Da decenni, ormai, non può essere messo in discussione il fondamentale ruolo calmierante svolto dalle agenzie di rating nell’ambito dei mercati mobiliari e finanziari mondiali: queste sono, difatti, il punto di riferimento per il calcolo dei rischi nell’attività di investimento per diverse categorie di investitori[1].
L’importanza dei giudizi di affidabilità creditizia è sottolineata anche a livello normativo («i rating del credito hanno un impatto significativo sul funzionamento del mercato e sulla fiducia degli investitori e dei consumatori»[2]).
Nel regolamento europeo, infatti, si sottolinea il ruolo del rating quale parametro informativo nei contratti o nei contesti di autoregolamentazione[3]. Il giudizio, offerto da agenzie indipendenti e autonome, inerisce alla solvibilità di una società in termini di capacità della stessa a onerare gli impegni assunti nei confronti dei propri creditori.
Nel predisporre questo cd. certificato di qualità, le agenzie devono tenere conto di parametri oggettivi imprescindibili sia di natura quantitativa (ad esempio: il bilancio, la redditività dell’azienda, i flussi di cassa) sia qualitativa (ad esempio: le capacità manageriali dei soggetti posti al vertice).
Come evitare il conflitto di interessi: regole e qualità del rating
Per comprendere l’evoluzione del funzionamento delle agenzie di rating, si parte dagli anni ’20/’30 del Novecento: in questo periodo storico la loro funzione era quella di finanziarsi tramite la vendita di giudizi agli abbonati (come se fossero una rivista), relativi al mercato secondario delle obbligazioni[4]; a partire dal 1970 sono i “giudicati” a dover pagare una commissione alle agenzie di rating.
Superata la logica: “paga chi usufruisce di un servizio”, si approda al “paga chi viene giudicato” con la conseguenza che si innesta un inevitabile circuito in cui gravita un conflitto di interessi. Si è, dunque, avvertita la necessità di creare un sistema di pesi e contrappesi tramite l’assoggettamento delle agenzie al controllo di autorità indipendenti come la Consob (per l’Italia) e l’AESFEM[5].
Il più recente intervento del regolatore europeo è diretto a migliorare l’integrità, la trasparenza, la responsabilità, la correttezza gestionale e l’indipendenza delle attività di rating del credito, da un lato contribuendo alla qualità dei giudizi diffusi sul territorio europeo e al buon funzionamento del mercato interno, e dall’altro rafforzando la tutela di consumatori e investitori.
La qualità dei rating sarà perfezionata tramite disposizioni inerenti alle condizioni per l’emissione dei rating del credito, mentre l’indipendenza, la prevenzione di conflitti di interesse e una maggior protezione dei soggetti deboli saranno raggiunte attraverso regole relative all’organizzazione [6] e alla condotta delle agenzie[7].
Il caso Fitch e S&P
Nelle 300 pagine di motivazioni depositate, il Tribunale di Trani ha assolto i quattro analisti di S&P (Y. Le Pallec, E. Zhang, F. Crawford Gill e M. Kraemer) dal reato di manipolazione del mercato tramite un doppio declassamento dell’Italia del 13 gennaio 2012 (da A a BBB+). Gli imputati di Fitch, invece sono accusati di aver pubblicato delle informazioni top-secret.
Tali divulgazioni sul debito pubblico italiano[8] (non conforme alla situazione reale) hanno avuto come diretta conseguenza l’incremento della percezione del rischio (con aumento dello spread) e una sfiducia sistemica degli investitori nei confronti del mercato nazionale. Tuttavia, sebbene vi sia stata una formale assoluzione, il Tribunale ha riconosciuto il pregiudizio subìto dall’Italia e ha aperto la strada a richieste di risarcimento danni che possono essere avanzate dai soggetti offesi (Mef, Bankitalia, Consob e risparmiatori).
Questa possibilità risarcitoria si deduce dalla modalità con la quale è stata pronunciata l’assoluzione: si tratta di una formula dubitativa (“perché il fatto non costituisce reato”). Ed infatti, i giudici hanno affermato che sebbene il “fatto nella sua materialità sia acclarato, è necessario valutarne la rilevanza e la idoneità ad integrare la condotta materiale del reato di manipolazione di mercato”.
In altre parole, nonostante sia stato escluso il dolo, si deve valutare un’eventuale presenza della colpa degli imputati nell’ambito dei ripetuti declassamenti dei titoli sovrani e delle Banche [9].
Responsabilità extracontrattuale delle agenzie di rating
Nel nostro ordinamento, a differenza di quello americano[10], la responsabilità delle agenzie di rating è prevista e regolamentata dal diritto civile. Nei casi patologici di non-corrispondenza tra i giudizi resi e l’andamento nel mercato della società (valutata), la tesi maggioritaria riconosce una responsabilità extra-contrattuale (ex art. 2043 c.c.) in capo all’agenzia: nella misura in cui, tramite un rating poi rivelatosi errato, essa ha intralciato e interferito nell’attività di valutazione dell’investitore circa la convenienza di un investimento, l’agenzia è responsabile della lesione della libertà contrattuale di quest’ultimo[11].
Il giudizio offerto garantisce astrattamente un’indicazione della natura dell’investimento e determina un affidamento nell’investitore che è direttamente proporzionale all’affidabilità dell’agenzia che veicola l’informazione: si tratta, ergo, di una questione che attiene ad un piano reputazionale e non contrattuale. Cioè non si instaura alcun rapporto obbligatorio tra agenzia e investitore in quanto questi non verranno mai direttamente in contatto.
La responsabilità di un soggetto particolarmente qualificato è tipizzata nell’art. 164 comma 2 TUF [12] (in riferimento all’illecito commesso dai revisori contabili nei confronti dei terzi). Trattandosi di responsabilità extra-contrattuale, per configurare un coinvolgimento dell’agenzia, non è sufficiente l’accertamento in sede di giudizio di un discostamento tra la situazione ipotizzata e quella reale[13]: in altri termini, non basta dimostrare che le previsioni non si siano concretizzate nella realtà, ma risulta necessaria ed imprescindibile la prova degli elementi di cui si compone il fatto illecito (l’elemento soggettivo della condotta cioè l’esistenza almeno della colpa, l’ingiustizia del danno, il nesso di causalità tra condotta e danno).
Dimostrare l’esistenza della colpa significa dar la prova della violazione delle regole di diligenza professionale (cioè quelle che non si limitano alla correttezza del bonus pater familias e che connotano il consociato medio, ma attengono ad un ambito settoriale e ad un profilo di operatore specializzato) parametrata alla natura dell’attività esercitata e allo status professionale rivestito dalle agenzie (ex art. 1176 secondo comma c.c.).
La prova della negligenza è, quindi, fornita tenendo presente l’accuratezza o precisione usata dal rater nel considerare o interpretare le informazioni a sua disposizione. La prova della colpa dell’agenzia deve allora vertere su un’analisi accurata di tutte le informazioni le quali devono essere dotate di una qualità sufficiente, provenire da fonti affidabili[14]e devono, inoltre, essere valutate tramite metodologie adeguate.
Per quanto riguarda il nesso causale è, ancora una volta, onere dell’investitore provare che, se il pronostico fosse stato veritiero e gli avesse prospettato un default, sarebbe stato dissuaso dal concludere l’operazione. Tuttavia, le obiezioni che l’agenzia potrebbe sollevare sono relative alla distinzione che in diritto si fa tra investitore professionale[15] e non qualificato: in questo caso solo da un investitore professionale ci si potrebbe aspettare, dinanzi al declassamento del rating, una manovra di disinvestimento; se quest’ultima non dovesse essere compiuta, si verificherebbe un concorso di colpa del creditore ex art. 1227 secondo comma c.c. con esclusione del risarcimento per quei danni che il debitore (in questo caso investitore) avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ma che, in realtà, non ha evitato[16].
Il Caso Lehman Brothers
In questo caso il Tribunale di Roma rigettava le richieste attoree in forza dell’assenza di prove relative alla colpa delle agenzie di rating nell’aver sopravvalutato l’andamento del colosso americano. Si è rivelato insufficiente a fondare una responsabilità dell’agenzia l’aver allegato dati quali: un’indagine della SEC (Securities and Exchange Commission) relativa al crollo del titolo Lehman Brothers pari al 23 %, la decisione della società di tagliare personale in misura prossima al 5% o voci (prive di fonti attendibili) inerenti ad un aumento di capitale.
Si riconosce che l’onere probatorio che spetta sugli attori (investitori) è particolarmente gravoso tanto da configurarsi in termini di probatio diabolica, tuttavia quello che avrebbero dovuto portare in giudizio era l’inosservanza (durante la formazione del rating) di uno degli «obblighi relativi alla formazione della valutazione di solvibilità. In assenza di tale attività processuale, infatti, necessariamente si ricadrebbe nella affermazione della responsabilità per effetto di una valutazione di erroneità compiuta ex post [17]».
Responsabilità contrattuale delle agenzie di rating
Nell’ambito di una tutela dell’integrità dei mercati, si profila anche una tesi minoritaria che fa coincidere il pubblico potenzialmente destinatario dei rating emessi dalle agenzie con la cerchia dei sottoscrittori (determinabili aprioristicamente) degli strumenti finanziari che sono appunto oggetto di valutazione.
Sarebbe l’incolpevole affidamento degli investitori nei riguardi delle informazioni rese dalle agenzie a fondare un rapporto obbligatorio ascrivibile nell’art. 1173 c.c.[18]. L’obbligazione che ne deriverebbe comporterebbe un’inversione dell’onere della prova poiché sarà l’agenzia a dover dimostrare di non aver potuto adempiere per una causa a lei non imputabile (ex art. 1218 c.c.), mentre l’attore farà valere il proprio diritto all’esigibilità della prestazione e della mancanza di essa semplicemente deducendola.
Nella responsabilità da contatto sociale qualificato si instaura un rapporto nei confronti del quale l’ordinamento dimostra attenzione; tuttavia, questa tipologia di responsabilità necessita dell’insorgenza di un’obbligazione alla quale le parti devono aderire in modo consensuale, libero e consapevole a prescindere dall’effettiva sottoscrizione di un contratto.
Nel rapporto tra agenzie e investitore, però, non può configurarsi tale responsabilità da contatto sociale, in quanto le agenzie operano in un contesto cd. arelazionale che preclude ogni possibilità di nascita di obbligazioni reciproche.
Considerazioni conclusive
Nel contesto di una crisi finanziaria, molti autori si sono interrogati sulle cause che ne hanno originato l’esplosione e alcuni di questi hanno individuato nelle agenzie di rating il capro espiatorio. Le aspettative create indistintamente nei confronti degli investitori, prescindendo da una valutazione del loro profilo di rischio, sono state qualificate come uno degli elementi cardine della speculazione.
Per garantire una maggior tutela al lato debole degli operatori nei mercati finanziari è stato proposto un modello di responsabilità delle agenzie che varierebbe in base alla determinabilità ex ante degli interlocutori: se l’attività delle agenzie si rivolgesse ad un pubblico di fruitori competenti e professionali, questi vedrebbero ridimensionata la pretesa risarcitoria in quanto nei loro confronti si applicherebbe il concorso di colpa del creditore.
Si presume difatti che questi, dopo aver apprezzato la rischiosità dell’operazione, non ritirano la “posta” immediatamente sperando in tal modo di beneficiare di una riparazione satisfattiva del mancato guadagno (consistente nell’integrale risarcimento del danno subìto a carico dell’agenzia che avesse veicolato informazioni o previsioni non reali).
Questa riduzione o completa eliminazione del risarcimento attenuerebbe il dislivello da molti criticato tra il trattamento più favorevole riconosciuto agli investitori professionali (ai quali secondo alcuni si applicherebbe una responsabilità contrattuale) e quello riservato agli inesperti che dovrebbero, invece, dimostrare l’esistenza di una responsabilità extra-contrattuale con l’aggravante di dover superare l’abissale probatio diabolica prima di ottenere un risarcimento[19].
[1] Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alle agenzie di rating del credito {SEC (2008) 2745} {SEC (2008) 2746} /* COM/2008/0704 def. – COD 2008/0217}: «Gli enti creditizi, le imprese di investimento, le imprese di assicurazioni vita e non vita, le imprese di riassicurazione, gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e gli enti pensionistici aziendali o professionali».
[2] Regolamento (CE) n. 1060/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, relativo alle agenzie di rating del credito.
[3] F. PARMEGGIANI, I problemi regolatori del rating e la via europea alla loro soluzione, in Ban. Imp. Soc., Il Mulino, Bologna, 3, 2010.
[4] F. PARTNOY, The Siskel and Erbert of Financial Markets: two tumbs down for the credit rating agencies, in Whashington University Law Quarterly, 1999, p. 689.
[5] Regolamento delegato (UE) N. 446/2012 della Comissione del 21 marzo 2012 che integra il regolamento (CE) n. 1060/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione relative al contenuto e al formato dei rapporti periodici sui dati di rating che le agenzie di rating del credito devono presentare all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati: «L’articolo 21, paragrafo 4, lettera e), del regolamento (CE) n. 1060/2009, stabilisce che l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM) presenti entro il 2 gennaio 2012 progetti di norme tecniche di regolamentazione da sottoporre all’approvazione della Commissione riguardo al contenuto e al formato dei dati di rating che le agenzie di rating del credito devono comunicare periodicamente all’AESFEM, allo scopo di consentire all’AESFEM di svolgere il suo compito di vigilanza continuativa delle agenzie di rating del credito come stabilito dall’articolo 21, paragrafo 1, di detto regolamento».
[6] L. PICARDI, Obblighi di comportamento e profili di responsabilità civile delle agenzie di rating, in Le Agenzie di rating, Giuffrè, Milano, 2014, p.189: «Vanno menzionati al riguardo la prescrizione di istituire una struttura di controllo interno, la fissazione di poteri-doveri a carico di un compliance officer, nonché l’obbligo di dotarsi di un consiglio di amministrazione composto per almeno la metà di amministratori indipendenti (alcuni dei quali devono essere utilizzatori dei ratings), chiamato a vigilare sulle politiche di gestione dei conflitti di interesse ed a controllare la correttezza delle procedure di elaborazione delle valutazioni rilasciate dall’agenzia e l’efficacia dei controlli interni (sec. 932) ».
[7] Regolamento (UE) N. 462/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 che modifica il regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito.
[8] Trib. Trani, sent. n. 837/2017 richiama il Bollettino economico n. 67 del gennaio 2012: «le tensioni sul debito sovrano dell’area dell’euro si fossero aggravate risentendo non solo del deterioramento del quadro macroeconomico, ma dei ripetuti declassamenti dei titoli sovrani e delle banche di alcuni Paesi europei da parte di talune agenzie di rating».
[9] L’accertamento dell’elemento soggettivo del reato in questione è ostacolato proprio da chi dovrebbe invece collaborare e cioè da alcuni testimoni: Panichi e Piedicchi. Il primo, analista di S&P, tentò di impedire la pubblicazione del rating del gennaio 2012, considerando errate le analisi sulla situazione del debito italiano rese dai colleghi del rating Italia, in quanto temeva che questi ultimi diffondessero valutazioni contrastanti con quelle in precedenza rese da S&P. In particolare, il Panichi, in un’email intercettata dalla Procura di Trani e trascritta dal Tribunale nelle motivazioni, avrebbe sollecitato l’analista del debito sovrano dell’Italia ad avallare le valutazioni rese dal Financial Institutions per evitare possibili errori o un disallineamento rispetto all’opinione manifestata.
Pierdicchi, ex amministratore delegato di S&P Italia, in una conversazione con il Presidente mondiale di S&P (D. Sharma), si dimostra consapevole dell’incompetenza degli analisti e della contestuale inadeguatezza di S&P a rendere un rating sull’Italia, ciononostante in fase dibattimentale rende dichiarazioni parziali, sintomo di una reticenza diffusa e palpabile anche nell’altro teste; tali atteggiamenti denotano la volontà di non collaborare con la giustizia per ragioni personali sottese al nascondere evidenze scomode che potrebbero rientrare nella fattispecie del conflitto di interessi di una pluralità eterogenea di soggetti (manager, analisti, agenzie di rating).
In A. MICALIZZI, Conflitti, reticenza e danni all’Italia: la motivazione di Trani (Documento esclusivo), in https://albertomicalizzi.com/2017/09/29/conflitti-reticenza-e-danni-allitalia-le-motivazioni-di-trani-documento-esclusivo-2/.
[10] G. PONZANELLI, Quando sono responsabili le agenzie di rating, in Analisi Giuridica dell’Economia, Il Mulino, Bologna, 2, 2012. Nell’ordinamento americano, prima dell’introduzione del Credit Rating Agency Reform Act del 2006, i rating resi dalle agenzie erano manifestazione del cd. freedom of press: si trattava di uno strumento di informazione sull’affidabilità creditizia come tanti altri e, pertanto, non sarebbe stato in grado di creare quel contatto con l’investitore al punto da originare una responsabilità in capo all’agenzia nei casi patologici (cioè nei quali il rating reso non coincidesse con la situazione reale). Superata l’identificazione del rating con la libertà di stampa, il diritto americano riconosce una responsabilità delle agenzie solo nel caso di prova del dolo (a carico dell’investitore).
[11] Trib. Catanzaro, sent. n. 685/2012.
[12] Articolo 164 è stato abrogato dal d.lgs 39/2010.
[13] G. ROMANO, In ordine alla responsabilità delle società di rating, in IlCaso.it, 2016, www.ilcaso.it.
[14] Regolamento (UE) N. 462/2013 cit., art. 8, par. 2.
[15] Regolamento Consob N. 11522/1998, art. 31.
[16] L’art. 1227 c.c. secondo comma («Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza») deve essere letto in combinato disposto con gli artt. 1175 c.c. («Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza») e 2056 c.c. («Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso»).
[17] G. ROMANO, In ordine alla responsabilità delle società di rating, cit.
[18] S. FAILLACE, La responsabilità da contratto sociale, Cedam, Padova, 2004, pp.121 ss.
[19] L. PICARDI, op. cit., p. 202.