Nell’ordinamento giuridico civilistico i principi di autonomia negoziale e di solidarietà familiare sono posti a presidio di interessi fondamentali e confliggenti tra loro. Invero, la libera iniziativa economica ex art. 41 Cost. collima con l’unità della famiglia fondata sul matrimonio ex art. 29 Cost. e uno dei profili di maggior contrasto riguarda la discussa possibilità di stipulare convenzioni in vista dello scioglimento del matrimonio.
Punto di contatto tra l’autonomia negoziale e il diritto di famiglia
L’art. 1322, comma 1, c.c. sancisce in favore delle parti il potere di determinare liberamente il contenuto dei contratti che si apprestano a stipulare tra loro, con l’unico limite del rispetto della legge. Viene attuato, in tal modo, un principio che, benché avvantaggi i privati, si pone a tutela della tenuta economica e sociale dell’intero Paese.
Infatti, il riconoscimento di un generale potere di conformazione del contratto, in uno con la possibilità di concludere accordi atipici purché preordinati a realizzare interessi leciti ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. rappresenta un impulso decisivo per il progresso finanziario statale.
Appurata, dunque, la portata pubblicistica del dogma dell’autonomia negoziale, giova al tempo stesso sottolineare che, date le forti connotazioni cattoliche, l’ordinamento giuridico riconosce il matrimonio come consorzio sociale pregiuridico e ne sancisce la sottoposizione al principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Il Legislatore codicistico declina tale linea di pensiero in una serie di disposizioni che attestano il favor normativo per l’assoluta parità dei nubendi, confermando il superamento della predominanza maritale. Una volta celebrato il matrimonio, pertanto, il regime personale e patrimoniale che sussegue è improntato alla costante ricerca di un equilibrio coniugale, che rafforzi il sostrato di unità familiare, cara all’Assemblea Costituente.
L’unità de qua viene perseguita attraverso la previsione normativa di specifici e paritari diritti e doveri, che assumono rilevanza sia dal punto di vista personale che economico. Invero l’art. 143 c.c. ha cura di statuire gli obblighi reciproci alla fedeltà, all’assistenza spirituale ed economica ed alla contribuzione, nei limiti delle proprie sostanze, alle necessità familiari.
Alla realizzazione di tali coordinate programmatiche i consorti possono addivenire servendosi di appositi accordi ed è questo il punto di contatto tra l’autonomia contrattuale dei consociati e gli status familiari che connotano la posizione soggettiva del marito e della moglie. In particolare, nel diritto familiare la libertà negoziale si esprime mediante la stipulazione di convenzioni preordinate a garantire la gestione concordata della vita matrimoniale. Tali accordi possono essere funzionali a fissare le linee essenziali di riferimento, come l’indirizzo coniugale o gli aspetti pratici del rapporto nuziale. Gli sposi possono, altresì, concordare per iscritto e in atto pubblico il regime patrimoniale della loro vita comune, che andrà a sostituire la comunione legale, prevista in via generale ed astratta dal codice civile.
Indisponibilità dello status coniugale
Caratteristica comune delle richiamate ipotesi negoziali nell’ambito del rapporto di coniugio è il divieto per le parti di eludere lo spirito normativo che permea l’intero microcosmo familiare: la solidarietà tra i consorti. Infatti, in virtù dell’art. 160 c.c., i diritti e i doveri derivanti per legge dal matrimonio acquisiscono una valenza pubblicistica, sottratta alla libera negoziabilità delle parti. Di conseguenza, i coniugi sono tenuti a fare proprie e rispettare le posizioni giuridiche acquisite, poste obbligatoriamente a tutela della sacralità matrimoniale.
Quest’ultima riveste un’importanza tale da assumere rilievo anche nell’ipotesi di dissolvimento del vinculum coniugalis. In particolare, nel rispetto della matrice pubblicistica dello status coniugale, gli accordi di separazione che i coniugi sono autorizzati a sottoscrivere in sede di separazione consensuale ex art. 158 c.c. sono sottoposti alla necessaria omologazione del tribunale, che ne valuta la rispondenza ad interessi meritevoli di tutela giuridica, sub specie di migliore interesse della prole.
Inoltre, la stessa libera negoziabilità circa la corresponsione una tantum dell’assegno divorzile, riconosciuta dall’art. 5 della legge sul divorzio (legge n. 878/1970), viene limitata alla necessaria valutazione giudiziale circa l’equità della soluzione proposta dalla coppia ormai prossima allo scioglimento definitivo.
La questione della validità degli accordi prematrimoniali
Le ragioni alla base della limitata autonomia negoziale in materia familiare sono state fatte proprie dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza, chiamata a valutare l’eventuale ammissibilità degli accordi prematrimoniali. Con tale espressione si fa riferimento a fattispecie contrattuali che i futuri coniugi pongono in essere prima della celebrazione del matrimonio, per regolare gli aspetti di carattere strettamente patrimoniale della propria sfera giuridica, in vista dell’eventuale cessazione del rapporto matrimoniale.
Si tratta di una prassi ormai riconosciuta in altri ordinamenti (soprattutto di common law), sulla quale tuttavia il Legislatore nazionale non ha mai assunto una presa di posizione diretta. Di conseguenza, la soluzione relativa alla loro ammissibilità è rimessa all’elaborazione pretoria, che si è assestata prevalentemente sull’affermazione dell’invalidità di siffatte fattispecie negoziali, valorizzando il dettato codicistico e la ratio complessiva del sistema giuridico familiare.
Invero, se da una parte l’ordinamento sancisce la generale capacità contrattuale dei consociati, dall’altro tale autonomia non può che essere esercitata entro i limiti dettati dall’ordine pubblico, tra i quali si collocano i vincoli derivanti dal matrimonio. Nel dettaglio, i diritti e i doveri scaturenti dallo status coniugalis sono indisponibili e, pertanto, non possono costituire oggetto di libera negoziabilità tra i soggetti.
Tuttavia, tale sarebbe la conseguenza di un accordo concluso in previsione dell’eventuale dissoluzione matrimoniale. Infatti, i coniugi si troverebbero a regolare i reciproci rapporti patrimoniali successivi alla crisi, contrattualizzando di fatto uno status di cui non possono disporre, perché posto a garanzia dell’interesse superiore della famiglia, alla cui composizione o cessazione i consorti devono determinarsi liberamente. Prevedere, in anticipo, prestazioni e controprestazioni che trovano fondamento nella crisi del matrimonio significa, invece, influenzare indebitamente la capacità volitiva del coniuge in merito alla decisione di porre fine al rapporto familiare. Infatti, il suo consenso al divorzio o alla separazione sarebbe certamente condizionato dal regolamento di interessi concluso ex ante.
Tale orientamento crea una precisa corrispondenza tra la volontà di sposarsi, di cui l’ordinamento garantisce la libertà, e la volontà di sciogliere il vincolo matrimoniale che ugualmente non può essere sorretta da una scelta opportunistica, né può costituire una controprestazione all’adempimento dell’altrui posta monetaria.
Secondo la posizione esegetica prevalente, pertanto, il contratto in vista della cessazione del matrimonio è giuridicamente nullo, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1325 e 1418, comma 2, c.c., in quanto è caratterizzato da una causa illecita e da un oggetto impossibile: la negoziazione dello status matrimoniale, che ha carattere indisponibile.
Osservazioni conclusive alla luce della natura compensativa dell’assegno divorzile
L’ordine di idee espresso è, tuttavia, suscettibile di essere rimeditato alla luce del recente orientamento espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 con riferimento ai criteri di accertamento del diritto all’assegno divorzile.
In particolare, innovando l’unanime orientamento giurisprudenziale che ha sempre attribuito natura strettamente assistenziale all’assegno di divorzio, le sezioni congiunte del Supremo Consesso riconoscono che l’assegno non ha soltanto valore di aiuto economico per il coniuge bisognoso. In pari misura, infatti, esso assolve una funzione compensativa e perequativa, ossia di riconoscimento del contributo fornito dal richiedente alla conduzione del consorzio familiare, sulla base di scelte condivise col partner in costanza di matrimonio.
La valorizzazione dell’incidenza causale che le determinazioni comuni possono assumere sul profilo economico dei coniugi dopo la fine del vincolo nuziale può aprire la strada al riconoscimento giurisprudenziale della validità di patti con i quali i futuri consorti decidano di compensare le rispettive posizioni in caso di divorzio. Si potrebbe, addirittura, pensare che lo stesso assegno divorzile possa costituire oggetto di un accordo prematrimoniale, considerata la sua vocazione perequativa e, dunque, disponibile.
Trattasi, tuttavia, di un ragionamento legato ad un indirizzo interpretativo espresso recentemente e di cui, quindi, non è ancora possibile approfondire tutte le implicazioni. D’altro canto, si può affermare che l’indagine sulla validità dei patti prematrimoniali si arricchisce di un nuovo spunto di riflessione, che certamente la dottrina e la giurisprudenza non tarderanno a cogliere per raggiungere approdi concettuali probabilmente inediti.
Riferimenti bibliografici
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