Affido condiviso dei figli: un caso di esclusione e considerazioni sul DDL Pillon

in Giuricivile, 2018, 11 (ISSN 2532-201X), nota a Trib. Verbania sent. n. 390/2018 del 17/07/2018

Il Tribunale civile di Verbania con sentenza n. 390/2018 pubblicata il 17/07/2018 ha riaffermato la possibilità di esclusione dell’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori in presenza di fattori straordinari idonei a giustificare l’eccezione dalla regola generale dell’affidamento condiviso.

Il caso in esame

Nella sentenza in questione il padre ricorrente chiedeva la determinazione dell’ammontare del contributo dovuto a titolo di mantenimento dei figli, rimettendosi alla determinazione del tribunale per la questione dell’affidamento congiunto e dell’esercizio dei diritti da padre dei minori.

La madre resistente chiedeva l’affidamento condiviso dei figli, l’assegnazione della casa coniugale e un contributo al mantenimento dei figli pari a € 750 – per figlio, dunque complessivamente €1.500 – mensili a titolo di mantenimento dei figli.

Il collegio ha tuttavia escluso categoricamente l’affidamento condiviso dei minori, ritenendo all’esito dell’istruttoria il padre assolutamente inidoneo ad ottenere l’affidamento condiviso, e oltretutto incapace o comunque indisposto a modificare il suo stile di vita a favore di un potenziale miglioramento del rapporto con i propri figli.

Questi ultimi, al momento della redazione della sentenza prossimi al compimento della maggiore età, hanno affermato di non avere alcun ricordo positivo del padre, essendo quest’ultimo incapace di dialogare o costituire un rapporto emotivo con i suoi figli e di conseguenza ricorrente a minacce e violenza psichica e fisica per tenerli sotto controllo.

La sentenza cade nel solco di precedenti sentenze dallo stesso tenore, nelle quali i giudici hanno più volte ribadito che la “netta posizione di rifiuto” del minore nei confronti di uno dei genitori è da ritenere criterio idoneo ai fini della giustificazione dell’affidamento esclusivo a favore dell’altro genitore (ex multis: Corte d’Appello di Roma, 18.04.2007, M.R. c. P.S., Tribunale di Modena, 05.07.2007, PElligra c. Barozzi).

La normativa vigente in tema di affidamento dei figli

Ogni genitore ha, a prescindere dalla durata del rapporto emotivo con l’altro genitore, l’obbligo e il diritto sancito dall’art. 30 della Costituzione di mantenere, istruire ed educare i suoi figli. Tale obbligo non può venir meno a causa della separazione dei genitori, e dunque spetta al legislatore l’attuazione di tale principio, prevedendo una disciplina che trovi il giusto bilanciamento tra tutela dei diritti dei genitori e l’interesse del minore ad una crescita emotiva sana ed equilibrata.

La disciplina dell’affidamento della prole in Italia per decenni era dominata dalla forma dell’affidamento esclusivo ad un genitore, con conseguenziale obbligo all’assegno perequativo da parte del genitore senza affidamento del minore. La normativa in questione era inoltre caratterizzata da una pluralità di regole applicabili ai vari casi di crisi familiare (crisi matrimoniale, crisi personale etc.) simili ma non analoghe.

Tale disciplina è stata profondamente modificata dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, ulteriormente integrata poi dal D.Lgs. n. 154/2013, che ha modificato l’art. 155 del codice civile ed ha introdotto gli articoli 155 bis-sexies, mirando a rendere la disciplina dell’affidamento in Italia compatibile con i vari trattati internazionali sottoscritti e ratificati dall’Italia.

Infatti, la grande novità di tale legge consisteva proprio nell’elevazione della cosiddetta bigenitorialità al livello di regola generale, limitando l’affidamento esclusivo a casi eccezionali nei quali il giudice ritiene che l’affidamento condiviso sia incompatibile con l’interesse del minore. Tale interesse infatti nell’impostazione della disciplina dell’affidamento è da considerare il criterio cardine per ogni decisione del giudice, essendo ogni altro interesse tutelato dalla disciplina in esame da ritenersi inferiore e da disapplicare in caso di contrasto[1].

Elementi chiave della legge 8 febbraio 2006, n. 54 sono ravvisabili nell’introduzione della regola generale dell’affidamento condiviso ex Art. 155 c.c., derogabile ex art. 155-bis solo ove l’affidamento a uno dei genitori risulti contrario all’ interesse del minore, e nella assegnazione della casa familiare ex art. 155-quater. Inoltre, l’obiettivo era quello di uniformare la disciplina sull’affidamento, eliminando le varie fonti normative sostituendole con una sola disciplina unitari applicabile a ogni crisi di famiglia, obiettivo tra l’altro solo in parte riuscito grazie a formulazioni ambigue e la mancanza di una norma abrogativa esplicita.

Il criterio cardine per la modulazione e plasmazione dell’affidamento congiunto nel singolo caso concreto è sempre l’interesse del minore, da valutare nel caso concreto previa assunzione, anche d’ ufficio, di tutte le prove ritenute necessarie, compresa l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni 12, per la valutazione dell’interesse del minore.

Occorre tra l’altro segnalare che ai fini di tale valutazione alcuni elementi caratterizzanti della situazione personale di ciascun genitore non possono essere di regola ritenuti negativi e di conseguenza posti a base di una valutazione negativa dell’affidabilità della prole a tale genitore. Tra tali elementi sono da menzionare la religione, lo status economico inferiore, la convivenza more uxorio, la presenza di prole del nuovo convivente nella nuova casa del genitore o addirittura l’addebito della separazione[2].

Si noti inoltre che nemmeno l’accordo tra i genitori è vincolante per il giudice, che può comunque adottare il provvedimento ritenuto più idoneo a soddisfare l’interesse del minore[3], arrivando sino alla situazione apparentemente assurda nella quale la prole viene affidata a entrambi i genitori anche contro l’espressa volontà di uno o entrambi di essi. Il concetto di affidamento condiviso di regola non comporta la collocazione alternata della prole presso i genitori, ma la permanenza della prole presso uno dei genitori con la previsione di periodi molto ridotti di permanenza presso l’altro genitore. In tal modo è nata la figura del cosiddetto genitore collocatario, che de facto ricalca il genitore con affidamento esclusivo di prima della riforma.

I dati ISTAT (2016) a 10 anni dalla riforma hanno rivelato un’evoluzione della prassi giuridica sicuramente interessante, seppur da considerare carente rispetto a quel che con la riforma si intendeva realizzare. Il numero di affidamenti esclusivi è difatti crollato, cedendo la maggioranza alla figura giuridica dell’affidamento condiviso. Tuttavia, tutti gli altri dati sono rimasti praticamente statici, indicando un cambiamento formale non accompagnato da sufficiente cambiamento sostanziale. Così per esempio la casa coniugale viene affidata alle madri nel 60% dei casi[4].

Di fronte a tali dati statistici si può affermare che la riforma del 2006, in teoria introduttiva della bigenitorialità, pur modificato l’assetto sul piano giuridico non è stata sufficiente per modificare l’assetto fattuale. Anche la previsione dell’assegno perequativo come regola residua e il mantenimento diretto come regole generale de facto non ha prodotto i risultati sperati, essendo i padri nel 94% dei casi aggravati dall’assegno di mantenimento perequativo.

Il Ddl Pillon: le novità previste

L’attuale governo Lega Nord-Movimento 5 Stelle nel suo contratto di governo per quanto riguarda la famiglia ha disposto che: “Nell’ambito di una rivisitazione dell’istituto dell’affidamento condiviso dei figli, l’interesse materiale e morale del figlio minorenne non può essere perseguito se non si realizza un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole. Pertanto, sarà necessario assicurare la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori, rivalutando anche il mantenimento in forma diretta senza alcun automatismo circa la corresponsione di un assegno di sostentamento e valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale.”

Il nuovo governo parte dunque dal presupposto che l’interesse del minore non sia sufficientemente tutelato, poiché la regole generale nella disciplina attuale è quella dell’affidamento condiviso, mentre manca la previsione normativa esplicita di un periodo minimo di collocazione del minore presso ogni genitore. Ci si può interrogare sulla rilevanza di tale mancanza, essendo la collocazione presso entrambi i genitori comunque pacificamente compresa nella valutazione dell’interesse del minore, e di conseguenza considerata automaticamente nell’ambito del ragionamento del giudice. Tuttavia, come supra elaborato, statisticamente i casi di collocazione alternata dei minori presso entrambi i genitori non sono aumentati, rimanendo come ante riforma l’assoluta eccezione.

La modifica annunciata dal contratto di governo è stata concretizzata nel disegno legge n. 735, denominato ddl Pillon, che prevede alcune pesanti modifiche al quadro normativo previgente.

La modifica più prominente contenuta nel Ddl Pillon, attualmente in commissione giustizia del Senato, è la previsione della modifica dell’art. 337-ter Codice Civile, disciplinata dall’ art. 11 ddl Pillon e contenente la regola generale dell’affidamento diretto paritetico, consistente nella collocazione della prole presso i genitori in chiave alternativa e per periodi equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale. In ogni caso ex nuovo art. 337-ter c.c. su richiesta del genitore interessato e in assenza di elementi ostativi oggettivi, il giudice dovrà assicurare il diritto del minore a trascorrere metà del suo tempo presso ciascun genitore, in ogni caso però, salvo diverso accordo tra le parti, dovrà essere garantita alla prole la permanenza presso ciascun genitore di non meno di 12 giorni al mese. Tale periodo minimo di permanenza potrà essere derogato solamente in caso di motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del minore per violenza, abuso sessuale, trascuratezza, indisponibilità di un genitore o inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore [5].

Inoltre il ddl in esame prevede tra l’altro la mediazione obbligatoria per le coppie con figli in caso di separazione, la modifica dell’art. 711 del codice di procedura civile, implementando il requisito essenziale del c.d. piano genitoriale concordato in caso di separazione consensuale, la modifica dell’ art. 337-sexies del codice civile per quanto riguarda l’ assegnazione della casa familiare.

Elemento essenziale della riforma ideata nel ddl Pillon è sicuramente il tentativo di rafforzare la bigenitorialità, già prevista dalla normativa vigente ma come supra elaborato de facto nella maggior parte dei casi non attuata realmente. Tuttavia, la via della c.d. bigenitorialità proposta a tal fine dal ddl in esame, sicuramente ideale per la crescita sana della prole, lascia non poche perplessità, portando il lettore attento a porsi una serie di domande sull’idoneità del testo di legge proposto a cambiare effettivamente l’assetto fattuale previgente in Italia.

Alcune considerazioni sul Ddl Pillon

Mentre un’analisi approfondita del ddl in codesta sede appare eccessiva, non nuoce sicuramente interrogarsi sul disposto letterale del nuovo art. 337-ter c.c. ove prevede la collocazione alternata del minore come diritto di quest’ultimo, da garantire in ogni caso, salvi i casi tassativamente elencati dal medesimo articolo, nella misura di 12 giorni al mese, e allo stesso tempo ribadisce l’interesse del minore come suprema lex in ogni provvedimento adottato dal giudice nell’ambito della disciplina dell’ affidamento.

Ora mentre la discussione sul trattamento meno nocivo per il minore riempie tomi interi di psicologia, ed è tutt’oggi fonte di estensivi dibattiti, la questione giuridica da esaminare è la portata della prevalenza suprema dell’interesse del minore. Ove infatti si arrivasse alla conclusione che l’interesse del minore, idoneo per esplicita previsione normativa perfino a comportare l’attribuzione dell’affidamento esclusivo a uno dei genitori, sia da considerare anche nel nuovo assetto normativo come principio cardine dell’intera disciplina, ci si dovrà interrogare sull’effettiva efficacia della nuova normativa, che in tale ipotesi altro non sarebbe che una riformulazione del principio di bigenitorialità, già sancito nella riforma del 2006 con scarsissimi risultati pratici.

Tale interpretazione permetterebbe ai giudici di continuare con la stessa impostazione mantenuta sin ora, motivando la disapplicazione della permanenza minima con l’interesse del minore a una dimora stabile. Ove invece i 12 giorni minimi di presenza presso ciascun genitore, a parte i casi tassativamente elencati, siano da attribuire senza aver riguardo all’interesse del minore anche per altre ipotesi, si arriverebbe a configurare la situazione assurda di un minore costretto a vivere per dodici giorni al mese con un genitore che, come nella sentenza esaminata all’inizio di questo articolo, non ha nessun rapporto con la propria prole, ma ciononostante non rientra nelle cinque ipotesi tassativamente elencate dall’ art. 337-ter c.c. e di conseguenza è ritenuto idoneo ex lege a prendersi cura della prole per tale periodo.

Ove il ddl Pillon dovesse passare le camere sarà sicuramente interessante l’esame dei dati statistici degli anni a venire, sperando che, a prescindere dalla normativa vigente o da  future riforme, la giurisdizione trovi la strada migliore per garantire la crescita sana ed equilibrata dei minori, possibilmente con presenza di entrambi i genitori.


[1] Cass. Civ. Sez. VI n. 14728/2016

[2] Cassazione Civile Sez. I n. 17089/2013

[3] Cassazione Civile Sez. I n. 10174/2012

[4] https://www.istat.it/it/files//2016/11/matrimoni-separazioni-divorzi-2015.pdf

[5] http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf

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