Rilevanza ai fini dell’IRAP dell’attività professionale (medica) svolta in forma associata. Questione alle Sezioni Unite

In generale, la Corte di Cassazione non ha mai espresso un orientamento uniforme sulla debenza dell’IRAP da parte dei liberi professionisti che svolgano in forma associata la propria attività di lavoro autonomo in esecuzione di incarico.

Da un lato, infatti, si pone l’indirizzo in base al quale, poiché l’art. 3 del d.Lgs. n. 446 del 1997 configura come soggetti passivi dell’imposta coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2 (società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate – in tale categoria rientrano le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni), l’esercizio dell’attività da parte di tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività stessa è svolta, costituisce ex lege, ed in ogni caso, presupposto d’imposta, prescindendosi dal requisito dell’autonoma organizzazione (per utte, vedi Cass., 28 novembre 2014, n. 25315).

Seguendo un approccio radicalmente diverso che valorizza la qualificazione del rapporto che intercorre tra detti fattori produttivi, questa sezione ha invece rimesso al Primo Presidente la valutazione in ordine all’opportunità di investire le sezioni unite della questione se sia oggetto di necessaria rilevanza ai fini dell’IRAP l’esercizio di attività professionale svolta nelle forme societarie, quale che ne sia la tipologia giuridica (Cass., ord. 25 febbraio 2015, n. 3870).

Vi è, infine, un orientamento intermedio che riconosce nell’esercizio in forma associata di una professione una presunzione semplice circa l’esistenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi, tale che può ritenersi che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, fino a prova contraria fornita dal contribuente (per tutte, si veda Cass. 6 marzo 2015, n. 4578).

In tale contesto si inserisce l’ordinanza della Cass. civ. Sez. VI, n. 6330 del 27 marzo 2015, che ha sollevato ulteriori dubbi sulla rilevanza ai fini dell’IRAP dell’attività svolta dai professionisti in forma associata, con particolare riferimento all’attività del medico convenzionato col servizio sanitario nazionale.

La Corte di Cassazione ha, infatti, affermato come la natura privatistica di tale attività, in quanto afferente a rapporti di lavoro parasubordinati, certamente dà luogo a redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. c-bis) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).

Tuttavia, in merito all’IRAP, la Suprema Corte si fa degli scrupoli: dovendosi a tal fine esaminare se l’attività è eseguita mediante l’impiego di “mezzi organizzati”, è stato osservato che la disponibilità di moderni mezzi e la predisposizione di una struttura costituita da un ambulatorio, da un medico di turno, da un infermiere, da un addetto alla segreteria ecc., è principalmente funzionale al presidio dei bisogni del malato, al fine di migliorare le capacità assistenziali di ciascun medico.

Da ciò ne potrebbe conseguire che il reddito vero e proprio derivi dal solo lavoro professionale dei singoli associati, essendo i mezzi utilizzati diversamente finalizzati all’effettività della tutela della salute.

Stante la difformità degli indirizzi della corte sulle questioni di diritto coinvolte ai fini della decisione della controversia, la Corte di Cassazione ha così sottoposto al Primo Presidente l’opportunità di voler investire le sezioni unite della questione volta a verificare anzitutto (e ancora una volta) la rilevanza, ai fini dell’IRAP, dello svolgimento in forma associata di un’attività libero-professionale e, più nel dettaglio, a scrutinare se ed in quale misura incidano le peculiarità insite nello svolgimento dell’attività medica in regime convenzionato col servizio sanitario nazionale in generale ed in quello di medicina di gruppo in particolare.

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