, proprio come la nullità assoluta, con la conseguenza che, alla stregua di quest’ultima, può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse [8].

È precisamente questo aspetto che accomuna l’annullabilità assoluta alla nullità, rendendo sempre più labili i confini tra queste due categorie, al punto che gli studiosi si interrogano se sia ancora giusto predicarne una netta divaricazione.

Del resto, sia nella nullità relativa sia nell’annullabilità assoluta si apprezza una particolare commistione tra interessi individuali e interessi generali: nel primo caso la deviazione dal modello legale tipico comporta il restringimento della legittimazione a far valere il relativo vizio al solo contraente debole; nel secondo caso, invece, si assiste ad un allargamento della legittimazione, estesa a chiunque vi abbia interesse.

4. Annullabilità assoluta e convalida: Cass., Sez. II Civ., 20.6.2017, n. 15268

Se, come detto, il negozio affetto da annullabilità relativa è dotato di efficacia provvisoria, che può essere resa stabile per mezzo di convalida, ciò, tuttavia, non può verificarsi nell’ipotesi in cui il negozio sia affetto da annullabilità assoluta.

E’ quanto recentemente affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 15268 del 20 giugno 2017.

La sentenza in commento chiarisce i rapporti tra annullabilità assoluta e convalida affermando che “laddove si verta in un’ipotesi di annullabilità assoluta, così come evidenziato dalla più accorta dottrina, la convalida risulta impedita, non solo e non tanto per la necessità che la convalida sia attuata da tutti i soggetti investiti della legittimazione a far valere l’annullabilità, ma altresì in ragione della finalità della sanzione che è posta a tutela di interessi di natura diversa da quelli dei soli contraenti, essendo quindi preclusa la possibilità di valutare la conformità dell’assetto programmato al proprio interesse reale, in funzione del quale è appunto conferito il potere di convalida”.

Sebbene, come si è detto, una delle caratteristiche del contratto annullabile sia quella di essere suscettibile di convalida (art. 1444 c.c.), la Suprema Corte ha, invece, escluso la possibilità di convalidare un contratto affetto da quella speciale forma di annullabilità che è l’annullabilità assoluta.

5. Il caso all’esame della Suprema Corte

La sentenza in esame riguardava un contratto di trasferimento di un terreno oggetto di assegnazione fondiaria che era stato dichiarato nullo dai giudici di merito poiché attuato in violazione di quanto disposto dalla legge n. 379/1967: a tale contratto, infatti, si era dato corso prima della scadenza del vincolo di legge, senza l’autorizzazione dell’ente che aveva proceduto all’assegnazione e, per di più, in favore di un soggetto privo della qualifica di coltivatore diretto.

Mentre in primo grado la questione non era stata trattata, poiché assorbita dall’esame di altre domande, i giudici di appello hanno ritenuto di dover affrontare il tema della sorte degli atti compiuti in forza di negozi invalidi. Tali atti sono stati qualificati dai giudici di secondo grado come adottati “in frode alla legge”, in quanto elusivi delle previsioni normative, risultando così del tutto invalidi e radicalmente nulli, senza alcuna possibilità di sanatoria invocata dalla parte in giudizio.

Per la Cassazione, invece, la fattispecie di invalidità prevista dall’art. 6 della legge n. 379/1967 configura una ipotesi di annullabilità assoluta, essendo la relativa azione rimessa, oltre che alle parti, all’ente che ha proceduto all’assegnazione ed, infine, a chiunque vi abbia interesse. Secondo la Corte, peraltro, trattasi di annullabilità assoluta anche in considerazione del fatto che l’interesse perseguito dalla norma va ben al di là delle sfere giuridiche individuali dei contraenti.

Invero, già in un risalente precedente la Suprema Corte aveva chiarito che l’annullabilità conseguente alla violazione dell’art. 4 della legge n. 379/1967 è posta a presidio anche di interessi di carattere generale [9].

Dall’esame della sentenza discende, dunque, che, mentre l’efficacia precaria del contratto “relativamente” annullabile può essere stabilizzata per mezzo di convalida, ciò non può verificarsi nell’ipotesi in cui il contratto sia affetto da annullabilità assoluta, stante la finalità della sanzione prevista dalla legge, volta a tutelare interessi di natura diversa e più ampia rispetto a quelli individuali dei singoli contraenti. In altre parole, l’indeterminabilità dei soggetti legittimati attivamente a far valere l’annullabilità del contratto è ciò che vale a rendere inapplicabile l’istituto della convalida ai casi di annullabilità assoluta.

6. Conclusioni

La sentenza in commento è da ritenere apprezzabile nella misura in cui finalmente chiarisce un aspetto scarsamente preso in considerazione dagli studiosi e cioè quello dei rapporti tra annullabilità assoluta e sanatoria del contratto mediante convalida. Tale sentenza si pone, inoltre, nel solco di altre che, negli ultimi anni, stanno ridisegnando i contorni dei rimedi predisposti dall’ordinamento a fronte della patologia del negozio giuridico.

Sulla scorta di tali interventi legislativi e di siffatte pronunce giurisprudenziali va rilevato, allora, che la categoria dell’invalidità negoziale si plasma e muta in considerazione delle nuove esigenze di tutela, rendendo sempre più incerti i confini tra le due figure rimediali della nullità e dell’annullabilità.


[1] Il rapporto si presenta però ribaltato con riguardo agli atti diversi dal contratto, come il matrimonio, il testamento e le deliberazioni d’assemblea.

[2] In verità, secondo V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, Napoli, 2011, p. 821-822, non è propriamente vero che il contratto nullo è radicalmente improduttivo di effetti; è, invece, vero che esso può produrre alcuni effetti, al di là di quelli fiscali, ed è alla luce di tali effetti che si apprezza la distinzione tra contratto nullo e contratto inesistente.

[3] Sotto tale profilo, la convalida viene considerata da alcuni come una rinunzia all’azione di annullamento, per altri, invece, va intesa come negozio teso a confermare, in positivo, il contratto annullabile. Aderendo a quest’ultima impostazione, la convalida andrebbe qualificata alla stregua di vero e proprio negozio giuridico, accessorio al contratto annullabile e diretto a rimuoverne la precarietà, con la conseguenza che, una volta convalidato, il solo contratto annullabile si porrà quale fonte del rapporto. Per un approfondimento si rinvia a F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVII Edizione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, p. 1008; C. M. BIANCA, Il Contratto, vol. 3 in Diritto civile, Giuffré Editore, Milano, 2000 pp. 675 ss.

[4] V. ROPPO, op. cit., p. 786 e pp. 822-823.

[5] Rileva a tal proposito V. ROPPO, op. cit., p. 824: “nello spazio compreso tra i due estremi della nullità e dell’annullabilità in purezza, si dispone una serie di figure intermedie: figure di contratto invalido che miscelano in “dosi” variabili tratti dell’uno e dell’altro paradigma; e che presentano perciò minorazioni intermedie, più o meno marcate, della propria forza di titolo. Abbiamo così annullabilità assolute, che si spingono verso la nullità lasciando al contratto una forza di titolo inferiore rispetto allo standard del contratto nullo”.

[6] Per approfondimenti si rinvia a V. ROPPO, op. cit., pp. 789 ss.

[7] Secondo Cass., Sez. I Civ., 24 agosto 1993, n. 8918, “mentre l’annullabilità relativa è disposta a tutela dell’interesse privato, ossia del soggetto che sarebbe danneggiato dal negozio, sicché l’annullabilità si concreta in una misura posta essenzialmente a difesa del soggetto incapace ed opera al fine di evitare che l’altro contraente tragga vantaggio dallo stato di incapacità non fatto valere dall’interessato, l’ ”annullabilità-sanzione” tutela l’interesse generale con la conseguenza che chiunque può farla valere”. Nello stesso ordine di idee si pone la più recente Cass., Sez. II Civ., 20 giugno 2017, n. 15268 in commento.

[8] Vi sono casi in cui la legge estende esplicitamente la legittimazione a soggetti diversi dai contraenti, quindi soggetti esterni al rapporto contrattuale in senso stretto. Ciò ha portato a distinguere i casi di annullabilità cosiddetta relativa (art. 1441, 1 co. c.c.), dai casi di annullabilità cosiddetta assoluta, in quanto azionabile da soggetti diversi e non identificabili preventivamente. Un esempio è dato dall’art. 1441, 2 co., c.c., che consente a chiunque vi ha interesse di far valere l’annullabilità del contratto stipulato dal condannato in stato di interdizione legale (art. 32, 3 co., c.p.). Altri esempi possono essere tratti dallo stesso codice civile. Si pensi all’annullabilità del matrimonio, ex art. 117, 1 co., c.c.: il matrimonio contratto in violazione di legge può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal P.M., “e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale”. L’annullabilità dell’istituzione di erede e legato, ex art. 624, 1 co., c.c. pure può essere azionata da chiunque abbia interesse, quando effetto di errore, di violenza o di dolo.

[9] Si legge, infatti, in Cass., 16 marzo 1985, n. 2022: “scopo della legge è quello di assicurare che il fondo non sia in alcun modo sottratto alla sua specifica destinazione, che è quella della coltivazione e del miglioramento produttivo, mediante lo svolgimento dell’attività lavorativa personale e diretta dell’assegnatario, scelto dall’ente in esito ad un procedimento amministrativo tra soggetti in possesso di determinati requisiti”.

Dottoressa con lode in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli Federico II con una tesi di laurea in storia del diritto romano dal titolo: "La constitutio Antoniniana". Ha svolto con esito incondizionatamente positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso gli Uffici Giudiziari di Napoli ed è iscritta al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli come praticante, svolgendo la pratica forense principalmente nel settore del diritto civile. Attualmente svolge uno stage all'interno della Segreteria Tecnica dell'Arbitro Bancario e Finanziario - Collegio Territoriale di Napoli.

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