La prova testimoniale civile: testimonianza negativa

In materia di prove, la Corte di cassazione può esaminare il merito delle scelte operate dal giudice di merito laddove queste ultime abbiano violato norme di legge ovvero siano motivate sulla base di un ragionamento logico viziato; in particolare è errata la dichiarazione di inammissibilità di un capo di prova testimoniale per il solo fatto che esso è formulato in negativo, atteso che nessuna norma di diritto positivo e nessun principio desumibile in via interpretativa impedisce di provare per testimoni che un fatto non sia accaduto.

Nota a sentenza di Cass. civ., Sez. VI – 3, Ord., (data ud. 14/09/2021) 18/11/2021, n. 35146. La giurisprudenza si pone in linea con la dottrina maggioritaria, ravvisando un’ipotesi di nullità relativa.

Inquadramento tematico

Il processo è diretto all’accertamento del diritto attraverso la prova. Per formulare le prove in modo corretto occorre conoscere i fatti e quindi le prove. Occorre quindi inquadrare la fattispecie di riferimento e i fatti che vengono riportati. La prova testimoniale deve essere ammissibile, rilevante e non superflua. La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare oltre che dei fatti, formulati in articoli separati sui quali ciascuna parte deve essere interrogata. La parte contro la quale la prova è proposta, deve indicare a sua volta nella prima risposta le persone che intende fare interrogare e deve dedurre, per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogate. Importante è indicare correttamente le persone che devono essere sottoposte ad interrogatorio; questo consente, al giudice, di fare una corretta valutazione dell’ammissibilità della testimonianza richiesta oltre che di esercitare il potere di riduzione delle liste (di testi) sovrabbondanti. La necessità di una indicazione specifica dei fatti è posta a giustificare l’esigenza del giudice di valutare l’ammissibilità e la rilevanza della prova testimoniale richiesta, ossia verificare se i fatti capitolati risultino o meno decisivi ai fini della decisione. Le circostanze che vengono dedotte come prova testimoniale devono attenere a fatti obiettivi per cui al testimone deve essere precluso ogni giudizio personale. I fatti dedotti non possono essere generici, in quanto il giudice non riuscirebbe a valutarne la rilevanza ai fini dell’accertamento della verità dei fatti. La prova sarà valutata dal giudice come inammissibile, quando il giudice istruttore ritiene i capitoli di prova generici o non rilevanti.

Dottrina e giurisprudenza

La giurisprudenza maggioritaria, in riferimento ai capitoli di prova, ritiene sufficiente che i fatti siano dedotti nei loro elementi essenziali, devono contenere: il tempo, il luogo e le modalità di svolgimento; mentre tutti gli eventuali dettagli potranno essere ricavati dal giudice durante l’assunzione della testimonianza, integrando le domande formulate dalla parte con altre formulate direttamente in quella sede. La giurisprudenza prevalente ritiene che la prova dedotta senza l’osservanza di quelli che sono i criteri che qualificano i capitoli di prova sia nulla, ma che tele nullità possa essere fatta valere solo dalla controparte ai sensi del co. 2 dell’art. 157 c.p.c., ovvero, solo la parte che è interessata può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso.

Il caso

La vicenda in esame, decisa successivamente dalla Cassazione, tra origine dall’atto di citazione con cui il guidatore di un motociclo conveniva in giudizio davanti al Tribunale, il Comune della propria città di residenza, asserendo di aver riportato delle lesioni personali in seguito ad una caduta causata da “numerose buche non visibili” presenti sul manto stradale e chiedendo il risarcimento del conseguente danno patrimoniale e non patrimoniale.
Il Comune di Milano si costituiva escludendo il nesso di causalità tra le condizioni della strada e il danno subito dal conducente del motociclo, chiedendo quindi, il rigetto della domanda risarcitoria. Il Tribunale aveva escluso l’ammissibilità di tutti i capi di prova che erano stati formulati dall’attore, alcuni dei quali negativi e dichiarava infondata la domanda, ritenendo che non era stato dimostrato il nesso causale.
La sentenza di prime cure era confermata successivamente dalla Corte di appello, che ritenne non dimostrata “alla luce delle prove documentali”, l’esistenza di un nesso di causa fra il fatto/evento dannoso e le condizioni della strada in quanto, sia il verbale redatto dalla polizia che gli atti allegati non consentivano di individuare in maniera precisa né il luogo del sinistro, né la pericolosità delle condizioni stradali. Successivamente la parte ricorrente fece ricorso in Cassazione la quale ha:

– Rigettato l’eccezione di procedibilità sollevata dal Comune di Milano, motivata con il rilievo che la parte ricorrente non avrebbe depositato, in violazione dell’art. 369 c.p.c.[1], la copia notificata del provvedimento impugnato;

– Esaminato il motivo di ricorso per cui il ricorrente aveva prospettato la violazione dell’art. 115 c.p.c. [2] in quanto sosteneva che la corte d’appello avrebbe erroneamente reputato le prove testimoniali “generiche e valutative”, finalizzate a dimostrare il nesso di causa tra le condizioni della strada e il danno cagionato. In tal senso, un error in procedendo commesso dalla Corte d’appello, incidendo sul contenuto del materiale probatorio utilizzabile;

– Il collegio giudicante, in sede di legittimità, ha quindi constato, preliminarmente, che il giudice di merito abbia dapprima rigettato prove ammissibili e rilevanti per poi ritenere la domanda non provata, dando origine ad un vizio di nullità della sentenza per illogicità manifesta [3];

– Altra osservazione fatta preliminarmente dal collegio riguardava l’insindacabilità del giudizio con cui il giudice di merito accoglieva o rigettava un’istanza istruttoria in sede di legittimità, in quanto espressione di una scelta discrezionale che, pur non essendo libera nel fine, è riservata dal legislatore al giudice di merito.

La Corte di cassazione ha individuato due gruppi di casi in cui il giudizio sulla prova può essere sindacato in sede di legittimità. Il primo ha ad oggetto le ipotesi con cui il ricorrente assuma che il giudice di merito, decidendo sulla prova, violi una regola processuale [4]. Il secondo gruppo ha ad oggetto il fatto che il ricorrente deve assumere, se lo ritiene, che la valutazione del giudice sia viziata sul piano della logica. Tale vizio sussiste quando la decisione sulla prova, se messa in relazione con altre situazioni contenute nella sentenza, risulti insanabilmente contraddittoria o totalmente arbitraria [5]. Il ricorrente nel caso in esame chiese di provare per testimoni le seguenti circostanze: “vero che allo scattare del verde l’esponente riavviava la marcia, ma dopo pochi metri la ruota anteriore del motorino veniva intercettata da una buca non visibile sul manto stradale che causava lo sbandamento del mezzo e la successiva caduta a terra del motorino in prossimità della suddetta buca e del conducente stesso?”. Questa circostanza fu valutata dal Tribunale inammissibile e la Corte d’appello osservò che questa prova verteva “su circostanze valutative negativamente formulate e comunque non rilevanti oltre che generiche”.

Conclusioni

Alla luce dei fatti esposti e dello studio condotto, la Corte di cassazione ha affermato che nessuna norma di legge e nessun principio desumibile in via interpretativa, impedisce di provare per testimoni che un fatto non sia accaduto o non esista; ritenendo inaccettabile l’opinione secondo cui il capitolo di prova testimoniale debba necessariamente essere formulato in modo positivo. Infatti, chiedere a taluno negare che un fatto sia vero equivale, sul piano della logica, a chiedergli di affermare che quel fatto non sia vero. Quindi, l’opinione che non ammette la possibilità di formulare capitoli di prova testimoniale in modo negativo perviene al paradosso di ammettere o negare la prova non già in base al suo contenuto oggettivo, ma in base al tipo di risposta che si sollecita al testimone. Se si seguisse la ratio formulata dalla Corte d’appello, si finirebbe per far dipendere l’ammissibilità della prova testimoniale non dal fatto che si intende provare, ma dal tipo di risposta attesa dal testimone. A questi, infatti, sarebbe inibito chiedere di affermare se un determinato fatto non esiste, mentre sarebbe consentito chiedere di negare che il medesimo fatto esista. Sulla visibilità o meno della buca, la Corte di cassazione ha affermato che, riferire la visibilità o meno di una buca costituisce né un’interpretazione soggettiva, né un apprezzamento tecnico o giuridico, ma esprime un convincimento derivato al testimone per sua stessa percezione. Ovviamente, resta ferma la possibilità, per il giudice di merito, poter valutare, caso per caso, la rilevabilità o meno di una prova. Così deciso dalla Corte di cassazione, ha fatto rinvio alla Corte d’appello di Milano invitandola a tornare ad esaminare il gravame proposto dal ricorrente applicando i principi di diritto:

– La circostanza che un capitolo di prova sia formulato sotto forma di interrogazione negativa, non costituisce, di per sé, causa di inammissibilità della richiesta istruttoria;

– Nel giudizio avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno causato da un evento della circolazione stradale, in mancanza di altre prove decisive, non si può di norma negare la rilevanza alla prova testimoniale intesa a ricostruire la dinamica dell’evento;

– Chiedere ad un testimone se una cosa reale fosse visibile o non visibile sarebbe una domanda che non ha ad oggetto una valutazione, ed è dunque ammissibile fermo restando il potere del Giudice di valutare, ex post, se la risposta fornita si basi su percezioni sensoriali oggettive o su mere supposizioni

– Costituisce vizio di nullità della sentenza la decisione con cui la domanda venga rigettata, dopo che erano state rigettate le istanze istruttorie formulate dall’attore ed intese a dimostrare il fatto costitutivo della pretesa. Infine, la Corte di cassazione precisa che la vittima di un danno provocato da una cosa ha l’onere di dimostrare la pericolosità di quest’ultima mentre, una volta fornita la prova, spetta al custode dimostrare che il danno fu provato da un caso fortuito o forza maggiore. Nel caso di specie il ricorrente aveva ampiamente dimostrato la pericolosità del tratto stradale ove avvenne il sinistro, mentre il Comune di Milano non aveva affatto dimostrato il caso fortuito; pertanto, la decisione della corte d’appello, rigettando la domanda, aveva violato l’art.2697 c.c. [6]

Note

[1] Rubricato “deposito del ricorso”. Il ricorso deve essere depositato nel termine di venti giorni, a pena di improcedibilità, dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.

[2] Rubricato “Disponibilità delle prove” ovvero il giudice deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. Questa norma tratta del c.d. principio di non contestazione ovvero, ciò che la parte non contesta si considera accertato.

[3] Si parla di illogicità manifesta della sentenza, quando questa ha fatto un utilizzo sbagliato delle massime di esperienza o applicazione delle leggi.

[4] Il ricorrente dovrà quindi allegare il c.d. vizio di attività, consistente nella mancata ammissione di mezzi di prova diretti a dimostrare punti decisivi della controversia, e cioè fatti e situazioni che, se fossero stati accertati, avrebbero dato origine ad un effetto diverso rispetto alla situazione impugnata.

[5] Questo vizio può sussistere ad esempio quando il giudice non prende neppure in considerazione le richieste istruttorie della parte, per poi rigettare la domanda sul presupposto che non sia stata provata oppure, quando il giudice rigetti le richieste istruttorie senza darne motivazione.

[6] Art. 2697 c.c. rubricato “Onere della prova” novella che “Chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

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