Allegazione di fatti di violenza domestica nel processo civile e rischio di vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria si realizza quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni delle violenze stesse. La necessità di arginare tale fenomeno, anche in un’ottica di tutela dei minori, emerge nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, qualora si alleghino fatti di violenza domestica. La Prima Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 24726/2024, ha fornito un importante contributo sul tema, ponendosi in continuità con le novità introdotte dalla Riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022) nel processo di famiglia. 

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Formulario commentato della famiglia e delle persone

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Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022, è attualmente Giudice ordinario di pace.

 

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Il caso: affidamento dei minori tra allegazioni di violenza e tragedia familiare

Dopo la morte della madre in un incidente stradale, tre minori si trovano al centro di un conflitto tra il padre superstite e i nonni materni riguardo all’affidamento e al collocamento. I nonni materni avevano chiesto la sospensione della responsabilità genitoriale del padre e l’affidamento esclusivo dei nipoti, sostenendo la sua inadeguatezza genitoriale.

Le allegazioni dei nonni si basavano su gravi episodi: il padre era stato rinviato a giudizio per maltrattamenti nei confronti della compagna deceduta, con episodi di violenza assistita dai minori. Secondo le testimonianze raccolte, emergeva un quadro di comportamenti violenti, abuso di alcool, minacce e condotte aggressive anche in presenza dei figli.

Tuttavia, sia il Tribunale per i Minorenni che la Corte d’Appello di Perugia avevano confermato l’affidamento al padre, ritenendo che le carenze genitoriali del passato potessero essere superate con interventi di sostegno dei servizi sociali. I giudici di merito avevano considerato che il procedimento penale necessitasse di approfondimenti e che le questioni non apparivano “immediatamente comprovate”, non giustificando l’allontanamento dalla figura paterna.

La decisione della Cassazione: quando l’allegazione di violenza non può essere ignorata

La Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato dai nonni, stabilendo un principio fondamentale:

«In presenza dell’allegazione di fatti di violenza domestica, il giudice, ove non escluda tali fatti, al momento in cui adotta i “provvedimenti convenienti” di cui all’art. art. 333 c.c., è tenuto a valutare la compatibilità delle misure adottate con il rischio che, nel caso concreto, si verifichino situazioni di vittimizzazione secondaria».

La decisione chiarisce, inoltre, che:

«(…) la presunzione d’innocenza opera esclusivamente in sede penale e, pur dovendosi negare carattere decisivo alla sola pendenza di procedimenti penali per l’accertamento di comportamenti penalmente censurabili, il giudice civile deve comunque procedere ad una autonoma valutazione dei predetti comportamenti».

L’obbligo di valutare il rischio di vittimizzazione secondaria

L’ordinanza della Cassazione è interessante per il richiamo al concetto di vittimizzazione secondaria. La Corte, facendo riferimento alla Convezione di Instanbul, ratificata dall’Italia con la L. n. 77 del 2013, ha spiegato che il fenomeno di vittimizzazione secondaria si realizza quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni delle violenze stesse.

Il giudice, pertanto, quando non esclude l’esistenza di fatti di violenza domestica e intende adottare i provvedimenti ex art. 333 c.c., deve valutare la compatibilità delle misure assunte con l’esigenza di evitare situazioni di vittimizzazione secondaria, anche per i minori che abbiano assistito agli episodi violenti.

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La definizione di violenza domestica secondo la Convenzione di Istanbul

La Cassazione ha fatto proprio il concetto di violenza domestica delineato dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul, ossia: “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

Questa definizione estesa, quindi, consente di ricomprendere non solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica ed economica.

Le carenze nell’accertamento dei fatti

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che sia il Tribunale sia la Corte d’Appello non avessero compiuto alcun accertamento sui fatti di violenza, anche assistita riguardo ai minori, dedotti dai ricorrenti.

Inoltre, non risultava che la relazione dell’Equipe Multidisciplinare della USL Umbria 1 avesse tenuto conto dei fatti denunciati nel procedimento penale nel valutare la personalità e capacità genitoriale del padre.

La legittimazione dei nonni: un diritto riconosciuto

La pronuncia affronta anche la questione della legittimazione processuale dei nonni materni a impugnare i provvedimenti sull’affidamento dei nipoti. La Corte ha chiarito che gli ascendenti sono “portatori di interesse alla protezione di una sana crescita dei propri nipoti” e possono essere considerati “potenziali affidatari degli stessi, in sostituzione del padre, ove fosse giudicato non idoneo”.

Il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti, previsto dall’art. 317-bis c.c. e coerente con l’interpretazione dell’art. 8 CEDU, legittima la loro partecipazione ai procedimenti che riguardano l’affidamento, specialmente quando si configurano come figure alternative di riferimento per i minori.

L’impatto della Riforma Cartabia

Sebbene il caso non ricadesse nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 149/2022 (che ha introdotto specifiche disposizioni processuali per i procedimenti in presenza di violenza domestica), la Cassazione ha evidenziato come i principi della Convenzione di Istanbul, anche con riferimento a fatti anteriori all’entrata in vigore della Riforma Cartabia, debbano comunque orientare l’interpretazione delle norme interne.

La Riforma Cartabia, infatti, al fine di accelerare i tempi processuali e garantire una maggiore tutela nei confronti delle vittime di abusi e violenze, ha introdotto gli artt. 473-bis.40 e ss. c.p.c., che prevedono specifiche cautele per evitare la vittimizzazione secondaria.

L’ambito di applicazione della nuova normativa riguarda i procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori. L’art. 473-bis.42 c.p.c. al comma 1, prevede che il giudice, al fine di accertare le condotte allegate, può disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.

L’art. 473 bis.42 comma 6 c.p.c., invece, specificamente volto ad arginare il rischio di vittimizzazione secondaria, stabilisce che le parti non sono tenute a comparire personalmente all’udienza. Se compaiono, il giudice si astiene dal procedere al tentativo di conciliazione e dall’invitarle a rivolgersi ad un mediatore familiare. Può comunque invitare le parti a rivolgersi a un mediatore o tentare la conciliazione, se nel corso del giudizio ravvisa l’insussistenza delle condotte allegate.

Riflessioni finali: contrasto concreto alla violenza di genere e tutela dei minori

Il contrasto alla violenza di genere richiede risposte immediate da parte del sistema giustizia, anche per mezzo di strumenti che permettano di abbreviare i tempi processuali e garantire una tutela effettiva. Tuttavia, qualora la legge ancora non offra soluzioni concrete e mirate al caso di specie, è importante che l’interpretazione giurisprudenziale si mostri attenta, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli per minori o soggetti vulnerabili che vivono situazioni complicate come quella della decisione in commento.

Con riferimento, quindi, ai casi ai quali non è applicabile, ratione temporis, la Riforma Cartabia, è necessario che i giudici:

  • non sottovalutino le allegazioni di violenza domestica nel processo civile, anche quando il procedimento penale è ancora in corso;
  • procedano a una propria autonoma valutazione dei fatti denunciati, senza attendere l’esito del giudizio penale;
  • considerino il rischio di vittimizzazione secondaria nelle proprie decisioni;
  • valorizzino il contributo delle figure familiari alternative quando il genitore presenta profili di inadeguatezza.

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