La prima sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18827 del 16 luglio 2018 ha affrontato una questione di spiccata rilevanza stante l’intrinseca delicatezza del tema e l’importanza dei riverberi sui soggetti coinvolti: la necessità del consenso del genitore titolare della responsabilità genitoriale all’adozione cd. particolare di un minore, anche se con lui non convivente.
Il caso
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte trae origine dalla conferma, da parte della Corte d’Appello di Roma, di una decisione emessa dal Tribunale capitolino nella parte in cui ha respinto la domanda di adozione ex art. 44 c. 1, l. d), l. n. 184/1983[1], ritenendo preclusivo alla stessa il diniego opposto dalla madre.
I giudici di legittimità si sono pertanto interrogati sulla qualificazione della rilevanza del negato assenso all’adozione speciale da parte del genitore biologico di un minore affidato ad altra famiglia.
I precedenti giurisprudenziali
La Corte, nell’affrontare la questione presentatale, ha ripercorso il susseguirsi delle decisioni emesse in tema di adozione in casi particolari.
Dapprima, con la sentenza n. 18575 del 2015, fortemente influenzata dalla precedente statuizione n. 11604 del 1992, i giudici della prima sezione della Cassazione hanno affermato che in caso di adozione particolare abbia efficacia preclusiva ai sensi dell’art. 46, co. 2, l. n. 184/1983 il dissenso manifestato dal genitore che non sia mero titolare della responsabilità genitoriale, ma che ne abbia altresì il concreto esercizio, grazie ad un rapporto effettivo con il minore “caratterizzato di regola dalla convivenza, in ragione della centralità attribuita dagli artt. 29 e 30 Cost. all’effettività del rapporto genitore-figlio”.
In quell’occasione la Suprema Corte era giunta a considerare che solo la comunanza di vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze del figlio rendessero rilevante il dissenso opposto dal genitore e che tale dissenso fosse superabile solo allorquando non venisse esercitata in concreto la responsabilità genitoriale sul fanciullo anche, e soprattutto, in virtù della valutazione del preminente interesse del minore.
I giudici di piazza Cavour, tuttavia, hanno riconosciuto che tale pronuncia, operando un esplicito riferimento alla necessità di convivenza tra genitore biologico e figlio quale elemento caratterizzante il concreto esercizio del rapporto affettivo – e quindi impiegando un solo criterio empirico –, si potrebbe porre in contrasto con un differente orientamento sostenuto quattro anni prima. Con sentenza n. 10265/2011[2] veniva, infatti, affermata l’efficacia preclusiva ai sensi del predetto art. 46 del “dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente all’adozione del figlio minore a norma dell’art. 44, lettera b) della legge richiamata, dovendo egli ritenersi comunque “esercente la potestà”, pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore”[3].
Sulla scorta di tali precedenti apparentemente discordanti, il Collegio ha ritenuto di dare continuità al principio del 2015 specificandone, però, la portata applicativa, valutando la funzione propria della adozione speciale – che permette di formalizzare il rapporto instaurato tra il minore e chi ha prestato lui cure senza recidere il vincolo esistente tra il minore stesso, i genitori biologici e la famiglia di origine – e puntualizzandone le limitazioni, affinché non possa porsi in dissonanza con le linee guida ed i principi che ispirano l’istituto dell’adozione.
Come noto, infatti, il supremo e preminente interesse di ogni minore è quello di vivere, per quanto possibile, con i propri genitori e di essere cresciuto ed accudito nell’ambito della propria famiglia[4]. L’adozione è da considerarsi semplicemente una extrema ratio[5].
A sottolineare l’importanza della ricerca dell’effettività dei rapporti e delle relazioni familiari che esulano, dunque, dalla considerazione del solo elemento convivenza, i giudici della Corte di Cassazione hanno, altresì, menzionato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo[6], la quale ha sottolineato come per vita familiare debba intendersi non solo l’insieme dei vincoli formali di genitorialità e parentela, ma, ancor prima, le relazioni di fatto esistenti, intese come ambiente familiare che soddisfa i bisogni esistenziali del minore.
Non solo, anche la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità degli art. 45 co. 2 e 56 co. 2, l. 184/1983 nella parte in cui prevedevano il consenso del legale rappresentante dell’adottando[7] ha formulato fondamentali considerazioni circa l’insuperabilità del dissenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, attribuendo un ruolo centrale all’effettività del rapporto genitore-figlio e non meramente all’astratta titolarità della responsabilità stessa.
Nel solco delle elaborazioni giurisprudenziali soprariportate, gli ermellini hanno ritenuto, quindi, da un lato, che sia ostativo all’adozione particolare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 46, co. 2 l. 184/1983, il dissenso di quel genitore che non sia mero titolare della responsabilità genitoriale ma che ne abbia il concreto esercizio grazie ad un rapporto effettivo con il figlio e, dall’altro, che la medesima norma sia da considerare come una clausola di salvaguardia, in quanto posta a tutela di valori costituzionalmente garantiti, quali la conservazione della compagine familiare e della società coniugale effettivamente vissute, che prevalgono anche in presenza di opposti consensi manifestati dall’adottante e dall’adottando.
Operando, pertanto, un bilanciamento tra l’interesse del minore, i predetti valori costituzionalmente garantiti e l’effettività dell’esercizio concreto della responsabilità genitoriale – anche a prescindere dalla condivisione materiale dell’abitazione -, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il dissenso espresso dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, che la eserciti in concreto benché non convivente, mantenga il suo valore preclusivo all’adozione cd. particolare salvo che non si sia manifestata una situazione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore.
Il principio di diritto
Alla luce di quanto rilevato, rigettando il ricorso promosso dagli affidatari del minore e ritenendo la sentenza impugnata meramente erroneamente motivata in diritto seppur il suo principio fosse ad esso conforme, i giudici della prima sezione della Corte di Cassazione sono giunti ad affermare il seguente principio di diritto:
“In tema di adozione particolare, il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, anche se non convivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva ai sensi dell’art. 46, comma 2, della legge n. 184 del 1983, salvo che non sia stata accertata una situazione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore esercente la responsabilità”.
[1] Art. 44, c. 1, L. 184/1983: “I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e d madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia organo di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata possibilità di affidamento preadottivo”
[2] Cass. Civ. sent. n. 10265 del 10.05.2011
[3] Cass. Civ. sent. n. 10265 del 10.05.2011
[4] Cass. Civ. sent. n. 13435/2016
[5] Cass Civ. sent. n. 3915/2018
[6] Corte EDU, Wagner c. Lussemburgo, 28.6.2001, Schneider v. Germania, 15.09.2011, c. 17080/7
[7] Corte Cost. 182/1988