La prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno, con ordinanza interlocutoria n. 230 del 2023, sottoporre all’attenzione della Corte costituzionale la questione di legittimità avente ad oggetto l’art. 27, terzo comma, della l. n. 184 del 1983, il quale prevede la recisione dei legami con la famiglia di origine, nel sistema normativo relativo all’adozione legittimante, di dubbia compatibilità costituzionale soprattutto in un contesto sociale, e dunque giuridico, quale è quello attuale, ormai mutato.
Premessa
Prima di addivenire all’analisi della pronuncia oggetto della presente trattazione, si rende necessario ricostruire, giuridicamente, i contorni dell’istituto che viene in rilievo nel caso di specie.
L’adozione è un istituto antico, ma, nel tempo, ha subìto un’evoluzione, relativa a caratteri, figure ed effetti distinti.
Nel suo significato generale, che è quello di creare un rapporto giuridico che si ispira e si adegua al vincolo naturale di paternità e di maternità, si può ben intuire che i requisiti richiesti per legge si avvicinano all’ordinaria struttura del rapporto naturale: adoptio enim naturam imitatur. Poiché esso influisce su molteplici interessi e rapporti familiari, l’istituto dell’adozione, nelle sue varie forme, è contenuto nei limiti legali della l. n. 184 del 1983, che regolano sia i requisiti della sua costituzione, sia la sua efficacia.
Il desiderio, umano, di dare anche un volto legale al rapporto che trae ispirazione dalla naturale costituzione della famiglia, può trovare riconoscimento anche oltre le ragioni di un’assistenza da fornire a chi non goda in concreto di una propria situazione familiare. Perciò, nella legislazione interna e negli stessi accordi internazionali che riguardano la materia, si è creata una distinzione di base, tra l’adozione destinata ai minori abbandonati, e altre forme di adozione. Plasticamente, ad aver ispirato le riforme in atto è stata la tendenza a porre in secondo piano l’antica forma, per riservare l’adozione “ai soli minori d’età”. Si sottolinea che i due tipi di adozione vanno differenziandosi specialmente in questo, che l’adozione dei minori nel diritto moderno si ricongiunge a quegli istituti di “adozione piena” o di “adozione speciale”, alle quali è legato l’effetto di una sostituzione al rapporto naturale di filiazione, mentre nel tipo che era tradizionale, ora diretto ai soli maggiori di età, il nuovo vincolo legale si aggiunge, ma non sostituisce il rapporto antecedente.
Inoltre, nella moderna adozione gli adottanti non scelgono, né designano il minore, ma devono affidarsi all’ufficio che loro attribuirà un qualsiasi abbandonato.
A cavallo tra questi due sistemi, è prevista un’ “adozione in casi particolari”, possibile soltanto in ipotesi determinate, nelle quali l’atto è rivolto a soggetti minori che per gli stessi presupposti del provvedimento sono già conosciuti dagli adottanti, e che, a differenza dell’adozione piena di minori, non produce l’effetto di cancellare il rapporto con i genitori di sangue[1].
L’attuale sistema prevede tre forme di intervento: l’ “adozione vera e propria”, o “adozione piena”, che riguarda i coniugi che siano riconosciuti idonei a educare, istruire e mantenere i minori; un’ “adozione in casi particolari” si può avere anche se non sussistono tutti i presupposti per l’ordinaria adozione dei minori; l’“adozione di persone maggiori di età” la quale segue le linee direttrici dell’adozione ordinaria della tradizione codicistica.
Accanto a questa, viene regolata l’ “adozione internazionale”, per le due ipotesi dell’adozione in Italia dei minori stranieri e dell’adozione di minori italiani che espatriano essendo adottati all’estero[2].
Gli adottanti devono possedere tre requisiti, che riguardano il loro matrimonio, l’idoneità come genitori e l’età. L’adozione è permessa solo ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, non separati neppure di fatto. Di regola l’adozione è consentita soltanto alla coppia e non ai singoli. Tale soluzione è stata riaffermata dalla giurisprudenza, sebbene sia molto dibattuto il problema dell’adozione da parte dei singles[3].
In secondo luogo, i coniugi devono essere effettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere un minore. Infine, per quanto riguarda l’età degli adottanti, si prevede, dall’un lato, che l’età dell’adottante deve superare di almeno 18 anni l’età dell’adottato, dall’altro lato che il divario di età tra adottante e adottato non può superare i 45 anni, limite, quest’ultimo, derogabile solo in presenza di particolari circostanze, indicate nei commi quinto e sesto, dell’art. 6 della l. n. 184 del 1983[4].
Tutti i minori in “stato di abbandono” possono essere adottati senza limiti di età; chi ha compiuto i dodici anni, o anche chi non li abbia compiuti, ma abbia capacità di discernimento, deve essere, di regola, personalmente sentito, e chi ha compiuto gli anni quattordici è chiamato a dare il proprio consenso, che può essere revocato fino alla pronuncia definitiva dell’adozione[5].
Il procedimento di adozione si articola in tre fasi: la “dichiarazione di adottabilità” presuppone lo stato di abbandono del minore perché privo sia dell’assistenza morale, sia dell’assistenza materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi[6].
La conseguenza radicale dell’abbandono, con la perdita del riconoscimento del rapporto legale di filiazione, può essere evitata con l’affidamento temporaneo, previsto nei primi cinque articoli della legge. Inoltre è previsto un limite alla rilevanza dell’abbandono: la forza maggiore che può giustificare il genitore; ma è opportunamente specificato che tale impedimento deve essere di carattere transitorio[7].
Chiunque ha facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età, mentre i pubblici ufficiali hanno il dovere di riferire al tribunale per i minorenni le singole situazioni che richiedono l’intervento dell’autorità competente.
La procedura si svolge presso il tribunale per i minorenni e il provvedimento definitivo viene emesso in camera di consiglio, dopo la necessaria audizione delle persone indicate dalla legge. Tra queste, è particolarmente importante la voce dei genitori, che possono addurre le ragioni di opposizione a un provvedimento che verrebbe a privarli del riconoscimento legale del loro rapporto con il minore. Se il genitore non ha potuto riconoscere il figlio non essendo ancora sedicenne, la procedura è rinviata al compimento del sedicesimo anno d’età, e se è stato autorizzato al riconoscimento prima dei sedici anni d’età, come ora consente l’art. 250, secondo comma, c.c., può comunque chiedere una sospensione per altri due mesi dopo l’autorizzazione; se i genitori sono morti e non risultano esistenti i parenti entro il quarto grado, che abbiano rapporti significativi con il minore, il tribunale dei minorenni provvede a dichiarare lo stato di adottabilità, ex art. 11, l. n. 184 del 1983.
Durante lo stato di adottabilità è sospeso l’esercizio della responsabilità genitoriale; il tribunale per i minorenni nomina un tutore e prende gli ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore[8].
Si conclude il quadro con due considerazioni. Lo stato di abbandono può essere riconosciuto anche se il minore sia ricoverato presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare o si trovi in affidamento familiare. Il sistema esige che la cura degli abbandonati avvenga attraverso il canale dell’autorità; pertanto è di grande rilievo la norma che impone la denunzia dello stato di abbandono anche a coloro che, non essendo parenti entro il quarto grado, accolgano stabilmente il minore nella propria dimora per un periodo superiore ai sei mesi. Vi è corrispondenza con la grave sanzione penale prevista a carico di chi affida un minore a terzi con carattere di definitività.
Contro la sentenza che dichiara lo stato di adottabilità è ammesso ricorso entro trenta giorni: lo stesso tribunale per i minorenni deciderà con sentenza, contro la quale, a sua volta, è ammesso ricorso alla sezione per i minorenni della Corte d’appello.
Per quanto concerne, invece, l’“affidamento preadottivo”, i coniugi che intendono adottare presenteranno generica domanda al tribunale per i minorenni specificando la loro eventuale disponibilità ad adottare più fratelli. Infatti, se non esistono gravi ragioni, non può essere disposto isolatamente l’affidamento di singoli fratelli che siano tutti in stato di adottabilità. La domanda decade dopo tre anni dalla presentazione. Caratteristica della moderna adozione è che gli adottanti si limitano a manifestare, con la richiesta, una generica disponibilità, non diretta cioè a singoli soggetti ad adottare. Il tribunale, fatte le opportune indagini, sceglie tra le più domande a disposizione, affidando i singoli minori alla coppia che ritiene la più idonea alle esigenze del singolo caso, tenendo naturalmente conto, per la valutazione della loro concreta attitudine ad educare, della situazione personale ed economica dei coniugi, della salute, dell’ambiente familiare e dei motivi della richiesta. Il minore che abbia compiuto i quattordici anni deve manifestare espresso consenso alla coppia prescelta, mentre il minore che abbia compiuto gli anni dodici dovrà, semplicemente, essere sentito. Come potrà esserlo pure il minore infradodicenne, in relazione alla sua capacità di discernimento. Si può paragonare la situazione a una specie di periodo di prova, di cui si è sentita la necessità sopra tutto in connessione alle conseguenza assai gravi e definitive dell’adozione.
Il tribunale vigila sul regolare andamento dell’affidamento, avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali, e, nel caso vengano accertate difficoltà di idonea convivenza ritenute non superabili, può anche revocare l’affidamento avvenuto. Il pubblico ministero, e anche il tutore, possono impugnare avanti la sezione minori della Corte d’appello, il decreto del tribunale relativo all’affidamento o alla sua revoca, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione del provvedimento.
Relativamente alla “sentenza di adozione”, il tribunale per i minorenni che ha dichiarato lo stato di adottabilità, decorso un anno dall’affidamento, fatto gli accertamenti e sentite le persone indicate, senza formalità di procedura, provvede con sentenza in camera di consiglio, decidendo di fare luogo o di non fare luogo all’adozione[9].
Per effetto dell’adozione, l’adottato acquistalo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, ex art. 27, primo comma, l. n. 184 del 1983.
Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali; in campo penale si ritiene che a questo solo tipo di adozione siano da applicare le aggravanti previste per il rapporto di filiazione, ex art. 576 e 577 c.p.; l’adottato instaura rapporti di parentela o affinità con i congiunti dei genitori adottivi. Il minore straniero adottato da cittadini italiani ne acquista la cittadinanza.
Qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore. L’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, devono rifiutare di fornire notizie o certificazioni dalle quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, perché gli adottati devono risultare alla pari di qualsiasi figlio legittimo della coppia. Sono previste al riguardo anche sanzioni penali. Soltanto l’autorità giudiziaria può autorizzare, per ragioni particolari, l’accertamento della realtà del rapporto adottivo. Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi su autorizzazione del tribunale per i minorenni solo in presenza di gravi e comprovati motivi. Le medesime informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera, ove vi sia grave pericolo per la salute del minore. L’adottato, raggiunta l’età di 25 anni, o raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica, può accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici, ex art. 28, l. n. 184 del 1983; nonché, secondo la giurisprudenza, a quelle concernenti l’identità delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto – Cass. 20 marzo 2018, n. 6963. L’accesso alle informazioni non è, però, consentito quando la madre si sia avvalsa alla nascita del diritto di non essere nominata previsto dall’art. 30, primo comma, d.p.r. del 3 novembre del 2000, n. 396, recante l’ordinamento dello stato civile[10].
L’adozione di minori in casi particolari ex artt. 44 e ss. della l. n. 184 del 1983
È prevista per i minori, pur quando non ricorrono tutti i presupposti dell’adozione vera e propria, e cioè principalmente senza che sia da rimediare a uno stato di abbandono; essa offre il grande vantaggio per gli adottanti di conoscere il minore da adottare, ex artt. 44 e 57 della l. 4 maggio 1983, n. 184.
È ammessa, come dice il testo legislativo, soltanto in alcune ipotesi, elencate nell’art. 44 della legge sull’adozione, e cioè: quando il minore è orfano di entrambi i genitori e l’adottante è una persona a lui unita da vincolo di parentela entro il sesto grado o da rapporto di fatto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori; l’adottante sia il coniuge del genitore, anche adottivo, del minore; il minore sia persona in condizioni di disabilità e sia orfano di entrambi i genitori; sia stata constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo.
In presenza di queste circostanze è possibile derogare ad alcuni dei requisiti dell’adozione piena. In particolare: non è fissata un’età massima per l’adottante, ma per la prima e ultima ipotesi summenzionate è pur sempre richiesta una differenza di età di almeno diciotto anni tra adottante e adottato; inoltre, nella prima, seconda ed ultima ipotesi, su elencate, l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato, in deroga alla regola della bigenitorialità dettata per l’adozione piena[11].
Si può dire, in generale, che questa forma di adozione, pur fondandosi anch’essa sul provvedimento del giudice, il tribunale dei minorenni, che deve verificare la sussistenza delle condizioni e dei requisiti legali e che l’adozione realizzi il preminente interesse del minore, ex art. 55, l. n. 184 del 1983, presenta una spiccata impronta privatistica, testimoniata dall’importanza che in essa assumono gli atti di consenso degli interessati, quali adottante, adottando, se ultraquattoridicienne, genitori e coniuge dell’adottando, che devono essere raccolti nel corso del procedimento[12].
In linea con la funzione dell’istituto, l’effetto principale dell’adozione in casi particolari consiste nell’attribuire la responsabilità genitoriale all’adottante, che ha il dovere di mantenere, istruire ed educare l’adottato, e ne amministra i beni con poteri analoghi a quelli del tutore.
A differenza di quanto è previsto per l’adozione piena, l’adottato secondo la disciplina prevista per l’adozione di minori in casi particolari non assume, però, una posizione del tutto identica ai figli nati nel matrimonio dell’adottante. La disciplina di questa particolare forma di adozione è, infatti, parzialmente modellata su quella dell’adozione di persone di maggiore età, della quale si richiamano numerose disposizioni[13].
In primo luogo, non cessano i rapporti con la famiglia di origine, ex art. 300, primo comma, c.c., della quale l’adottato non perde il cognome, che va aggiunto a quello dell’adottante, e verso la quale conserva tutti i diritti e tutti i doveri, salve le eccezioni previste dalla legge. In secondo luogo, questo particolare tipo di adozione non estende il rapporto ai parenti dell’adottante: si applica, infatti, l’art. 300 c.c., che al suo secondo comma, statuisce che “L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge”.
L’adottato cumula i diritti successori nei riguardi dei genitori di origine e dei genitori adottivi, ma rimane invece estraneo alla successione dei parenti dell’adottante, ex art. 567, secondo comma, c.c., mentre questi ultimi non hanno alcun diritto di successione sull’adottato, ex art. 33, parimenti richiamato dall’art. 55 della l. n. 184 del 1983[14].
Rispetto all’adozione piena, l’adozione in casi particolari si presenta come una sorta di adozione “incompleta”. In concreto, tale soluzione può tuttavia essere particolarmente adatta a perseguire il miglior interesse del minore, ad esempio come valida alternativa all’affidamento ad un istituto, quando l’adozione piena o l’affidamento preadottivo non sono praticabili – basti pensare al caso del minore orfano già accudito da un parente, o del minore per il quale l’adozione non è di fatto realizzabile, in ragione dell’età o della disabilità – o quando si pone l’esigenza di consolidare un rapporto affettivo già in atto – come, ad esempio, col coniuge del proprio genitore[15].
La “fattispecie concreta” posta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione: i profili di diritto
Ora, stante questo quadro di massima, con la recente pronuncia n. 230 del gennaio del 2023 la Suprema Corte si è pronunciata su una questione sottoposta al suo esame, dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano, in posizione nomofilattica, al fine di rispondere all’unico motivo di ricorso con il quale era stata dedotta la violazione degli artt. 7 e ss. e 44 e ss. della l. n. 184 del 1983, poiché il giudice di secondo grado summenzionato aveva innestato illegittimamente sull’adozione legittimante le caratteristiche proprie dell’adozione mite, con la previsione della conservazione dei legami con la famiglia d’origine, nonostante la espressa previsione contraria contenuta nell’art. 27 l. n. 184 del 1983.
In particolare, la censura ha posto, in concreto, il problema della compatibilità, nel quadro della genitorialità adottiva, e, più specificamente, nel sistema normativo relativo all’adozione legittimante, della previsione di non recidere i legami con la famiglia di origine, attualmente esclusa dall’art. 27 l. n. 184 del 1983, configurandosi nel nostro ordinamento una pluralità di modelli di adozione anche diversi da quello che determina la cessazione dei rapporti con la famiglia di origine.
Dunque, si pone all’attenzione della giurisprudenza l’importante, non solo per la sua novità, tema della preminente esigenza di regolare un settore nevralgico della vita sociale, – ossia gli “orfani dei femminicidi come orfani “speciali”” – nel quale vengono in gioco i diritti fondamentali della persona minore di età che ha vissuti gravi traumi emozionali.
Per questa ragione il P. G. ha ritenuto che l’art. 27 della l. n. 184 del 1983 nella parte in cui recita che “con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali” meriti un’attenta riflessione nei casi in cui non vi siano regimi giuridici alternativi all’adozione legittimante e nello stesso tempo sia stato accertato il pregiudizio per lo sviluppo psico fisico dei minori conseguente alla recisione dei legami con le famiglie di origine. In alcune particolari ipotesi è stata sottolineata la necessità di scongiurare l’esclusione dall’accesso alla storia del ramo familiare materno e paterno “allo scopo di preservarne la memoria e preservare l’integrazione di tale dimensione nel processo necessario alla cura del trauma, posto che la memoria traumatica non può essere né negata né evitata ma rivisitata con tempi e strumenti opportuni”[16]. Occorre evitare, come sottolinea il P. G. nella sua requisitoria, che il trauma derivato dalla perdita di entrambe le figure genitoriali diventi ancora più radicato con l’aggiunta della definitiva recisione dei legami con importanti figure di riferimento che non sono dannose per lo sviluppo psicologico dei bambini ma non possono assumere funzione vicariante.
Pertanto, è stato chiesto, in via principale, che la Corte affermi ex art. 363 c.c. che l’assolutezza del divieto contenuta nell’art. 27 l. n. 184 del 1983 possa fare salvo “il superiore interesse del minore” a non recidere per il suo benessere psicologico il legame con i familiari d’origine. Ciò ove si riveli necessario all’esito di accurato accertamento giudiziale.
I presupposti di fatto
Si rende necessario, sinteticamente, ricostruire i contorni della vicenda concreta per, meglio, comprendere il suo sviluppo sul piano giuridico.
Il Tribunale per i minorenni di Milano ha dichiarato il non luogo a provvedere in ordine alla dichiarazione di adottabilità di due minori la cui madre era stata uccisa dal loro padre condannato per omicidio in prima grado a sedici anni di reclusione. Il medesimo tribunale ha dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale il padre ed ha disposto l’interruzione dei rapporti tra quest’ultimo ed i minori. Questi ultimi sono stati affidati ai prozii materni residenti in Gran Bretagna, con previsione di coordinamento tra i servizi sociali italiani che avevano preso in carico i minori con quelli britannici al fine di preparare i minori stessi al trasferimento con le modalità più adeguate. In particolare, era stato previsto che i servizi sociali britannici prendessero in carico l’intero nucleo familiare composto dai prozii e zii paterni, di conservare periodiche frequentazioni con la nonna materna, anche con contatti telefonici e video chiamate, di garantire l’apprendimento della lingua italiana.
Avverso tale pronuncia avevano proposto appello il tutore dei minori, con richiesta di sospensiva dell’efficacia del provvedimento di primo grado e la nonna materna chiedendo entrambi che fosse dichiarato lo stato di adottabilità dei minori con possibilità d’incontri con i familiari.
La Corte d’Appello, in accoglimento dell’istanza di sospensiva, ha accertato che la coppia di prozii affidatari si era disgregata da molti mesi e che dal febbraio 2019 non incontrava più i bambini i quali avevano sporadici contatti con gli zii paterni, ritenuti già dal Tribunale per i minorenni inadeguati ad occuparsi dei minori.
In sede di decisione, la Corte d’Appello ha dichiarato lo stato di adottabilità dei minori. Dopo aver acquisito relazioni di aggiornamento sulla situazione dei bambini e dei loro rapporti con i parenti paterni e materni, a sostegno della decisione la Corte ha affermato quanto segue.
La nonna materna ha chiesto che i minori fossero collocati mediante adozione legittimante in una famiglia che potesse occuparsi adeguatamente di loro precisando che né la famiglia del prozio paterno né gli zii avevano relazioni significative con i minori prima dell’omicidio commesso dal loro congiunto e che non disponevano delle capacità relazionali ed emotive per garantire ai due bambini quel contesto familiare solido, sicuro ed attrezzato di cui avevano urgente bisogno dopo anni di comunità educativa.
Seguendo, il prozio materno ha tenuto una condotta gravemente irresponsabile nei confronti dei minori, avendo tenuto nascosto agli operatori che dalla moglie, ritenuta figura idonea e competente ad occuparsi dei minori in funzione vicariante, capace di sostenere la giovane moglie del fratello del padre degli stessi, aveva divorziato: non si era reso conto che ai minori non serviva una famiglia qualsiasi fondata sul legame di sangue, ma avevano la estrema necessità di vivere e crescere con adulti a loro del tutto dediti al fine di riparare il trauma gravissimo subito, non dovendosi trascurare che proprio dal contesto familiare paterno proveniva il padre, responsabile della morte della madre, ragione per cui serviva un distacco definitivo ed una ferma presa di posizione del nucleo di riferimento che la ex prozia si era dimostrata in grado di sostenere ma che nella nuova situazione mancava del tutto.
Inoltre, gli zii paterni, il fratello del padre e sua moglie, all’osservazione degli operatori sono risultati fragili e meno capaci di differenziare i bisogni dei nipoti da quelli dei propri figli e di elaborare un pensiero netto e definito del gravissimo agito del congiunto. Il miglioramento intervenuto con l’arrivo della ex prozia ha subito un arresto e le criticità principali del prozio e degli zii consistono nell’incapacità di porre fine in fretta ai momenti di crisi riportando ad altro le cause delle predette criticità.
Infine, i minori rappresentano il bisogno di figure genitoriali forti ed un nucleo all’interno del quale sperimentare un’esperienza di attaccamento che possa essere anche riparativa e di cura per gli aspetti traumatici del loro vissuto. Per rivestire questo ruolo di cura esclusiva, gli zii paterni, pur sinceramente affezionati ai nipoti non hanno le risorse adeguate. Lo zio, in qualità di custode dell’unità familiare non è in grado di contenere i momenti di fatica dei minori ed è incapace di una relazione costruttiva e rassicurante; ha dimostrato scarsa empatia per il dolore dei nipoti essendo impegnato a garantire l’unità della famiglia; la moglie, pur molto intelligente e riflessiva è in difficoltà nel trovare strategie di avvicinamento emotivo con i minori, preoccupandosi di aspetti concreti. Inoltre dopo la scomparsa dalla scena familiare della prozia la moglie dello zio paterno non è più riuscita a vedere i nipoti, sia per la difficoltà di venire in Italia come cittadina straniera, sia per l’indicazione degli operatori dei servizi territoriali. Anche il complessivo progetto di vita dei minori in Inghilterra in una grande casa in cui il nucleo familiare allargato dovrebbe coabitare sembra inadeguato ai minori che hanno urgente bisogno di accudimento specifico, personale e non differenziato.
In conclusione, la Corte d’Appello ha ritenuto che lo strumento più adeguato alla tutela dei minori in questione all’interno del panorama normativo italiano sia l’adozione legittimante da parte di famiglia scelta tra quelle adatte e selezionate dal Tribunale per i minorenni di Milano. Tuttavia, poiché i minori conservano una relazione significativa con la nonna materna ed è nel loro interesse conservare in futuro relazioni con i familiari del ramo paterno i quali hanno mostrato affetto verso di loro e che fanno parte della loro storia personale, anche in funzione dell’elaborazione del trauma subito che richiede non negazione od evitamento ma rivisitazione in tempi e con strumenti opportuni, la Corte territoriale ha considerato prevalente interesse dei minori conservare tali relazioni, attraverso l’intervento dei servizi territoriali che dovranno stabilire tempi, anche futuri, e modalità d’incontri nel rispetto della privacy dei genitori adottivi e con la massima protezione dei bambini da interferenze esterne dannose per il loro benessere psico fisico.
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità
Le fattispecie summenzionate hanno riguardato situazioni in cui vi era un forte e continuativo legame del minore con uno od entrambi i genitori biologici: nonostante rilevate carenze in campo educativo e di assistenza erano presenti figure parentali che avevano rapporti significativi con il minore.
In queste ipotesi si rendeva necessario accertare l’esistenza di un’alternativa all’adozione legittimante, proprio perché modello rigido ed incapace di contenere la complessità della condizione del minore e di non produrre, per questa ragione, pregiudizio al suo sviluppo psico fisico dovuto a distacchi o lontananze traumatiche. L’affermazione di questo orientamento, fondato sulla stretta correlazione tra dichiarazione di adottabilità e necessità di non recidere i legami con il genitore o i genitori biologici non contrasta con la diversa esigenza posta dalla questione sottoposta al vaglio di costituzionalità, dal momento che con essa non si vuole sottolineare la necessità di circoscrivere ulteriormente il ricorso all’adozione legittimante proponendo una ulteriore limitazione – la necessità di conservare i legami con i genitori biologici in funzione del preminente interesse del minore – ma di evidenziare che ove non sia praticabile una strada diversa dall’adozione legittimante, il modello normativo può rivelarsi, in determinate situazioni, non più coerente con il quadro costituzionale e convenzionale di riferimento a causa dell’inderogabile prescrizione della recisione dei legami non solo con i genitori ma con l’intero nucleo parentale così come delineato dall’art. 10, comma secondo, della legge n. 184 del 1983.
Il caso di specie è emblematico al riguardo. Si scrive nel catalogo delle esperienze traumatiche che un minore possa vivere: la perdita immediata ed improvvisa del rapporto con entrambi i genitori, dovuta ad una vicenda tragica ed inemendabile. In questa o in altre situazione analoghe in cui la relazione con i genitori non abbia margini di recuperabilità e non vi siano figure effettivamente sostitutive nell’ambito dei parenti ex art. 10, comma secondo, legge n. 184 del 1983, il ricorso alla dichiarazione di adottabilità ed al modello adottivo di cui all’art. 27 della medesima legge può essere inevitabile.
Ciò, tuttavia, non esclude che debba essere lasciata al giudice minorile la possibilità di indagare in concreto se la definitiva recisione dei legami con i nuclei familiari di origine, all’interno dei quali il minore abbia vissuto la relazione con i propri genitori, sia una soluzione che corrisponda al suo interesse o vi arrechi pregiudizio.
In altri termini, ed in conclusione, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che non possa dichiararsi l’adottabilità del minore e che debba vagliarsi la possibilità di un regime di affidamento o di un modello adottivo mite, ove le indagini tecniche, le relazioni dei servizi territoriali ed infine il convincimento sorretto da una motivazione adeguata del giudice del merito convergano sulla necessitò, per il minore, in un procedimento volto all’accertamento dello stato di abbandono ed alla conseguente dichiarazione di adottabilità, di non recidere il legame con i genitori o il genitore biologico perché questa determinazione arrecherebbe pregiudizio al minore stesso.
Considerazioni sulle lacune del quadro normativo di riferimento attuale
La giurisprudenza di legittimità e di merito ha da tempo intrapreso il percorso di avvicinamento delle norme in tema di adozione, fondate su un sistema sostanzialmente monista, con il microsistema delle adozioni in caso particolare in posizione marginale rispetto all’adozione legittimante, ad un particolare sistema pluralistico che, valorizzando proprio le aperture normative dell’adozione in casi particolari, sia capace di adeguare i modelli di genitorialità adottiva alla molteplicità delle nuove situazioni che vengono ad emersione giurisprudenziale, sia che si tratti di situazioni legate ad una condizione di carenza di cure o di semi abbandono del minore; sia che si tratti di nuovi modelli di genitorialità sociale, le c.d. coppie omoaffettive, cui dare riconoscimento e tutela.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 79 del 2022 ha reso omogeneo lo statuto dei diritti del minore eliminando quasi interamente le differenze di tutela tra i vari modelli adottivi.
Manca tuttavia un ulteriore tassello al consolidamento di un sistema di tutela realmente uniforme del minore, in mancanza del quale risultano violati i paradigmi costituzionali che verranno in questa sede illustrati. Occorre rimuovere la rigidità e la assolutezza delle conseguenze della dichiarazione di adozione, legittimante, in relazione alla cessazione dei rapporti con la famiglia di origine, intesa, con riferimento all’adozione piena, non solo in senso nucleare, composta dai genitori o dal genitore biologico, ma anche con riferimento ai parenti entro il quarto grado con il quale il minore abbia avuto rapporti significativi, ex art. 10, comma secondo, della l. n. 184 del 1983. La concreta valutazione del preminente interesse del minore anche in condizioni di particolare criticità, da svolgersi all’esito di un esame accurato del contesto familiare può condurre, anche quando si decida per il modello più radicale i genitorialità adottiva, a dover preservare la continuità relazionale, nei limiti imposti dalle esigenze del caso concreto, con i parenti entro il quarto grado, pur se ritenuti inidonei a svolgere un’effettiva funzione vicariante ove la definitiva recisione di tutti i legami con tale contesto familiare originario risulti pregiudizievole per lo sviluppo della personalità del minore.
Il necessario intervento del Giudice delle leggi
Il Procuratore Generale ha ben considerato, nel caso di specie, che sarebbe stato, forse, necessario l’intervento della Corte Costituzionale nell’ipotesi in cui il divieto sopra menzionato non venisse ritenuto superabile alla luce di un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma, al fine di valutare la tenuta costituzionale di una norma, ex art. 27, in un contesto sociale profondamente mutato, quale quello attuale, dove la recisione dei legami con i nuclei familiari originari, pur essendo frequentemente necessaria, non sempre è criterio adeguato per fornire una tutela sostitutiva ed effettiva alle situazioni dolorose generate da forme di violenza familiare ed assistita.
Infatti, il Collegio ha ritenuto che non potesse essere affermato il principio di diritto, ex art. 363, terzo comma, c.p.c., nell’interesse della legge così come richiesto dalla Procura generale, pur condividendo la valutazione relativa alla rilevanza nomofilattica della questione anche in considerazione della sua novità e forte attitudine a presentarsi in casi futuri. L’art. 27 della legge n. 184 del 1983, pur essendo collocato nel Capo IV, “della dichiarazione di adozione”, e non nel Capo III, “della dichiarazione di adottabilità”, fissa al comma terzo una regola che, allo stato, imprime all’adozione legittimante un tratto peculiare, prevedendo una radicale soluzione di continuità tra la famiglia di origine e la famiglia adottiva. La ratio si colloca nell’accertamento posto alla base della dichiarazione di adottabilità che consegue ad una valutazione di totale inadeguatezza dei genitori e dei parenti fino al quarto grado, ex art. 10, comma secondo, che si propongano come figure vicarianti. La genitorialità adottiva nel modello dell’adozione legittimante si pone come pienamente sostitutiva di quella biologica in modo da creare una netta discontinuità rispetto al quadro familiare dal quale è scaturita la situazione di abbandono. Questa impostazione iniziale, tuttavia, è stata temperata già in via legislativa a partire dalla riforma introdotta con la l. n. 149 del 2001, che ha stabilito il diritto del figlio adottivo a conoscere le proprie origini a partire dall’età di 25 anni formulando un’istanza al tribunale per i minorenni che provvede, adottando le cautele di riservatezza necessarie, ex art. 28, commi quinto e sesto, oltre che un dovere per i genitori adottivi di informare il figlio, con le modalità ritenute più opportune, del suo peculiare status filiale. La necessità di non escludere o cancellare il passato nella costruzione dell’identità e della personalità del minore ha, infine, dato luogo a forme e modelli adottivi che, ispirandosi a quelli tipizzati nell’art. 44 della l. n. 184 del 1983 hanno inteso proprio escludere quella soluzione di continuità che il legislatore del 1983 aveva voluto realizzare con il modello esclusivo o dominante dell’adozione legittimante che, a parte il diritto dell’acquisizione delle informazioni sulle proprie origini una volta raggiunta la maggiore età, è rimasta ferma pur essendo profondamente cambiato il contesto sociale e culturale all’interno del quale la norma si trova ad operare. La sua formulazione, tuttavia, non lascia spazio interpretativo ad una applicazione che possa conformarsi all’effettivo interesse del minore. La previsione della recisione dei legami con la famiglia di origine ha carattere assoluto, nell’adozione legittimante, in quanto il legislatore, ancorché con valutazione predeterminata, generale ed astratta, ha ritenuto che solo la cancellazione della famiglia di origine possa garantire la realizzazione della piena tutela e del pieno interesse del minore, senza lasciare spazio ad una valutazione in concreto. La salvezza dei divieti matrimoniali, una previsione sostanzialmente pleonastica, conferma la scelta del legislatore in ordine all’intangibilità in via interpretativa del divieto, di conservare, nel caso sia corrispondente all’interesse del minore, i legami con la famiglia di origine.
Il sistema normativo disciplinato ai capi II e IV della l. n. 184 del 1983 si fonda su un inscindibile nesso causale sussistente tra dichiarazione di adottabilità e dichiarazione di adozione con automatico effetto di recisione dei legami, non superabile in via interpretativa.
Alla luce di queste premesse, il Collegio ha ritenuto che sia impossibile un’interpretazione costituzionale della norma[17].
L’inderogabilità della recisione dei legami con la famiglia di origine, intesa come tratto distintivo dell’adozione legittimante rispetto ai modelli adottivi previsti dall’art. 44 della legge n. 184 del 1983, non costituisce sempre, per le ragioni già esposte, soluzione preferibile per il minore, anche qualora non sussistano le condizioni per intraprendere un percorso adottivo diverso da quello che conduce a questa scelta. Ritenere, come previsto nell’art. 27, il modello dell’adozione legittimante, che ha come presupposto necessario indefettibile la dichiarazione di adottabilità, incompatibile con la conservazione di legami con il nucleo familiare e parentale di origine, da definirsi nel contenuto e nel tempo secondo il monitoraggio disposto dal giudice specializzato, può non corrispondere in talune situazioni all’interesse del minore, ponendolo così nella condizione di ricevere un profilo di tutela ingiustificatamente inferiore a quello che potrebbe avere ove il divieto non fosse vigente ed ad essere discriminato per l’impossibilità di accedere a forme di adozione c.d. mite per la mancanza di effettive figure vicarianti o di riferimento.
La questione di legittimità costituzionale da prospettarsi
Il Collegio, pertanto, considerati l’art. 134 Cost., l’art. 23 della l. n. 87 del 1953, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 30 Cost. ed all’art. 117 Cost. con riferimento all’art. 8 C.E.D.U., agli artt. 3 e 21 della Convenzione O.N.U. fatta a New York il 20/11/1989 e ratificata con l. 20 del mese di maggio del 1991, n. 176, all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la questione di costituzionalità riguardante l’art. 27, comma terzo, della l. n. 184 del 1983 nella parte in cui stabilisce che con l’adozione legittimante derivante dall’accertamento dello stato di abbandono e dalla dichiarazione di adottabilità cessano irreversibilmente i rapporto dell’adottato, e conseguentemente del minore adottabile per effetto della dichiarazione di adottabilità, con la famiglia di origine estesa ai parenti entro il quarto grado, ex art. 10, comma quarto, della l. n. 184 del 1983, escludendo la valutazione in concreto del preminente interesse del minore a non reciderli secondo modalità stabilite in via giudiziale.
La rilevanza della questione
La questione sopra illustrata è stata, infatti, reputata rilevante – perché potesse essere rimessa alla Corte Costituzionale – in funzione dell’intervento nomofilattico che la Corte intende svolgere ex art. 363 c.p.c. nell’interesse della legge, considerando la sua particolare importanza, nonché la sua attualità, attestata, quest’ultima, dalla sempre più frequente emersione giurisprudenziale di situazioni di confine nei giudizi volti ad accertare i presupposti per la dichiarazione di adottabilità.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 119 del 2015 ha riconosciuto che può essere sollevato incidente di costituzionalità anche in sede di procedimento volto all’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ove la questione, nella specie consistente nella compatibilità costituzionale della recisione dei legami con la famiglia di origine come conseguenza automatica ed inderogabile della dichiarazione di adottabilità, ancorché formalmente contenuta nella norma relativa agli effetti della dichiarazione di adozione, costituisca per il giudice rimettente un passaggio ineludibile ai fini della formulazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c. ossia ai fini della pronuncia di quella regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, è destinata a valere come criterio di decisione di casi futuri. La nozione di concretezza cui è legata la rilevanza della questione non si traduce, infatti, nella necessità di una concreta utilità per le parti del giudizio di merito ma nell’affermazione del corretto principio di diritti di rilievo nomofilattico nell’interesse della legge.
Infine non può escludersi la legittimazione della Corte di cassazione, in sede di enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, a sollevare la questione di costituzionalità[18].
La non manifesta infondatezza
Per quanto concerne il dubbio della legittimità costituzionale relativo all’art. 27, comma terzo, della l. n. 184 del 1983 nella parte in cui afferma che con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia di origine, salvo i divieti matrimoniali, si rileva non manifestamente infondato in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 C.E.D.U. e agli artt. 3 e 21 della Convezione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 21 novembre del 1989 e ratificata con la l. n. 176 del 1991 ed art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La centralità del preminente interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano assume un’angolazione peculiare, all’interno del sistema normativo della genitorialità adottiva, introdotta dalla legge n. 184 del 1983 e successive modificazioni, perché i modelli di genitorialità adottiva sono predeterminati in modo rigido sia in relazione alle condizioni di accesso che in relazione agli effetti del conseguimento dello status filiale. Questo impianto normativo non ha, tuttavia, impedito un’interpretazione estensiva ai modelli di genitorialità adottiva diversi dall’adozione legittimante tanto da identificare nella fattispecie astratta prevista nell’art. 44, lett. d), una sorta di clausola residuale[19], che ha consentito l’emersione e l’attuale affermazione della c.d. adozione mite fino all’adeguamento del modello alle coppie omogenitoriali[20]. La flessibilità è stata imposta dal rilievo crescente della concreta considerazione del preminente interesse del minore nell’esame delle singole situazioni e nella ricerca delle soluzione più adeguate. La tutela del preminente interesse del minore, così come affermata nella Convenzione di New York, ex art. 3, e successivamente riprodotta nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ex art. 24, ed in numerose norme di recente introduzione di diritto interno, ex artt. 155-sexies e 337-octies c.c., da ratio conformatrice del sistema legislativo di tutela dei minori, interamente inverata attraverso il paradigma normativo, in modo predeterminato ed astratto, è divenuto criterio determinante nelle decisioni relative ai minori. Con l’aiuto delle scienze psicologiche e sociali, sempre più attente a considerare il minore nella integralità della sua vicenda umana, il criterio del preminente interesse ha acquistato concretezza ed effettività ed è divenuto il metodo di valutazione delle scelte più adeguate per il suo sviluppo psico fisico. Questa specifica attitudine, mal si concilia con un sistema normativo che non presenti margini di flessibilità quale quello relativo al complesso procedimento che dall’accertamento dello stato di abbandono, conduce alla dichiarazione di adottabilità ed infine con separato procedimento di adozione legittimante. L’art. 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 che di questo sistema è una norma cardine costituisce un esempio paradigmatico di norma apertamente contrastante con la necessità di valutare in concreto il preminente interesse del minore. Pur essendo in un capo diverso, il Capo IV, rispetto a quello che disciplina la dichiarazione di adottabilità, influenza in modo determinante la precedente fase processuale che conduce alla dichiarazione di adottabilità, dal momento che a partire da essa cessano i rapporti con la famiglia di origine pur essendo necessario il successivo procedimento volto alla dichiarazione di adozione.
I parametri costituzionali violati
Si è considerata, in questa sede, la possibilità che spetti al giudice minorile il potere di indagare in concreto se la definitiva recisione dei legami con i nuclei familiari di origine, all’interno dei quali il minore abbia vissuto la relazione con i propri genitori, sia una soluzione che corrisponda al suo interesse o vi arrechi pregiudizio.
Tuttavia, l’inderogabilità dell’art. 27, terzo comma, esclude questa possibilità e consegna esclusivamente alla norma la valutazione, in modo predeterminato ed astratto, di tutte le variabili che compongono il c.d. preminente interesse del minore. Così facendo la norma contrasta con gli artt. 2, 3 da leggersi unitamente all’art. 30 e 117 con riferimento all’art. 8 C.E.D.U. ed agli artt. 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 21 novembre del 1989 e ratificata con l. n. 176 del 1991 ed art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Con l’art. 2 perché non consente di mettere in campo tutte le energie affettive e relazionali, ove ritenute produttive di benefici all’esito di rigoroso accertamento giudiziale, che possono contribuire alla costruzione dell’identità ed allo sviluppo equilibrato della personalità di minori che hanno subito deprivazioni affettive di particolare gravità ed impatto traumatico.
Con l’art. 3 perché determina un’ingiustificata disparità di trattamento con gli altri modelli di genitorialità adottiva, previsti dall’art. 44 della legge n. 184 del 1983, per i quali non è normativamente prevista la recisione dei legami con i nuclei familiari di origine pur essendo, anche grazie ad un recente intervento della Corte Costituzionale[21], i diritti del minore nella famiglia adottiva sostanzialmente equiparati a quelli previsti nel modello dell’adozione legittimante. La inderogabilità della recisione dei legami esclude a priori la valutazione del concreto interesse del minore in una situazione nella quale massima dovrebbe essere l’attenzione a tutti gli aspetti ed interventi che possano concorrere a non complicarne ulteriormente il fragile percorso di crescita. L’omissione in via generale di ogni considerazione relativa alla natura ed effetti dei legami endofamiliari anche con figure diverse dai genitori, determina, per la sua rigidità, una discriminazione tra minori destinati univocamente all’adozione legittimante e minori ai quali non è precluso il ricorso ai modelli adottivi di cui all’art. 44 della l. n. 184 del 1983, ove per entrambe le tipologie si riveli necessario, alla luce della indagine giudiziale condotta caso per caso, non recidere i legami con il contesto familiare di provenienza.
Con l’art 117 Cost. in relazione alla violazione dell’art. 8 C.E.D.U. per la costante ed univoca inclusione nell’ambito del diritto alla vita familiare del diritto del minore a non vedere recisi i legami con il nucleo familiare di origine quando ciò sia coerente con il perseguimento del suo preminente interesse, da accertarsi in relazione alla natura ed effettività delle relazioni instaurate prima della legittima dichiarazione di adottabilità[22], nonché del suo diritto alla vita privata, ove la provenienza geopolitica e culturale del contesto familiare originario costituisca, come nel caso di specie, un profilo cancellabile della identità personale del minore stesso.
Pur nella consapevolezza che l’interpretazione dell’art. 8 C.E.D.U., fornita dalla Corte di Strasburgo in tema di proporzionalità dell’ingerenza nel diritto della vita privata e familiare del minore, nelle decisioni giudiziali in tema di adozione, riguarda prevalentemente la conservazione del legame con i genitori o il genitore biologici, le indicazioni provenienti dalle pronunce della Corte E.D.U. sono univocamente dirette a superare gli ostacoli normativi, o procedimentali, che impediscano, anche a fronte di irreversibile inidoneità genitoriale, o del nucleo parentale che si propone come vicariante, la concreta valutazione degli effetti della recisione dei legami endofamiliari così da adattare i modelli normativi all’obiettivo del perseguimento effettivo del preminente interesse del minore.
L’esigenza di verificare, caso per caso, la condizione del minore che nei procedimenti in esame si presenta sempre caratterizzata da forti criticità esclude la compatibilità costituzionale con la declinazione del diritto alla vita privata e familiare così come univocamente espresso nei principi della Corte E.D.U., dell’automatismo contenuto nell’art. 27, comma terzo, della l. n. 184 del 1983, in relazione all’inderogabile effetto della recisione di tutti i legami familiari pregressi, anche relativi ai parenti fino al quarto grado di cui all’art. 10, comma secondo, legge n. 184 del 1983, derivante dalla dichiarazione di adottabilità.
Il determinismo della norma censurata contrasta con la necessità di una pluralità di modelli adottivi flessibili pur nella predeterminazione legislativa che consentano di adeguare alla concretezza delle situazioni, lo statuto protettivo del minore di adottare, tenuto conto dell’evoluzione del contesto sociale e degli approdi più accreditati e recenti delle scienze sociali[23], nonché del contesto culturale e geografico di provenienza del minore che in molte situazioni costituisce un tratto ineliminabile della sua identità.
Con gli artt. 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 21 novembre del 1989, e ratificata con la l. n. 176 del 1991, ed art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per la centralità che la valutazione del preminente interesse del minore assume nel diritto convenzionale internazionale, con riferimento al contesto familiare ed affettivo di riferimento.
In primo luogo, l’art. 3 della Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 24 ottobre del 1989 e ratificata, con il quale è stata sancita la necessità di valutare il preminente interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano.
In secondo luogo l’art. 20, comma terzo, della medesima Convenzione, che impone di valutare nella selezione dei modelli di sostituzione o di sostegno alla genitorialità biologica, la continuità educativa e la considerazione per l’origine etnica, religiosa, culturale e linguistica. Di pari rilievo l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che ribadisce la preminenza dell’interesse del minore.
Conclusioni
Partendo da un necessario – e dovuto per il lettore – inquadramento dogmatico dell’istituto oggetto della pronuncia sopra analizzata, si è cercato di ricostruire giuridicamente i confini, per poi presentarne le problematicità, di una tematica, per certi aspetti, “nuova” agli occhi della giurisprudenza, non tanto, forse, per la sua natura quanto per i suoi “risvolti sociali”, e dunque anche sul piano giuridico: in particolare, si è posto in concreto il problema della compatibilità, nel sistema normativo relativo all’adozione legittimante, della previsione di non recidere i legami con la famiglia di origine, attualmente esclusa dall’art. 27, della l. n. 184 del 1983.
Sebbene in un primo momento fosse stato ritenuto opportuno rivolgersi ai Giudici di legittimità, perché intervenissero in posizione nomofilattica, formulando principio di diritto, ex art. 363, comma terzo, c.p.c., si è, poi, ben osservato che indispensabile, nel caso di specie, fosse l’intervento del Giudice delle leggi, ove venissero accertate la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, – come è stato sopra illustrato – data la dubbia tenuta costituzionale di una norma quale è l’art. 27 in un contesto sociale profondamente mutato, quale è quello attuale, dove la recisione dei legami con i nuclei familiari originari, pur essendo frequentemente necessaria, non è sempre criterio adeguato per fornire una tutela sostitutiva ed effettiva alle situazioni dolorose generate da forme di violenza familiare ed assistita.
Pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma terzo, della l. n. 184 del 1983 nella parte in cui stabilisce che con l’adozione legittimante derivante dall’accertamento dello stato di abbandono e dalla dichiarazione di adottabilità cessano irreversibilmente i rapporti dell’adottato, e conseguentemente del minore adottabile per effetto della dichiarazione di adottabilità, con la famiglia di origine estesa ai parenti entro il quarto grado, ex art. 10, comma quarto, della l. n. 184 del 1983, escludendo la valutazione in concreto del preminente interesse del minore a non reciderli secondo le modalità stabilite in via giudiziale, è stata reputata rilevante e non manifestamente infondata, ex art. 134 Cost., e la l. n. 87 del 1953, ex art. 23, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117 Cost., e, ad opera della Suprema Corte, vi è stata lo sospensione del giudizio ai fini della trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
[1] Titolo IV, l. n. 184 del 1983, come modificato dalla l. del 26 marzo 2001, n. 149. Il legislatore ha deciso di riformare principalmente l’adozione dei minori, considerandola come uno dei capitoli più meritevoli di sviluppo in quella tematica dell’assistenza minorile a cui la legge ora in vigore è diretta. Si è voluto favorire questo modo di assistenza familiare, trovando nei nostri tempi una situazione che vi si presta, per il ben noto fenomeno di numerose domande di coppie di coniugi che desidererebbero portare in famiglia un minore senza correre il rischio di una tardiva avocazione da parte dei genitori che possano invocare i diritti del sangue.
Bisogna, inoltre, notare che in conseguenza tanto delle maggiori facilità di scambio tra i vari Paesi quanto della scarsità numerica che si riscontra nelle nuove generazioni dei Paesi che si dicono civilizzati, si è sentita una forte esigenza di regolare l’istituto, sia con accordi tra vari Stati per l’armonizzazione delle loro leggi interne, sia con leggi interne dirette all’adozione dei minori stranieri.
Un intervento legislativo era, dunque, richiesto per regolare il fenomeno del richiamo anche dall’estero di minori da adottare, proprio anche per integrare la ricordata deficiente disponibilità di figli da dichiarare in stato di adottabilità.
[2] Titolo III, N. 184 del 1983, come modificato dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476.
[3] L’adozione da parte di un solo adottante sarebbe pur prevista dalla Convenzione di Strasburgo del 1967; ma finora la nostra Corte costituzionale non ha ritenuto di accogliere la soluzione che pure era stata seguita dalla Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 28 novembre 1994; la Cassazione, con sentenza n. 7950 del 1995, ha affermato, ribandendolo anche successivamente con sentenza n. 6078 del 2006, la non applicabilità in argomento della più larga accezione della Convenzione di Strasburgo, negando quindi che dalla medesima discenda necessariamente per gli Stati il principio di ammissibilità dell’adozione di minori anche da parte di persone singole. L’adozione piena di minori può dunque riguardare persone singole solo in casi del tutto eccezionali, in particolare, quando, nel corso dell’affidamento preadottivo, sopravvengano la morte o l’incapacità di uno dei coniugi o la separazione. Consentita ai singoli è, invece, l’adozione di minori in casi particolari, solo nelle speciali ipotesi in cui essa è prevista e con i suoi peculiari effetti, di minore intensità rispetto a quelli dell’adozione piena, ex artt. 44 e ss. l. n. 184 del 1983.
Il requisito dei tre anni indicato dalla legge include anche il periodo in cui i coniugi abbiano convissuto stabilmente e continuativamente prima del matrimonio, ex art. 6, comma quarto, l. n. 184 del 1983.
L’adozione non è, invece, consentita alle coppie conviventi more uxorio. L’adozione piena non è consentita neanche alle coppie formate da due persone dello stesso sesso unite civilmente – lo vieta l’art. 20, comma primo, l. 20 maggio 2016, n. 76. È opportuno segnalare, però, che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, con sentenza del 19 febbraio 2013, Affaire X et autres c. Autriche, ha stabilito che, ove il diritto interno di uno Stato membro riconosca il diritto all’adozione anche alle coppie non coniugate, – ma questo, ad oggi, non è il caso dell’Italia – tale diritto non può venire legittimamente escluso per le coppie di conviventi del medesimo sesso, applicando il solo principio discriminatorio della diversità sessuale, perché ciò integrerebbe una violazione del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantiti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
[4] Il divario massimo di età tra adottati e adottato era originariamente di 40 anni, ed è stato elevato a 45 anni con la l. n. 149 del 2001. Peraltro, già in precedenza un consolidato orientamento giurisprudenziale – Corte Costituzionale n. 283 del 1999 – aveva ritenuto doverosi superare la rigidità di tali determinazioni temporali, consentendo al giudice un più ampio spazio di valutazione.
[5] Si tenga peraltro presente la nota caratteristica del moderno istituto: è necessario il consenso, ma non è ammessa la scelta.
[6] Secondo la Corte Costituzionale, con sentenza n. 171 del 1994, si presume in stato di abbandono anche il figlio di donna che non abbia voluto far risultare la propria maternità e che risulti dunque dall’atto di nascita come figlio di genitori ignoti.
Perché si realizzi lo stato di abbandono non è necessario che vi sia da parte dei genitori una precisa volontà di abbandono, ma è sufficiente che essi tengano un comportamento omissivo inconciliabile con l’esercizio del diritto-dovere previsto dall’art. 325-bis c.c., concernente gli obblighi dei genitori, così da doverli ritenere inadeguati al loro compito, ossia non siano “in grado di assicurare al minore quel minimo indispensabile di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile, per lo sviluppo e la formazione della sua personalità” – Cass. n. 17096 del 2013. Si ricordi che la mancanza dell’assistenza materiale non è sufficiente, da sola, ad integrare lo stato di abbandono, se ad essa non corrisponde anche una carenza di assistenza morale da parte della famiglia: altrimenti, prevale il fondamentale diritto del minore di crescere ed essere educato nella propria famiglia, fermo l’obbligo dello Stato di intervenire aiutando i nuclei familiari a rischio. Ne discende che l’adozione piena deve essere considerata come una extrema ratio, una misura eccezionale cui è possibile ricorrere, non già per consentire al minore di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ivi compreso l’affidamento familiare di carattere temporaneo, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio – Cass. n. 7391 del 2016. Su tali basi la recente giurisprudenza tende a riconoscere che, in particolare nelle situazioni di abbandono “semipermanente” cioè di grave fragilità genitoriale, ma in presenza di un rapporto affettivo pur sempre significativo, o a carattere “ciclico”, in cui il legame affettivo è comunque presente, in luogo dell’adozione piena debba darsi luogo a un’adozione c.d. mite, applicandosi in via estensiva il disposto dell’art. 44, lett. d), che consente l’adozione in casi particolari, che non recide del tutto il rapporto con la famiglia d’origine, “quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo”, intesa anche come impossibilità “di diritto” – Cass. n. 1476 del 2021.
[7] Ex art. 15, primo comma, l. n. 184 del 1983, come modificato dalla riforma della filiazione, che ha precisato che, in caso di impedimento, lo stato di abbandono può desumersi anche dalla “provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in tempo ragionevole”.
Su questo tema della “forza maggiore” come causa impeditiva della dichiarazione dello stato di adottabilità, si può rinvenire il confine tra il riconoscimento dei cosiddetti diritti del sangue e l’interesse del minore a trovare un nuovo ambiente familiare idoneo alla sua crescita. Dovendosi pur sempre considerare prevalente il bene dell’adottando, la forza maggiore che giustifica la mancata assistenza, come dimostrazione che questa non dipenda da cattiva volontà, può essere tenuta in conto soltanto nella previsione di una sua durata limitata nel tempo.
[8] Cass., n. 4696 del 1889.
[9] Anche in questa sede il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all’adozione nei confronti della coppia prescelta. Se esistono figli nati nel matrimonio della coppia che ha chiesto l’adozione, questi devono essere sentiti qualora abbiano più di quattordici anni. Per motivate ragioni nell’interesse del minore il termine può essere prorogato di un altro anno. Se durante l’affidamento preadottivo uno dei congiunti muore o diviene incapace, l’adozione, nell’interesse del minore, può essere ugualmente pronunziata nei confronti di entrambi i richiedenti, con effetto per il coniuge deceduto dalla data della sua morte. Se nel corso dell’affidamento interviene separazione tra i coniugi, l’adozione può essere disposta anche nei riguardi di entrambi, o di uno solo, nell’esclusivo interesse del minore; se l’adozione è disposta nei soli confronti della moglie separata, l’adottato assume il cognome della famiglia di lei. Contro la sentenza di adozione, trascritta, a cura del cancelliere del tribunale, nei dieci giorni dalla comunicazione, in apposito registro, è ammessa impugnativa alla Corte d’Appello, sezione per i minorenni, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione ai singoli interessati; contro la sentenza della Corte d’Appello è ammesso ricorso in Cassazione entro trenta giorni dalla notificazione.
La Corte Costituzionale ha stabilito, con sentenza n. 344 del 1992, che in nessun caso l’adozione può essere revocata, neppure nell’interesse dell’adottato.
[10] Ex art. 28, settimo comma, l. n. 184 del 1983.
Pronunciandosi sul delicato tema del necessario bilanciamento tra il diritto della madre all’anonimato e il fondamentale diritto del figlio a conoscere le proprie origini, la sentenza della Corte Costituzionale, n. 278 del 2013, ha, tuttavia, stabilito l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca della sua volontà di non essere nominata.
Prima della recente riforma del diritto della filiazione, l’adottato, per effetto dell’adozione, acquistava lo stato di figlio, e delle modificazioni “adozione legittimante”. A seguito dell’unificazione dello stato di figlio, e delle modificazioni apportate alla l. n. 184 del 1983 dal d. lgs. n. 154 del 2013, l’adottante acquista ora lo stato di “figlio nato nel matrimonio” degli adottanti; pare dunque più corretto qualificare semplicemente questa forma di adozione come “adozione piena” per distinguerla sia dall’adozione di minori in casi particolari sia dall’adozione di maggiori di età, che producono, rispetto ad essa, effetti minori.
[11] In sostanza, si tratta di un opportuno adattamento alla rigidità del sistema, che riserva l’adozione ai minori abbandonati, mentre non ci sono limiti per l’altra adozione dei maggiori.
I casi particolari sono riconosciuti per consentire di estendere, entro certi limiti, il sistema dell’adozione a vantaggio, per offrire ad un minore pur in stato di abbandono una forma di accoglienza familiare meno traumatica dell’adozione piena, che recide ogni rapporto con la famiglia di origine. Di qui le norme speciali in materia di assenso da prestare anche dai genitori e dal coniuge dell’adottando quando essi esistano: di qui sopra tutto le norme per la rappresentanza dei minori, per la custodia dei loro beni, e così via. Anche in tema di revoca sono previste norme speciali perché l’istituto non è creato per una situazione come quella dell’adozione vera e propria che vede cancellare un passato non più ricostruibile. Come già sottolineato, la duttilità dell’istituto è accentuata dall’interpretazione estensiva che la recente giurisprudenza tende ad offrire dall’art. 44, lett. d), l. adoz., in particolare lì dove ammette che il requisito della constata impossibilità dell’affidamento preadottivo possa essere inteso estensivamente come soddisfatto anche da una impossibilità “di diritto”: la lett. d) si converte, in questo modo, in una sorta di clausola di chiusura che giustifica il ricorso a forme di adozione c.d. “mite”, in tutti quei casi in cui, in presenza di situazioni di “semi-abbandono” ossia situazioni in cui la non piena idoneità genitoriale dei genitori biologici non esclude, tuttavia, l’opportunità, in minore, della loro presenza nella vita del figlio, l’adozione piena, che recida ogni rapporto con il genitore biologico, potrebbe rivelarsi una scelta non adeguata al preminente interesse del minore – Cass., sentenza n. 1476 del 2021.
Negli ultimi tempo molto si discute in merito all’applicabilità di tale particolare ipotesi di adozione, e, più di altre, della lett. d) dell’art 44 della l. adoz., per fondare l’adozione di un minore da parte del partner omosessuale del genitore con cui stabilmente conviva. Al quesito non ha dato una risposta univoca la recente legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, l. del 20 maggio del 2016, n. 76, la quale, pur vietando da un lato l’estensione alle coppie unite civilmente delle disposizioni della l. n. 184 del 1983, dall’altro stabilisce che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, – si veda l’art. 1, comma 20 – con tale formula implicitamente dando continuità, almeno secondo una data interpretazione, agli orientamenti della giurisprudenza, che pare, in prevalenza, favorevole ad estender l’art. 44, lett. d), l. adoz., ai casi in parola, anche al di là delle unioni civili, sula base della già riferita estensione della impossibilità di affidamento preadottivo anche ai casi di impossibilità “di diritto”.
[12] L’indagine del tribunale per i minorenni, prima della pronuncia, da emettere sempre in camera di consiglio e impugnabile secondo quanto già detto, mira sopra tutto ad appurare l’idoneità affettiva dell’adottante e la sua capacità di educare e istruire il minore, i motivi dell’adozione, la possibilità di idonea convivenza e l’attitudine familiare per il migliore allevamento dell’adottando. La funzione dell’adozione in casi particolari è, infatti, pur sempre quella, propria anche dell’adozione piena, di assicurare al minore l’assistenza morale e materiale di una comunità familiare che gli è necessaria per un’adeguata ed armonica crescita.
[13] Si veda l’art. 55, della l. n. 184 del 1983, il quale rinvia agli artt. 293, 294, 295, 299, 300 e 304 c.c. .
[14] Del fatto che ora l’art. 74 c.c. come riformulato dalla l. n. 219 del 2012, precisa che il vincolo di parentela s’instaura sulla base della discendenza anche “nel caso in cui il figlio è adottivo”, espressamente escludendo tale vincolo “solo” nei casi di adozione dei maggiori di età, da parte di alcuni autori – e in giurisprudenza il Tribunale di Bologna, il 20 di giugno, in Fam. E dir., 2021, 318 ss. – si è tratto argomento per ritenere che la parentela d’ora in avanti si instauri tra l’adottato ed i parenti dell’adottante non solo nel caso dell’adozione dei minori c.d. piena, ma anche nell’ipotesi di adozione di minore “in casi particolari”. Pur prendendo atto che si tratta di punto controverso, è tuttavia preferibile ritenere che la riforma non abbia apportato novità al riguardo. Essa, infatti, non ha eliminato il rinvio che, per questa particolare forma di adozione di minori, l’art. 55, l. n. 184 del 1983 compie alla disciplina dell’adozione di persone maggiori di età, e in particolare al citato art. 300 c.c., né risulta, dall’iter di adozione della riforma, che il legislatore volesse intervenire su questo punto. Sul piano della ragionevolezza della disciplina complessiva, sembrano, inoltre, rimanere valide le ragioni, che hanno indotto a tenere sinora separati gli effetti dell’adozione “in casi particolari” da quelli dell’adozione c.d. piena: ragioni legate all’eccezionalità delle situazioni che, in questi casi, consentono di dar luogo all’adozione, pur in assenza di alcuni dei presupposti dell’adozione di minori e, inoltre, alla circostanza che l’adozione in casi particolari non recide il rapporto di filiazione con i genitori di sangue.
[15] Si veda TRABUCCHI A., “Istituzioni di diritto civile”, Milano, CEDAM, 2022, 572 ss.; TRABUCCHI A., voce “Adozione”, in Enciclopedia giuridica; ROSSI CARLEO L., “L’adozione”, in Trattato Rescigno, IV, Torino, 1997; DOGLIOTTI M., “Affidamento e adozione”, in Trattato Cicu-Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1990; Id. “Adozione di persone maggiori d’età”, in Commentario Scialoja e Branca, 1995; GIUSTI A., in Trattato diretto da BONILINI G. e CATTANEO G., III, Torino, 1997; LENTI L. e FADIGA L., in “Trattato di diritto di famiglia”, diretto da ZATTI P., II, Milano, 2002.
[16] Così la Corte d’Appello di Milano nella sentenza impugnata.
[17] Corte Cost. n. 356 del 1996; n. 21 del 2013.
[18] Afferma espressamente la Corte Costituzionale nella sentenza n. 119 del 2015 che: “così com’è indubitabile che la Corte di cassazione sia organicamente inserita nell’ordine giudiziario, altrettanto indubitabile è l’inerenza alla funzione giurisdizionale dell’enunciazione del principio di diritto”.
[19] Corte Cost., n. 388 del 1999.
[20] Corte Cost., n. 79 del 2022; Cass., n. 12692 del 2016; S.U., n. 12193 del 2019.
[21] Sent. n. 79 del 2022.
[22] Caso Zhou c. Italia, sentenza del 21/01/2014; caso R.V. ed altri c. Italia, sentenza del 18/07/2019, ricorso n. 37748 del 2013; caso A.I.c. Italia sentenza del 01/04/2021, ricorso n. 70896 del 2017; caso Omorefe c. Spagna, sentenza del 23/06/2020, ricorso n. 69339 del 2016; caso Pedersen ed altri contro Norvegia, sentenza del 07/09/2020, ricorso n. 39710 del 2015; caso Fiagbe c. Italia, sentenza del 28/04/2022, ricorso n. 18549 del 2020, ed infine sentenza della Grande Camera del 10/09/2019 caso Strand Lobben contro Novergia, ricorso n. 37283 del 2013.
[23] Questi ultimi largamente richiamati dalla Corte E.D.U., in particolare nella decisione della Grande Camera sopra richiamata, caso Strand Lobben contro Norvegia.