A tutela del creditore dall’inadempimento del vincolo obbligatorio, l’ordinamento prevede una serie di rimedi. Oltre che l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1218 c.c. e una serie di strumenti, utilizzabili anche in via cautelativa, per i contratti a prestazioni corrispettive l’art. 1453 c.c. prevede l’azione di esatto adempimento (la cui portata deve ritenersi generale) e l’azione di risoluzione. Sempre limitatamente ai contratti a prestazioni corrispettive, v’è anche l’eccezione di inadempimento. Sulla scia della tendenza ad estendere il regime della responsabilità contrattuale nella sua complessità, ci si chiede se i rimedi previsti per l’inadempimento dei contratti sinallagmatici possano essere impiegati ogni qual volta sia lesa la corrispettività, anche al di fuori dell’esistenza in concreto di un contratto a prestazioni corrispettive. Ad esempio, in caso di prelazione legale, nell’ipotesi in cui il prelazionario, attraverso l’esercizio del diritto di riscatto, consegua coattivamente il diritto reale, pur non pagando alcun corrispettivo al terzo acquirente.
I rimedi all’inadempimento
L’esigenza dell’ordinamento giuridico di prevedere dei rimedi a tutela del diritto di credito in caso di inadempimento del vincolo obbligatorio discende dalla stessa natura giuridica del vincolo, che non sarebbe tale se non fosse coercibile e, dunque, sanzionabile. Proprio il carattere della coercibilità, infatti, distingue l’obbligazione giuridica dall’obbligazione naturale, che è fonte di un dovere extra giuridico, come tale non coercibile (l’ordinamento non accorda azione, ai sensi dell’art. 2034 co. 2 c.c.). Non solo. La tutela del credito (e del creditore) è funzionale alla promozione dell’iniziativa economica privata, alla sicurezza dei traffici giuridici, alla tutela del mercato e alla circolazione della ricchezza. Considerato, dunque, che è del tutto eccezionale il potere di autotutela delle parti, mentre è intrinseco nel concetto di autonomia negoziale il potere delle parti di regolare i propri affari e interessi, è il caso di indagare in merito ai rimedi che il creditore può esperire di fronte all’inesatta esecuzione della prestazione dedotta nel vincolo obbligatorio.
L’art. 1218 c.c. prevede quale rimedio il risarcimento del danno. È un rimedio generale, che opera qualunque sia la fonte dell’obbligazione. Il debitore, se non prova che la causa che ha reso impossibile l’adempimento non è a lui imputabile, è tenuto a risarcire il danno, cioè a riparare il patrimonio del creditore dalla perdita subita, mediante la dazione di un equivalente pecuniario, che si aggiunge – se la prestazione è ancora possibile – o si sostituisce – se l’inadempimento è totale e definitivo – all’obbligazione rimasta inadempiuta.
Il creditore insoddisfatto gode, inoltre, di una tutela reale che gli consente di conseguire direttamente l’oggetto della prestazione dovuta, attraverso l’azione di (esatto) adempimento. Con questa, il creditore chiede, ottenendo dal giudice un titolo esecutivo e l’attivazione della complessa procedura dell’esecuzione forzata, che sia adempiuta coattivamente la prestazione originaria: in forma specifica, se v’è identità tra il bene dovuto e il bene conseguito all’esito della procedura, o per espropriazione attraverso la conversione del bene dovuto in una somma di denaro. Presupposto affinché tale azione possa essere esperita è che l’adempimento dell’obbligazione originaria sia ancora possibile. Tale rimedio è previsto dall’art. 1453 c.c. e da alcune disposizioni specifiche (l’art. 1515 e 1516 c.c.) pur potendosi ritenere estensibile ad ipotesi generali di inadempimento.
I rimedi contrattuali: l’azione di esatto adempimento e l’azione di risoluzione
Ai rimedi previsti per l’inadempimento dell’obbligazione in generale si affiancano quelli dettati dalla disciplina del contratto; in particolare, i rimedi previsti in caso di inadempimento del contratto caratterizzato dalla sinallagmaticità. Si tratta di quei contratti in cui nel programma negoziale le parti hanno assunto obbligazioni corrispettive, impegnandosi reciprocamente, l’una verso l’altra. A tutela dell’inadempimento dei contratti sinallagmatici, ai sensi dell’art. 1453 c.c., la parte inadempiente può scegliere, alternativamente, se esperire l’azione di esatto adempimento (qualora abbia ancora interesse al mantenimento del contratto) ovvero l’azione di risoluzione. In tal caso, la parte non inadempiente non ha più interesse a che il contratto rimanga in vita e agisce per lo scioglimento del vincolo e l’eliminazione degli effetti (sia obbligatori che traslativi) in via retroattiva, eccezion fatta per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, in cui la risoluzione non travolge le prestazioni già esattamente eseguite.
La risoluzione del contratto può prodursi sia in via giudiziale ma anche di diritto, nel caso in cui operino la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale, meccanismi che consentono la produzione dell’effetto risolutivo ope legis. Questi ultimi rimedi possono essere validamente utilizzati anche in via cautelativa, in particolare nel caso di vincoli negoziali insuscettibili di essere sottoposti a misure coattive di adempimento (si pensi alle obbligazioni di fare infungibili o alle obbligazioni di non fare).
Sempre limitatamente a tutela dei contratti a prestazioni corrispettive, troviamo il rimedio dell’eccezione di inadempimento. A differenza della risoluzione, che scioglie il contratto e travolge gli effetti prodotti, l’eccezione di inadempimento “sospende” l’obbligo di prestazione dell’eccipiente, provocando la temporanea inesigibilità della prestazione e paralizzando l’altrui pretesa. Tale rimedio assolve ad una funzione di conservazione dell’equilibrio sinallagmatico e contestualmente, impedisce l‘attuazione disequilibrata del contratto. Presupposti affinché tale rimedio possa essere esperito, oltre l’esistenza di obbligazioni reciproche, sono l’inadempimento (che a differenza di quello risolutorio, può soggiacere a criteri di valutazione meno rigidi, in quanto l’eccezione è un rimedio più “leggero” che non scioglie il contratto ma si limita a sospenderlo) e la buona fede del contraente che rifiuta l’esecuzione della prestazione: deve esserci proporzionalità tra la prestazione ineseguita e la controprestazione rifiutata, nonché la sussistenza di una relazione di causalità tra il rifiuto di adempiere e la prestazione inadempiuta (al di là del criterio cronologico).
Le fonti delle obbligazioni e la lesione della corrispettività in assenza di un vincolo negoziale
L’obbligazione che resta inadempiuta può derivare sì dall’accordo, nel senso dell’autoregolamento delle parti, ma anche dalla legge. Si fa riferimento alla categoria delle obbligazioni ex lege; che rimanda a questioni a lungo dibattute in dottrina sulla natura di tale vincolo e, in particolare, sul tema delle fonti delle obbligazioni. Il sistema delle fonti delle obbligazioni ha visto nel corso dei secoli e dei mutamenti sociali e culturali vistose modifiche. Il sistema nasce tripartito, con Gaio, che distingueva le fonti delle obbligazioni in ex contractu, ex maleficio ed ex variis causarum figuris. Con Giustiniano il sistema diventa quadripartito, con l’introduzione delle categorie del quasi contratto (che comprende le obbligazioni scaturenti da atti leciti ma di natura non negoziale, quindi promessa al pubblico, testamento, ecc.) e del quasi delitto (ossia le obbligazioni scaturenti da atti illeciti dei quali un soggetto risponde pur senza che integrino un fatto proprio, es. responsabilità per fatto altrui). Nel code civile e nel codice italiano del 1865, la classificazione diventa a cinque fonti perché alle fonti già nominate si aggiunge la legge. Nel codice del 1942, all’art. 1173 c.c. è espunto il riferimento alla legge ma compare quello all’ordinamento giuridico, che comprende i principi generali dell’ordinamento. Dunque, il nostro sistema delle fonti delle obbligazioni è chiaramente atipico: da un lato, tra le fonti delle obbligazioni c’è il contratto, una fonte atipica, in base a quanto disposto ex art. 1322 co. 2 c.c.. Stesso può dirsi del fatto illecito, che non è di certo una fonte chiusa: qualunque fatto, cita testualmente l’art. 2043 c.c. E poi (ed è qui che si inserisce la teoria del contatto sociale qualificato, fonte che non solo è atipica ma anche fattuale, in cui l’obbligazione nasce dal fatto, cioè dal contatto) ogni altro atto o fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento giuridico, compresa la legge.
Dunque, dopo aver aperto l’orizzonte sui vari rimedi all’inadempimento (senza pretese di esaustività) ed aver brevemente delineato l’attuale assetto delle fonti delle obbligazioni, ci si domanda se i rimedi previsti – in particolare per i contratti sinallagmatici – siano applicabili al di fuori della specifica esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive, a prescindere dalla fonte dell’obbligazione e, dunque, in ogni situazione in cui sia lesa la corrispettività del vincolo obbligatorio.
La prelazione legale
Esempio di fonte di obbligazione ex lege è la prelazione legale. In generale, si tratta dell’obbligo assunto dal concedente, nei confronti del prelazionario, di preferirlo, a parità di condizioni rispetto ad altri, come parte di un futuro contratto. Si tratta di una limitazione dell’autonomia contrattuale solo per quanto riguarda l’aspetto soggettivo della scelta del contraente, non anche rispetto all’an´del contratto: questo è ciò che distingue il diritto di prelazione rispetto al contratto preliminare. Il concedente rimane libero di scegliere se stipulare il contratto e anche di determinare il contenuto dello stesso (a differenza, invece, di quanto accade nel patto di opzione, in cui l’opzionario ha il potere di determinare unilateralmente la conclusione del contratto). Diversamente rispetto alla prelazione volontaria, che ha carattere atipico e il cui fondamento può essere rinvenuto nell’art. 1322 c.c., la prelazione legale si fonda sulla volontà della legge che in specifiche fattispecie, a tutela di interessi ritenuti prevalenti rispetto alla libertà di scelta della controparte negoziale, ha inteso attribuire a determinati soggetti il diritto di essere favoriti rispetto ad altri nella conclusione di un determinato contratto. Le ipotesi (tipiche) di prelazione legale sono la prelazione ereditaria (il cd. retratto successorio, ex art. 732 cc.); quella a favore dei componenti dell’impresa familiare (art. 230 bis cc.); in tema di contratti agrari (ex art. 8 lg. 590 del 1965); in materia di locazione a favore del conduttore (ex art. 38 lg. 392/1978); a favore dello Stato e altri enti pubblici territoriali in caso di alienazione di beni culturali (art. 60 del codice dei beni culturali).
Il prelazionario in tali situazioni, diversamente rispetto al regime previsto per la prelazione volontaria – in cui la tutela che accorda l’ordinamento è esclusivamente risarcitoria, a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti del concedente e aquiliana nei confronti del terzo acquirente qualora sia stato a conoscenza della prelazione – gode di tutela reale. Con ciò si intende che il prelazionario, una volta esercitato con esiti positivi il cd. diritto di riscatto subentra ex tunc nella posizione del terzo con cui il concedente ha stipulato il contratto in violazione del diritto di prelazione.
Cosa accade, però, nel caso in cui il prelazionario ometta di versare al terzo acquirente il corrispettivo per l’acquisto? Mentre, in alcuni casi, la legge prevede espressamente un rimedio, condizionando l’efficace esercizio della prelazione al pagamento del prezzo (ad esempio nella prelazione agraria), nel silenzio del legislatore la tutela del terzo acquirente è limitata alla domanda di adempimento coattivo e di risarcimento del danno: ad esempio, in tema di locazioni, come vedremo più nel dettaglio.
L’art. 38 della legge n. 392 del 1978 in tema di locazione
Come anticipato, tra le ipotesi tipiche di prelazione legale ve n’è una in materia di locazione. Infatti, nel 1978 (stagione in Italia particolarmente carica di riforme e di cambiamenti incisivi, si pensi, tra gli altri, all’istituzione del Servizio Sanitario nazionale universale) la legge n. 392 è intervenuta a disciplinare i contratti di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo. Il legislatore si è ispirato ad una logica di tutela del contrante debole (il conduttore). La legge, infatti, ha introdotto: la durata minima della locazione e l’attribuzione al conduttore del diritto di recesso; il rinnovo tacito del contratto alla scadenza, salvo disdetta tempestiva; la possibilità per il conduttore di cedere il contratto di locazione a terzi pur senza il consenso del locatore; il diritto al pagamento di una indennità per la perdita dell’avviamento in caso di cessazione del rapporto (che non sia dipesa dalla risoluzione per inadempimento o dal recesso del conduttore stesso). Ma soprattutto, determinante ai nostri fini, è la disposizione che riconosce al conduttore il diritto di prelazione per l’acquisto dell’immobile nel caso in cui il locatore intenda alienarlo. L’art. 38 della suddetta legge prevede che il conduttore possa esercitare il suo diritto di prelazione, ed essere quindi preferito nella vendita, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto con cui il proprietario ha espresso la volontà di trasferire l’immobile. Nei trenta giorni successivi, l’inquilino sarà tenuto al pagamento del prezzo, contestualmente alla stipulazione del contratto.
La natura di tale obbligo di pagamento è stata oggetto di pronuncia da parte della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, la Corte di appello aveva accertato l’inesistenza della qualità di conduttore in capo ad un soggetto e dunque l’assenza di legittimazione in senso sostanziale all’esercizio dell’azione di riscatto (che compete, appunto, al conduttore), in quanto la locazione, per effetto del diniego di rinnovo del contratto, era cessata al momento della vendita assoggettata al riscatto. La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 19132 del 2005 ha corretto le motivazioni addotte dal giudice d’appello e ha riconosciuto che il soggetto, effettivamente, non era conduttore (titolare cioè di un diritto personale di godimento sul bene) al momento della vendita non perché – come sostenuto dalle parti – avesse cessato di esserlo per effetto del diniego di rinnovo, bensì perché avendo esercitato vittoriosamente l’azione di riscatto ex art. 39 della l. 392 del 1978 nei confronti dell’acquirente dell’immobile del suo originario locatore, era divenuto proprietario dell’immobile de quo.
La Corte ha aggiunto che in tema di riscatto di immobili urbani per uso non abitativo, ai sensi dell’art. 39 della legge 392 del 1978, il mancato pagamento del prezzo nel previsto termine di tre mesi dalla sentenza che ha accolto la domanda di riscatto non comporta – in mancanza di una espressa previsione – decadenza dal diritto legittimamente esercitato e giudizialmente riconosciuto, né condiziona gli effetti della sentenza , ma concreta solo un inadempimento dell’obbligazione pecuniaria del retraente, dal quale può derivare il diritto del retratto all’adempimento coattivo ed al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1224 c.c. ma non quello di chiedere, ai sensi dell’art. 1453 c.c., la risoluzione del rapporto, che è rimedio non esperibile per le obbligazioni nascenti dalla legge, qual è quella del pagamento del prezzo in conseguenza dell’esercizio del diritto potestativo spettante al retraente.
Conclusioni
La citata sentenza, non espressamente contrastata da altre pronunce della Corte, evidenzia, dunque, che attraverso l’esercizio del diritto di riscatto, il prelazionario consegue coattivamente il diritto reale e che il mancato pagamento nel termine legale non impedisce l’acquisto coattivo del diritto: il termine non ha natura decadenziale, perché non espressamente previsto dalla legge, e dunque il mancato pagamento nei termini produce esclusivamente gli effetti dell’inadempimento. Le conseguenze di tale affermazione sono evidenti: il terzo, che in buona fede ha acquistato e pagato un prezzo a titolo di corrispettivo al suo dante causa, si vedrà spogliato del proprio diritto attraverso l’esercizio del potere potestativo da parte del prelazionario. La situazione di soggezione del terzo nei confronti del prelazionario, però, non esclude che egli abbia comunque diritto al conseguimento del prezzo. Diversamente, il prelazionario acquisterebbe a titolo gratuito, in violazione del generale principio di causalità degli spostamenti patrimoniali.
Dunque, se è pur vero che non sussiste alcun vincolo obbligatorio tra il prelazionario e il terzo acquirente, men che meno alcun contratto a prestazioni corrispettive, in quanto si tratta dell’esercizio di un diritto potestativo, parte della dottrina (DEL PRATO) sostiene che debba ritenersi possibile provocare la risoluzione dell’acquisto coattivo a fronte dell’inadempimento del prelazionario. Infatti, secondo questo orientamento, per risolvere tale questione, bisogna cercare di prescindere da schemi formalistici e incentrare l’attenzione sulla ragione sostanziale della tutela: il dato di fatto è che c’è la lesione della corrispettività; non è più rilevante se il diritto sia un contratto, sia derivante dalla legge o si tratti dell’esercizio di un diritto potestativo. Dunque, astrattamente, si può estendere anche a questa ipotesi la risoluzione per inadempimento, ovviamente con l’eccezione di tutte le norme che per essere applicate presuppongono l’esistenza di un contratto, ad esempio il termine essenziale o la clausola risolutiva espressa; mentre ci può essere la diffida ad adempiere e bisognerà valutare in concreto l’importanza dell’inadempimento ai sensi del 1455 c.c.
A ciò si aggiunga che l’esercizio del diritto potestativo è limitato dal rispetto del generale del principio di buona fede oggettiva, configurandosi altrimenti una vera e propria ipotesi di abuso del diritto. È ormai consolidata, sia in dottrina che in giurisprudenza, la concezione del rapporto obbligatorio quale vincolo solidaristico che lega le parti ancor prima della conclusione del contratto e dell’individuazione della prestazione dovuta, in quanto si fonda su specifiche situazioni di contatto sociale, che impongono di comportarsi secondo buona fede (CASTRONOVO). Come più volte la giurisprudenza di legittimità ha enunciato, il dovere di buona fede si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà (costituzionalmente garantito) che impone a ciascuna delle parti di preservare gli interessi dell’altra, a prescindere da specifici obblighi contrattuali. Il titolare di un diritto può esercitarlo per la soddisfazione del proprio interesse ma senza ledere in maniera sproporzionata l’interesse altrui. Questo concetto è chiaramente espresso anche nella relazione al codice civile del 1942, in cui si legge che «trasferito il concetto di solidarietà nell’ambito del rapporto obbligatorio, si affievolisce ogni in questo ogni dato egoistico e si richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore».
Dunque, se è pur vero è che il terzo acquirente è ammesso (insieme al risarcimento del danno) a chiedere l’azione di esatto adempimento, che gli farebbe conseguire il corrispettivo in via coattiva, tuttavia ciò potrebbe non essere sufficiente a tutelarne gli interessi. Il terzo acquirente, infatti, non ha alcuna possibilità di “salvare” l’efficacia reale del proprio acquisto, effetto che otterrebbe con l’esperimento dell’azione di risoluzione o attraverso l’eccezione di inadempimento, che gli sono precluse. A maggior ragione, stante la generale tendenza ad estendere, nella sua complessità, il regime della responsabilità contrattuale, si deve tentare di rispondere in senso positivo alla domanda se i rimedi contrattuali della risoluzione e dell’eccezione di inadempimento possano essere impiegati anche in ipotesi che si pongono al di fuori dell’esistenza di un vincolo contrattuale sinallagmatico.
Bibliografia e sitografia
- C.M. BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 2019 e V La responsabilità, Milano, 2021
- C. CASTRONOVO, Il contratto nei principi di diritto europeo, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di S. MAZZAMUTO, Torino, 2002
- P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile. Napoli, 2017
- per le sentenze della Cassazione, il portale www.italgiure.giustizia.it