L’adempimento del terzo alla luce delle Sezioni Unite

in Giuricivile, 2020, 3 (ISSN 2532-201X)

La tematica dell’adempimento del terzo si inserisce nell’ambito relativo alle vicende dell’obbligazione, in particolare in ordine all’estinzione della stessa.

L’obbligazione, infatti, è strutturata come obbligo del debitore e diritto del creditore e, di regola, si estingue quando viene soddisfatto l’interesse del creditore [1].

L’adempimento del terzo si verifica, ai sensi dell’art. 1180 c.c. [2], quando l’obbligazione viene eseguita da un soggetto diverso dal debitore.

Sulla scorta del dettato dell’articolo in questione, assume rilevanza il cosiddetto profilo soggettivo dell’adempimento. Tale forma d’adempimento è da definire come imperfetta proprio dal punto di vista soggettivo, in quanto l’esecuzione della prestazione viene posta in essere da un soggetto completamente estraneo al rapporto obbligatorio.

In tal senso, l’adempimento ai sensi dell’art. 1180 c.c. si qualifica come adempimento autonomo: il terzo non agisce quale rappresentante, ausiliario o sostituito del debitore e neppure quale legittimato legale.

Alla luce di ciò, sarebbe possibile ricavare il principio generale dell’irrilevanza del soggetto debitore ai fini dell’adempimento dell’obbligazione: qualunque soggetto estraneo al rapporto obbligatorio può estinguere l’obbligazione, con conseguente liberazione del debitore [3]. Il legislatore precisa che l’obbligazione potrà essere eseguita dal terzo, anche contro la volontà del creditore, qualora quest’ultimo non abbia interesse a che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore. Secondo la dottrina, il legislatore accorda comunque una posizione preferenziale al creditore: nel conflitto tra interesse di quest’ultimo a conseguire la realizzazione del proprio diritto ed interesse del debitore a conseguire personalmente la prestazione, il primo risulta maggiormente meritevole di protezione.

La problematica della natura giuridica

Al fine di indagare la questione circa l’effettiva natura giuridica [4], è necessario compiere una differenza strutturale tra adempimento del debitore e del terzo. Il primo si configura quale atto dovuto, il secondo quale atto libero, avente natura negoziale.

Assunto ciò, si deve chiarire la natura bilaterale od unilaterale dell’adempimento del terzo.

A fondamento del primo profilo, si evidenzia come la dichiarazione del creditore di accettare l’adempimento di un soggetto diverso dal debitore non debba essere considerata quale mera adesione all’attività dell’interveniente, ma debba essere collocata sullo stesso piano della dichiarazione del terzo di estinguere l’altrui obbligazione.

Diversamente, chi ritiene che l’adempimento del terzo sia un negozio unilaterale sostiene che il creditore non debba necessariamente estrinsecare la propria adesione all’esecuzione del terzo e soprattutto nel caso di volontà contraria del debitore non impedisce che comunque il solvens, intervenendo come terzo, estingua l’obbligazione altrui.

Uno dei caratteri principali dell’adempimento del terzo è da ravvisare nella spontaneità, che porta a qualificare tale forma di adempimento come un negozio astratto. Di conseguenza, l’adempimento posto in essere dal terzo prescinderà da ogni eventuale rapporto preesistente tra debitore e terzo e troverà la sua qualificazione soltanto in base all’elemento esterno.

Ai sensi dell’art. 1180 c.c., il terzo può essere qualificato come soggetto che, consapevole di eseguire la prestazione per estinguere un debito non proprio, adempie l’obbligazione spontaneamente ed unilateralmente [5].

A questo punto, risulta necessario interrogarsi in ordine alla natura della condotta tenuta del terzo; in particolare, verificando se quest’ultima debba essere considerata gratuita od onerosa.

Rilevante, in tal senso, è il contrasto giurisprudenziale che ha portato alla pronuncia delle Sezioni Unite [6].

La fattispecie in questione

La questione sottoposta alla Corte di Cassazione ha ad oggetto la problematica inerente la natura onerosa o gratuita dell’atto con cui un soggetto adempie il debito altrui.

Nel caso di specie, una società aveva provveduto al pagamento del debito di uno dei suoi soci: questione dalla quale risultava dipendente l’applicabilità dell’art. 64 legge fallimentare [7], in ipotesi di fallimento del solvens.

Sul punto, si confrontavano due orientamenti: da un lato, coloro che ritenevano che il pagamento del debito altrui costituisse un atto a titolo gratuito, sulla scorta del fatto che il beneficio era destinato all’originario debitore rimasto estraneo all’atto. Di conseguenza, tale liberalità, in caso si fallimento del solvens, avrebbe dovuto essere considerata inefficace ai sensi dell’art. 64 l.fall. Dall’altro, coloro che reputavano l’adempimento ex art 1180 c.c. da parte del soggetto, poi sottoposto a procedura fallimentare, atto a titolo gratuito nei soli rapporti con il debitore, ove fosse mancante una causa onerosa che ne giustificasse la liberazione; mentre nei rapporti tra fallito e creditore, era da considerare a carattere oneroso.

La Corte cita anche un orientamento isolato, ai sensi del quale l’adempimento del terzo era da considerare mera esecuzione dell’obbligazione preesistente e, quindi, dotato di causa autonoma che poteva risultare onerosa o gratuita a seconda che l’atto estintivo del debito dipendesse o meno dalla controprestazione di uno dei due soggetti dell’obbligazione estinta. Di conseguenza, agli effetti dell’art 64 l. fall, il pagamento del debito altrui, effettuato da un soggetto poi dichiarato fallito era da considerarsi atto gratuito, nell’ipotesi in cui sia da qualificare come atto di disposizione del patrimonio senza contropartita.

L’intervento della Corte di Cassazione

La Corte ritiene le prime due tesi apodittiche, in quanto fanno riferimento ad aspetti privi di una correlazione tra di loro: la prima si limita all’esame della prestazione e/o controprestazione nel rapporto bilaterale tra terzo e creditore, la seconda nel rapporto tra debitore e creditore,

L’art. 64 fall. si rivolge, testualmente “agli atti a titolo gratuito” provenienti dal soggetto che disponga del proprio patrimonio e che successivamente venga dichiarato fallito. La valutazione in ordine alla gratuità viene compiuta sulla base della natura obiettiva dell’atto; uniche eccezioni, espressamente previste nella seconda parte della norma, sono “i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale  scopo di pubblica utilità”. La previsione non avrebbe alcun senso se la gratuità fosse valutata nella sola prospettiva del creditore: è proprio il pregiudizio provocato dall’atto di disposizione del proprio patrimonio a giustificare l’inefficacia dello stesso, in funzione della tutela degli interessi dei creditori del disponente.

Ratio ispiratrice della norma è da ravvisare nella collocazione sistematica di quest’ultima all’interno della terza sezione della legge fallimentare, dedicata alla tutela del ceto creditorio [8].

La Corte ritiene necessario analizzare i predetti orientamenti alla luce del concetto di causa del contratto.

Il primo, infatti, riconducendo la natura onerosa o gratuita dell’atto soltanto nell’ottica del rapporto bilaterale tra il terzo ed il creditore, sembrerebbe rifarsi ad una nozione di causa del contratto, quale “funzione economico-sociale”, necessariamente collegata al “tipo” individuato al legislatore (causa in astratto) [9]. Assunto ciò, dunque, l’atto sarebbe da considerarsi gratuito tutte le volte che non sia stato costituito alcun corrispettivo o che comunque non risulti un rapporto causale giustificabile secondo uno schema tipico.

Tale orientamento non tiene, però, conto dell’evoluzione del concetto di causa che ha portato alla cosiddetta causa in concreto [10].

Nello specifico, la fattispecie dell’adempimento del terzo ben si presta all’analisi in concreto della causa del regolamento contrattuale. Tale istituto, infatti, presuppone che il terzo, estraneo ad un rapporto obbligatorio intercorrente tra altre parti, estingua spontaneamente l’obbligazione. Come già dedotto, questa forma di adempimento è da qualificare come figura composita, avente natura negoziale ed esecutiva [11].

Di conseguenza, potendo essere qualificato come un vero e proprio negozio giuridico, avendo l’effetto di soddisfare l’interesse del creditore ex art 1218 c.c., il carattere oneroso o gratuito dell’attribuzione patrimoniale non può sfuggire alla necessaria indagine circa la causa in concreto.

Sulla scorta di ciò, la Corte ritiene, altresì, non accoglibile il secondo orientamento che si limita a valutare il rapporto tra debitore e creditore, senza percepire l’interferenza o l’affacciarsi un soggetto terzo nel suddetto rapporto, che diviene, di conseguenza, trilaterale e comporta la sovrapposizione di un ulteriore rapporto a quello originario.

L’utilizzo della nozione di causa in concreto impone di valutare, nel caso specifico, se l’adempimento del debito altrui possa essere collocato in una prospettiva di mero atto di liberalità oppure se tragga un’utilità, anche non direttamente dal creditore, ma dal debitore o da un altro soggetto terzo, a fronte del sacrificio corrispondente all’estinzione dell’obbligazione altrui.

L’atto, dunque, dovrà qualificarsi a titolo gratuito, laddove il terzo non tragga alcun concreto vantaggio patrimoniale e abbia solo inteso accrescere un vantaggio al debitore; mentre, sarà oneroso nell’ipotesi in cui il terzo riceva un’utilità/vantaggio per la sua prestazione.

Il principio di diritto

Sulla scorta di quanto dedotto, le Sezioni Unite ribadiscono i seguenti principi:

  1. nell’adempimento del terzo sono egualmente configurabili gratuità o, per converso, onerosità;
  2. la ragione concreta, per la quale il terzo interviene nel rapporto creditore-debitore, deve quindi essere necessariamente verificata caso per caso dal giudice di merito;
  3. l’atto deve qualificarsi a titolo gratuito, quando dall’operazione che esso conclude il terzo non trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso così recare un vantaggio al debitore; a titolo oneroso quanto il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche

indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, cui l’ordinamento pone rimedio con l’inefficacia ex lege.

Di conseguenza, i concetti di gratuità ed economicità vengono assunti nel loro significato economico, come attribuzione di carattere patrimoniale, per la quale è necessario verificare l’interesse economico che si intende realizzare.

In ordine al caso di specie, la Corte conclude che, pur in presenza del pagamento del debito di società collegate (pagamento del debito del socio da parte della società partecipata e viceversa), può essere esclusa la gratuità del negozio, quando la società disponente abbia realizzato un vantaggio di tipo economico. Anche laddove risulti mancante un corrispettivo, infatti, potrebbe comunque esservi l’acquisizione di un’utilità economica, capace di produrre un vantaggio patrimoniale concreto.

Il rapporto tra debitore e terzo

L’art. 1180 c.c. non descrive il rapporto che si viene ad instaurare tra debitore e terzo, in conseguenza dell’adempimento dell’obbligazione originaria da parte di quest’ultimo.

Sul punto, è necessario richiamare il principio enunciato dalle Sezioni Unite del 2009 [12].

Nello specifico, la Corte ritiene che l’adempimento spontaneo di un’obbligazione, da parte del terzo ex art. 1180 c.c., non attribuisca automaticamente a quest’ultimo un titolo per poter agire direttamente nei confronti del debitore, titolo che sussiste soltanto in presenza di una delle ipotesi di surrogazione e regresso previste dalla legge.

Di conseguenza, potrebbero assumere rilevanza le seguenti fattispecie:

  • a) indebito soggettivo, ex art 2036 comma 1 c.c. [13];
  • b) surrogazione legale ex artt. 2036 comma 3 e 1203 comma 5 c.c. [14];
  • c) gestione di affari altrui, ex artt 2028 e ss c.c. [15];
  • d) arricchimento senza causa ex art 2041 c.c.

La Corte ritiene che i primi tre istituti non possano trovare applicazione nel caso di adempimento del terzo, mentre l’ultimo (arricchimento senza causa) troverebbe applicazione quale rimedio sussidiario, la cui esperibilità sarebbe garantita dal fatto che il terzo adempiente non potrebbe agire diversamente per ottenere quanto prestato da altri.

Tale impostazione sembrerebbe, però, in contrasto rispetto all’orientamento della stessa Corte di Cassazione ai sensi del quale l’azione di arricchimento non potrebbe essere proposta laddove il soggetto, che si è arricchito (debitore originario), sia diverso dal soggetto con il quale, chi compie la prestazione (terzo) ha un rapporto diretto. (creditore originario). In quanto, il vantaggio originario, conseguito dall’obbligato passivo, sarebbe un effetto indiretto o riflesso e farebbe venir meno il necessario nesso causale tra arricchimento e danno.

Assunto ciò, il principio di diritto può essere individuato nei seguenti punti:

  • l’art. 1180 c.c. ha la funzione di attribuire al pagamento effettuato dal terzo, che non abbia alcun interesse ad una prestazione personale, effetto solutorio dell’obbligazione, anche contro la volontà del creditore;
  • tale pagamento non attribuisce alcun titolo al terzo per agire nei confronti del debitore al fine di ripetere la somma versata in adempimento, in quanto risulterebbe necessario allegare e dimostrare il rapporto sottostante tra terzo e debitore.

In conclusione, dunque, si può affermare che laddove il terzo adempia unilateralmente e spontaneamente l’obbligazione gravante su altro soggetto (pacificamente riconosciuto come debitore della prestazione), senza preoccuparsi di munirsi di un titolo, diverso dal mero adempimento dell’obbligazione, potrebbe esserci il rischio di non poter recuperare l’esborso effettuato, stante l’estinzione dell’obbligazione.

Tanto sarà più vero nell’ipotesi in cui il debitore ed il terzo siano legati da rapporti di parentela, che potrebbero determinare il configurarsi di un’obbligazione naturale, come tale non ripetibile ai sensi dell’art. 2034 c.c.

Di conseguenza, si potrebbero annoverare quali strumenti idonei al terzo per ottenere il diritto di agire nei confronti del debitore: – la surrogazione per volontà del creditore, ai sensi dell’art. 1201 c.c.; – la sottoscrizione di una promessa di pagamento da parte del debitore, oppure una ricognizione del debito ex art. 1988 c.c.


[1] Con il termine adempimento, infatti, si intende il modo in cui si attua il contenuto dell’obbligazione. Caratteri dell’adempimento possono essere individuati nell’esattezza, nell’integralità.

[2] Articolo 1180 c.c.: “1. L’obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione.

2. Tuttavia il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione.”

[3] Tale principio può essere ricavato dall’inciso “anche contro la volontà del creditore”.

[4] Premessa può essere compiuta in relazione alla natura giuridica dell’adempimento. Le posizioni più moderne della dottrina e della giurisprudenza hanno superato la concezione negoziale dell’adempimento approdando alla concezione reale dello stesso. È del tutto isolato, ormai, l’orientamento che attribuisce la natura di atto reale all’adempimento, ossia di atto esecutivo di una causa preesistente.

[5] Cass. sez. II, 9 novembre 2011, n. 23354: “L’adempimento del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., si realizza allorquando un soggetto diverso dal debitore effettua concretamente, in modo libero, spontaneo ed unilateralmente, il pagamento di quanto dovuto al creditore ovvero quella diversa prestazione dedotta in obbligazione. Ne consegue che l’adempimento del terzo deve avere carattere specifico e conforme all’obbligazione del debitore e non può, dunque, consistere in una generica disponibilità ad adempiere, tanto più se riguardi una non meglio specificata prestazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la cessione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, aveva escluso che si potesse configurare un adempimento del terzo nella dichiarazione stragiudiziale di disponibilità al pagamento delle prestazioni del debitore cedente nei confronti del creditore ceduto effettuata dai cessionari del contratto anzidetto)”.

[6] Cassazione Sezioni Unite n. 6538 del 2010: “In tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito, ai sensi della L. Fall., art. 64, la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dallo scopo pratico del negozio, e cioè dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di la del modello astratto utilizzato; per cui la relativa classificazione non può più fondarsi sulla esistenza o meno di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto,ma dipende necessariamente dall’apprezzamento dell’interesse sotteso all’intera operazione da parte del solvens, quale emerge dall’entità dell’attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento collegato o non collegato ad un sia pur indiretto guadagno o ad un risparmio di spesa. Pertanto, nell’ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un’obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l’atto solutorio può dirsi gratuito, agli effetti della L. Fall., art. 64, solo quando dall’operazione che esso conclude – sia essa a struttura semplice perchè esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi- il terzo non ne trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso così recare un vantaggio al debitore; mentre la ragione deve considerarsi onerosa tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, cui l’ordinamento pone rimedio con l’inefficacia ex lege”.

[7] Art 64 l. fall.: “Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante.”

I beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato può proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell’articolo 36.

[8] La nozione di atto a titolo gratuito viene utilizzata proprio in riferimento alla situazione patrimoniale del soggetto fallito. In tal senso, è possibile richiamare l’art. 69, l’art. 123, l’art. 67 comma 2 l. fall. e l’art. 2901 comma 2 c.c. Tali disposizioni dimostrano come il legislatore abbia voluto introdurre un criterio specifico per individuare la natura onerosa o meno di un prestazione di garanzia, ricollegandolo alla contestualità del credito garantito.

[9] La Corte si riferisce ad un concetto tradizionale di causa “individuata in base alla nota definizione della Relazione al Codice civile – “la funzione economico-sociale che il diritto riconosce ai suoi fini e che solo giustifica la tutela dell’autonomia privata -; ed applicata negli anni immediatamente successivi dalla giurisprudenza secondo una concezione unificante le varie tipologie, necessariamente collegata al “tipo” individuato dal legislatore (c.d. causa tipica) e perciò fondata sull’astrattezza di tale requisito.”

[10] Concezione che ha criticato la valutazione prettamente astratta della causa, per preferire un’analisi concreta, ossia relativa alla verifica della giustificazione causale nell’ambito dell’intera operazione economica compiuta dalle parti.

[11] L’estinzione dell’obbligazione, infatti, si perfezione con la diretta esecuzione della prestazione in favore del creditore.

[12] Cassazione Sezioni Unite n. 9946 del 2009: “L’adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell’art. 1180 cod. civ., determina l’estinzione dell’obbligazione, anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce automaticamente al terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore, non essendo in tal caso configurabili né la surrogazione per volontà del creditore, prevista dall’art. 1201 cod. civ., né quella per volontà del debitore, prevista dall’art. 1202 cod. civ., né quella legale di cui all’art. 1203 n. 3 cod. civ., la quale presuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del debito; la consapevolezza da parte del terzo di adempiere un debito altrui esclude inoltre la surrogazione legale di cui agli artt. 1203 n. 5 e 2036, terzo comma, cod. civ., la quale, postulando che il pagamento sia riconducibile all’indebito soggettivo “ex latere solventis”, ma non sussistano le condizioni per la ripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio; pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore.”

[13] Tale fattispecie risulta preclusa sia per il dato testuale della norma (richiede che il solvens si creda erroneamente il reale debitore, sulla scorta di un errore scusabile), sia in relazione al fatto che, secondo la costante giurisprudenza, il legittimato passivo dell’azione di ripetizione dell’indebito soggettivo è solo l’accipiens, non potendo dunque il terzo esprimere tale rimedio contro il debitore.

[14] Anche in questo caso, stante la diversità esistente tra le figure disciplinate rispettivamente dall’art. 1180 c.c. e dall’art. 2036, co. 1 c.c., la surrogazione legale di cui all’art. 1203, n. 5 c.c. non potrà essere estesa per analogia alla fattispecie dell’adempimento del terzo.

[15] Configurando l’adempimento del terzo come un atto di gestione utile per il debitore, il quale si vedrebbe liberato di un’obbligazione su di sé gravante. Come osservato anche dalla dottrina, tuttavia, ben difficilmente nel caso di specie potrebbe essere invocato tale istituto, stante la dubbia sussistenza di tutti i requisiti previsti dalle relative norme.

Bibliografia

MASSIMO BIANCA, Diritto civile, 4.L’obbligazione, Giuffrè editore, Milano 1993

AGOSTINO BIGHELLI, Adempimento unilaterale e spontaneo da parte del terzo quale tutela per il solvens?, www.personaedanno.it

FRANCESCO GAZZONI, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2015

LODOVICO GENGHINI, Manuali notarili, vol. 6 Le obbligazioni, Cedam

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