Rapporti patrimoniali e art. 161 cc: evoluzione del diritto internazionale privato e del diritto europeo

in Giuricivile.it, 2022, 10 (ISSN 2532-201X)

In ossequio alla libertà negoziale dei coniugi e alla scelta dell’applicazione di una legge straniera, questi ultimi possono costituire un c.d. regime patrimoniale atipico, in alcun modo – o solo in parte – regolato dall’ordinamento giuridico italiano, tramite l’opzione di norme provenienti da un ordinamento straniero oppure tramite una convenzione stipulata ad hoc, che disciplineranno il complesso di interessi delle parti; l’autore mira a interpretare, in via evolutiva ergo senza cristallizzazione delle situazioni giuridiche soggettive, le norme per la legge applicabile, nell’ambito del diritto privato internazionale, contemplate nella legge n. 218 del 1995 nonché nel quadro normativo risultante in seguito all’emanazione, ad opera del Consiglio dell’Unione Europea, dei Regolamenti nn.1103 e 1104 del 2016, attuativi della cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali.

Interpretazione sistematica e assiologica dell’articolo 161 del Codice civile

La c.d. comunione convenzionale tra coniugi, nonché tra uniti civilmente, intesa quale regime patrimoniale, superando il regime della comunione dei beni previsto ex lege – salvo una diversa scelta in tal senso delle parti – ha fonte negoziale poiché si instaura con la stipula di una convenzione patrimoniale, avente delle limitazioni oculate. La scelta, novellata dalla Riforma del diritto di famiglia, di derogare alle disposizioni riguardanti l’allocazione dei patrimoni previste dalla legge per i soggetti uniti in matrimonio, si trasla nella garanzia di poter redigere una comunione convenzionale; così facendo volge nell’ordinamento l’autonomia privata della famiglia in materia patrimoniale, dunque alla regolamentazione autonoma dei propri interessi patrimoniali.[1]

L’intento del legislatore ha nessi logico-sistematici, per l’appunto, con le norme di cui all’art. 210 del Codice civile, che statuisce i limiti di operatività del regime convenzionale, letto in combinato disposto con l’articolo 1322 c.c., che afferma il principio dell’autonomia privata in materia contrattuale e la relativa opportunità per i contraenti di determinare il contenuto delle statuizioni e di stipularne anche di atipiche ovverosia il cui merito non sia disciplinato dall’ordinamento, con la limitazione che siano rispettose di ordine pubblico, buon costume e norme imperative e che siano finalizzate a realizzare interessi meritevoli di tutela.[2] Tramite un’interpretazione sistematica di tali norme si realizza l’autonomia negoziale riguardante tutte le fasi del fenomeno de quo: la fase della scelta di un regime patrimoniale secondario effettuata all’atto di costituzione del vincolo fino al momento in cui le parti optano per la modifica dell’iniziale assetto di regole, creandone uno nuovo o correggendolo, grazie al c.d. principio di “libera mutabilità delle convenzioni e dei regimi”, introdotto anch’esso dalla Riforma. Nella normativa previgente le convenzioni matrimoniali che i coniugi potevano stipulare erano intese quali immutabili, al fine di garantire la tutela ai contraenti ed eminentemente ai soggetti deboli e ai terzi; ratio legis diametralmente opposta, poi, quella del legislatore del 1975 che ha abbandonato tale visione cristallizzata dell’autonomia privata nell’ambito del diritto famigliare – fondata sull’ideologia del marito con una posizione privilegiata rispetto alla consorte –, dando la possibilità ai coniugi di optare, tramite una dichiarazione, per un regime patrimoniale convenzionale ovvero di modificarlo medio temporis, così da permettere l’adattamento del complesso di regole disciplinanti le proprie situazioni giuridiche soggettive patrimoniali ai bisogni familiari, dinamici nel corso della vita coniugale.[3]

Per quanto concerne i rapporti personali è utile richiamare la disposizione di cui all’art. 143 c.c., “una regolamentazione contrattuale, che non si limiti a precisare le modalità di adempimento di alcuni dei suddetti obblighi in base alle concrete esigenze, contrasterebbe inevitabilmente con norme imperative” al fine di creare un dualismo interpretativo si usa specificare che in ambito patrimoniale l’autonomia privata può operare in uno spazio diametralmente maggiore.

L’essenza della libertà negoziale non è esplicitamente enucleata nell’articolo 161 del Codice civile, ma se letto in chiave evolutiva la si potrà comprendere dalla prospettiva del divieto in esso contenuto.

La norma succitata postula uno dei limiti inderogabili che formano l’area entro cui l’autonomia negoziale dei coniugi ovvero degli uniti civili deve operare cioè quello del divieto di riferirsi in modo generico agli usi o ad una legge straniera per regolare i propri rapporti.

Ancora, se si guarda alla proposizione finale – secondo cui le parti “devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti” – si potrà constatare come il ruler, attraverso tale disposizione si sia rifatto al principio di cui al secondo comma dell’art. 1322 c.c. e abbia, de facto, sancito l’essenza dell’autonomia privata familiare in materia patrimoniale; mentre tale autonomia prima facie trova origine nel combinato disposto di cui agli articoli 159 c.c., secondo il quale le convenzioni delle parti possono derogare al regime legale, e 210 c.c., che contempla il regime convenzionale, se si prova ad allargare la visione e dunque il campo d’indagine alla norma in questione, l’art. 161 c.c., si può notare come l’autonomia negoziale si estrinseca nella possibilità di instaurare regimi c.dd. atipici rectius regimi patrimoniali non previsti dall’ordinamento italiano, ma da ulteriori fonti normative che trovano applicazione tra le parti, sempre nel rispetto delle norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume, e qualora gli interessi siano meritevoli di tutela.

Invero, oltre alla scelta di contrarre o no, dei soggetti con i quali contrarre, del contenuto da statuire, in virtù del principio fondamentale dell’autonomia contrattuale che si applica alla materia del diritto di famiglia, nella prospettiva delle situazioni giuridiche soggettive patrimoniali, le parti possono scegliere quale sia la legge applicabile ai propri patti. [4]

Comparazione civilistica della norma oggetto di analisi

Com’è noto, l’articolo 161 c.c. pone il divieto per i coniugi di sottoporsi a una legge straniera – e anche a quelle di diritto consuetudinario – tramite un generico riferimento alla stessa; dunque, gli stessi soggetti sono obbligati a dichiarare in maniera esatta le regole che regoleranno i rapporti patrimoniali che intercorrono tra loro.[5] Il c.d. pactum de lege utenda rectius clausola ad hoc da redigere nelle convenzioni, risolve in nuce i conflitti che scaturiscono in ordine alla legge applicabile al contratto medesimo, sottintendendo che le statuizioni saranno interpretate in virtù del diritto sostanziale dell’ordinamento giuridico per il quale si è optato. Questa disposizione fa comprendere quanto sia essenziale la specificazione al fine di applicare una normativa esulante dal Codice civile; la ratio essendi può essere riscontrata nella necessità di rendere più semplice l’interpretazione del giudice, di validare il principio di certezza del diritto e di proteggere i terzi, e.g. evitando che le parti utilizzino una normativa complessa da reperire oppure che sfruttino il differente codice linguistico per la regolamentazione dei propri interessi.[6]

Invero, bisogna dividere la monade contrattuale sinora delineata, due sono le fattispecie concrete realizzabili, la prima riguarda la legge applicabile che, per completezza, si applica a tutte le parti della convenzione, la seconda, invece, concerne la legge straniera applicabile esclusivamente ad alcune parti della convenzione, sottintendendo la necessità di un approfondimento.

La prima casistica è enucleabile nel regime patrimoniale atipico, poiché non è affatto disciplinato dalla legge italiana, nella seconda, invece, il regime patrimoniale degli uniti civili ovvero dei coniugi riguarderà uno dei modelli già previsti dal Codice civile – in specifico sarà una comunione convenzionale – con degli elementi alieni rectius frammenti di disciplina di ordinamenti stranieri.

In ambedue le fattispecie delineate la fonte sarà negoziale in quanto è la voluntas partium a far sì che le norme straniere vengano applicate in quel regolamento di interessi.[7]
L’analisi sinora svolta coinvolge altri ordinamenti giuridici, è utile operare un’indagine comparatistica al fine di favorire una visione decentrata della cultura giuridica riguardante il diritto di famiglia poiché, seppur con sviluppi storici differenti, le varie legislazioni presentano elementi comuni.

Comunanza favorita dalle Riforme del diritto di famiglia, collocate maggiormente intorno agli anni Settanta del secolo scorso; già dall’ordinamento italiano, introducono la possibilità di modificare il c.d. regime legale, l’insieme di regole applicabile alle situazioni giuridiche soggettive patrimoniali e statuito dai diversi ordinamenti in mancanza di una scelta specifica delle parti – è il legislatore a scegliere la comunione ovvero la separazione dei beni – ma anche la possibilità di apportare modifiche a quelle stesse convenzioni.

È complesso parlare di convenzioni disciplinate da norme facenti capo a un ordinamento straniero senza compiere un’esegesi, seppur sintetica, della norma di cui all’art. 30 della legge 31 maggio 1995, n° 218, recante modifiche al sistema di diritto internazionale privato. Al primo comma si legge “i rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge applicabile ai loro rapporti personali”, nesso logico intercorrente tra il comma succitato e l’articolo immediatamente precedente, l’art. 29 della legge de qua, contemplante, a sua volta, che la legge applicabile a questi rapporti sia quella nazionale comune, oppure, in sua mancanza, e.g. caso di pluralità di cittadinanze, quella dello Stato presso il quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Dunque, egualmente in materia di regimi patrimoniali, per via del richiamo normativo, ai rapporti succitati si applicano le disposizioni della legge nazionale comune o, in via residuale, dell’ordinamento in cui le parti hanno stabilito il proprio indirizzo familiare.[8]

Così come si legge dal primo comma dell’articolo 30, l. cit., è prevista un’ulteriore possibilità: sottoporsi a una legge diversa da quella prevista dalla regola generale, nel caso in cui sussista un collegamento tra una parte – o entrambe – e la legge scelta, stabilendo che “i coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede”. L’interpretazione logica di tale assunto è riscontrabile nell’autonomia negoziale dei coniugi in materia patrimoniale, la quale è perimetrata da confini più ampi rispetto ai rapporti personali, e che si pone in concerto con quanto previsto dalla Riforma del diritto di famiglia in tema di modificabilità delle convenzioni, sempre nel rispetto delle norme inderogabili e dell’ordine pubblico.

Il criterio di collegamento necessario è la cittadinanza o la residenza di almeno uno dei coniugi, con una deroga convenzionale esclusivamente nel caso in cui il rapporto di coniugio presenti un elemento di estraneità. La scelta della legge applicabile, inoltre, è possibile solo se l’accordo, oltre ad essere per iscritto, sia considerato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui esso è stato stipulato (comma secondo).

Ciò ha l’implicazione logica, in virtù delle norme in tema di convenzioni matrimoniali esaminate, che è garante la semplice forma scritta, per sottoporre i propri rapporti patrimoniali ad una legge straniera, in quanto la disposizione in questione non prevede la forma solenne ex art. 162 c.c. sicché, lo stesso art. 161 c.c., nel permettere di optare per una legge straniera che regoli i patti tra nubendi, prescrive come unico requisito la dichiarazione esemplare del contenuto di questi patti, a pena di inammissibilità della scelta e della conseguente applicazione della legge dello Stato italiano, senza prescrivere altri oneri formali; quindi nell’ambito degli strumenti di diritto internazionale privato, le parti possono stipulare convenzioni che non devono pedissequamente rispettare le regole previste dall’ordinamento italiano, salvo non siano regole di ordine pubblico e buon costume.[9]

Stanti le  disposizioni difficilmente congruenti tra i vari ordinamenti, è utile enucleare il BGB che, nel merito, prevede al § 1409 che “il regime patrimoniale non può essere determinato mediante rinvio ad un diritto non più vigente o ad un diritto straniero”, simmetricamente opposto, invece, il Code Civil che ammette, senza limitazione, la libertà negoziale in ordine alla scelta di assoggettarsi a una legge straniera, con ciò esplicando il principio secondo cui l’autonomia negoziale dei contraenti in materia non deve necessariamente precludere le aspettative di diritto alle tipicità imposte dal legislatore nazionale. Si noti, inoltre, come nella normativa tedesca quest’ultima viene nominata espressamente, a differenza dell’ordinamento italiano. Inoltre, nella gran parte degli ordinamenti europei, le parti sono sostanzialmente libere di scegliere quale sarà la legge alla quale assoggettare i rapporti patrimoniali, con le sole preclusioni rectius limiti imposti dal proprio ordinamento in primis, il principio di eguaglianza.[10]

Dunque, la libertà negoziale dei coniugi in ambito patrimoniale, non è soltanto incentrata sulla possibilità di derogare alle norme codicistiche in ordine alle regole di allocazione della ricchezza ottenuta delle stesse persone fisiche dalla fase della creazione del vincolo, nonché sulla possibilità riservata agli stessi soggetti di modellare tali convenzioni, è anche incentrata nell’occasione di optare per l’applicazione una normativa esterna, sempre nel rispetto del limite formale di cui all’art. 161 c.c., ovverosia, la specificazione del contenuto delle norme che andranno a regolare il regime patrimoniale.

Oggi, la legge n. 218 del 1995, modificata recentemente dal d. lgs. n° 7/2017, ha inoltre lo scopo di allargare ai partners delle unioni civili il principio dell’autonomia privata per ciò che concerne la scelta della legge applicabile.[11]

Risvolti evolutivi dell’articolo 161 c.c. all’interno della l. 76/2016

La legge 76 del 2016 mutua la disciplina di molti istituti del diritto di famiglia rectius di natura matrimoniale, tuttavia, non si occupa di un’armonizzazione sostanziale con tutti i rami del diritto.

Al fine di colmare tale lacuna, tramite il comma 28 dell’articolo unico, è stata messa in atto la delega del Parlamento al Governo, per l’adozione, in sei mesi dall’entrata in vigore della legge, di una serie di decreti legislativi, con la ratio di uniformare la regolamentazione delle unioni civili con le disposizioni in materia di: a) registri di stato civile in ordine ad iscrizioni, trascrizioni e annotazioni; b) diritto internazionale privato; c) disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti. [12]

Parlando dell’articolo 161 del Codice civile è necessario analizzare il decreto legislativo 19 gennaio 2017, n° 7, rubricato “Modifiche e riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili”, questo inserisce nel DIP, sul diritto applicabile a sentenze e atti stranieri, gli articoli da 32-bis a 32-quinquies, e modifica integralmente l’art. 45 in materia di obblighi alimentari: il regime patrimoniale delle coppie same-sex, è regolato dall’articolo 32-ter, il quale al comma quarto dichiara che la legge che regola i rapporti patrimoniali, oltreché personali, dei partners è quella dello Stato in cui è stata costituita l’unione civile. Il criterio cardine è diverso da quello previsto per ciò che concerne la legge applicabile ai rapporti personali e patrimoniali dei coniugi, i quali sono soggetti alla legge nazionale comune; infatti, l’art. 29 della legge n. 218 del 1995 non inserisce alcun tipo di nesso alla legge dello Stato entro il quale il matrimonio è stato celebrato. Invero, è necessario valutare la deroga prevista dal successivo art. 32-quinquies, il quale prevede l’applicabilità della legge italiana, in virtù dell’assunto “produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”, nella fattispecie in cui i soggetti siano entrambi cittadini italiani, ivi residenti, senza che in questo caso possa trovare applicazione la legge del luogo di celebrazione dell’unione. La ratio è quella di evitare che le parti scelgano di costituire un’unione civile in un ordinamento diverso, per il quale non sussiste alcun criterio di collegamento, al fine di eludere norme imperative; è un c.d. limite specifico, posto dal legislatore delegato, all’autonomia delle parti in tema di scelta della legge applicabile.[13]

La seconda parte della disposizione inerente all’articolo oggetto della disquisizione, ammette la possibilità per le parti, anche singolarmente, di chiedere al giudice di “disporre l’applicazione della legge dello Stato nel quale la vita comune è prevalentemente localizzata”.

Nel caso succitato, non si tratta di una c.d. professio iuris, cioè della scelta della legge cui sottoporsi, in quanto il giudice non ha l’obbligo di dar eseguire tale richiesta, semplicemente “può” disporre che si applichi la legge che presenta il collegamento in esame; mentre per i coniugi, l’articolo 29 DIP afferma che, simmetricamente, i rapporti personali e i rapporti patrimoniali, in caso di più cittadinanze, sono regolati dalla legge dello Stato in cui la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata, per i rapporti relativi al patrimonio degli uniti civili, tale legge si applicherà solo in caso di istanza fatta al giudice e di relativa valutazione positiva.  La parte finale del quarto comma dell’art. 32-ter contempla la possibilità che le parti possano derogare convenzionalmente a tale disposizione, statuendo che i loro rapporti siano regolati dalla legge dello Stato in cui una risiede o ha la cittadinanza, con ciò riportando il contenuto dell’art. 30, l. 218/1995, il quale, come visto, concede alle parti la libertà negoziale della scelta in ordine ad una legge diversa da quella normalmente applicabile ai loro rapporti, ovverosia, dello Stato di cui almeno una parte è cittadino o in cui almeno uno risiede.[14]

Orbene, è stata rilevata dal potere legislativo l’autonomia negoziale delle parti, riproducendo la possibilità riservata ai partners, di assoggettarsi ad una legge diversa da quella prevista dall’ordinamento, ma senza specificare ulteriormente i limiti e i contenuti della stessa. Quanto detto dimostra il fatto che la regolamentazione prevista dal Decreto n. 7 del 2017, in definitiva, risulta insufficiente.

Invero, in seguito all’entrata in vigore del Regolamento (UE) n. 1104/2016, che trova applicazione nel 2019, le disposizioni concernenti il diritto internazionale privato, dovranno essere bilanciate con quelle contemplate in tale regolamento, in virtù della preminenza del diritto dell’Unione Europea su quello nazionale.

In funzione di quanto detto, è possibile osservare l’applicazione dei regolamenti succitati ai cittadini di uno Stato Membro che abbia partecipato alla c.d. cooperazione rafforzata da cui è derivata l’emanazione dei regolamenti, mentre, nella fattispecie in cui si tratti di cittadini di un Paese UE che non aderisca ai regolamenti o di un Paese extracomunitario, troveranno applicazione le norme di cui alla l. 218 del 1995.[15]

Il D.lgs. 7 del 2017 si è ispirato, per la risoluzione di controversie dottrinali e giurisprudenziali, proprio al regolamento emanato dal Consiglio dell’Unione Europea. Quest’ultimo si pone nel nucleo degli strumenti di cooperazione europea che perseguono la finalità di ricercare soluzioni sempre più agevoli, per consentire la libera circolazione di persone, nonché l’immediato riconoscimento degli atti stranieri nei vari ordinamenti.[16]

Il contesto comunitario: Regolamento n. 1104 del 2016

In siffatto contesto si inserisce il Regolamento (UE) n. 1104 del 2016 riguardante gli effetti patrimoniali delle unioni registrate internazionali composte da persone dello stesso sesso, emanato dal Consiglio dell’Unione Europea, in concerto con il Regolamento (UE) n. 1103 del 2016 per i coniugi (n.d.r. “Regolamenti gemelli”) per “la comunanza di molte soluzioni, nonostante le differenze del criterio di collegamento dovute alla diversità di soluzioni nazionali ed anche all’assenza dell’istituto dell’unione registrata in alcuni Stati”.
In tal senso è stata attuata la cooperazione rafforzata nei rispettivi settori: della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali dei coniugi e in materia di effetti patrimoniali delle unioni same-sex registrate. [17]

La normativa previgente era composta dalle disposizioni derivanti dalla Convenzione dell’Aja del 1978 sulla celebrazione, sul riconoscimento della validità dei matrimoni e sulla legislazione applicabile ai regimi patrimoniali fra i coniugi, in ambito internazionale; da quelle contemplate nel Regolamento 2201 del 2003 del Consiglio della Comunità Europea (c.d. Bruxelles II), relativo alla competenza, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; e infine dal Regolamento del Consiglio UE n. 650 del 2012, riguardante nello specifico alla materia successoria, da esso sorge la nuova disciplina, costituendone una sorta di prosecuzione, per ciò che attiene alle regole e alle modalità di recepimento degli atti internazionali.[18]

Sia concessa una digressione sulla storia che ha portato alla promulgazione dei regolamenti oggetto della disquisizione: la proposta di armonizzare la materia con una singola disciplina che coprisse tutta l’area del regime patrimoniale tra persone unite da vincoli affettivi era in via di sviluppo dal marzo 2011, in seguito a costanti proposte da parte della Commissione. Tuttavia, l’iter ha avuto condizioni ostative per la mancanza di una uniformità comunitaria in materia, in quanto non tutti gli Stati Membri ammettevano – e ammettono – il matrimonio o un istituto analogo per le coppie formate da persone dello stesso sesso. Dopo quattro anni, il Consiglio dell’UE non intende più raggiungere accordo unanime, previsto dall’art. 81 TFUE, paragrafo 3, che in deroga alla procedura ordinaria, ammette la possibilità per il Consiglio di emanare all’unanimità misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali, in assenza di opposizioni da parte degli Stati aderenti. Ha preferito proseguire con una cooperazione rafforzata tra gli Stati Membri che riconoscono e garantiscono le unioni omosessuali, rispettando, quindi, la procedura di deliberazione legislativa ordinaria. A tal proposito l’art. 81 del Trattato sul funzionamento dell’Unione spiega cosa si intenda per “cooperazione rafforzata”, affermando testualmente che:

«L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri»

La succitata proposta fu presentata alla Commissione da ben diciassette Stati – tra questi anche l’Italia – e fu autorizzata dal Consiglio, durante il giugno 2016, data in cui furono approvati i testi definitivi dei regolamenti applicabili “nel contesto degli effetti patrimoniali delle unioni registrate con implicazioni transfrontaliere”.  L’ambito di applicazione è riferito, quindi, alle unioni registrate che abbiano designato la legge applicabile al loro regime patrimoniale o che si siano costituite successivamente a tale data (ex articolo 69 del Regolamento).[19]

Tornando alla disquisizione sui Regolamenti, è necessario soffermarsi su quello che disciplina gli effetti patrimoniali delle unioni tra persone dello stesso sesso registrate, così come denominate dal Consiglio dell’Unione. L’articolo 3, al primo comma, definisce il concetto di unione registrata ovverosia il regime di comunione di vita tra due persone, la cui registrazione è obbligatoria secondo la legge del proprio Paese, ai fini della sua costituzione. Invero, non si obbliga gli Stati ad ammettere l’unione o altro istituto con evidenti nessi logici nei propri ordinamenti giuridici, qualora non sia prevista la possibilità per le coppie formate da persone dello stesso sesso di costituire vincoli analoghi al matrimonio. Il Regolamento, poi, disciplina tutti gli aspetti di disciplina privatistica, “riguardanti tanto la gestione quotidiana dei beni dei partners quanto la liquidazione del regime patrimoniale” –escludendo, però, le questioni già disciplinate da altri regolamenti, e.g. obblighi alimentari e le successioni mortis causa.

Più specificamente, il regolamento finora analizzato all’articolo 1 afferma che esso si applica agli effetti patrimoniali delle unioni registrate, ad esclusione delle materie doganale, fiscale e amministrativa; inoltre rimangono escluse anche le materie relative alla capacità giuridica dei partners, alla natura dei diritti reali e agli effetti delle trascrizioni nei registri mobiliari e immobiliari.[20]

In secundis, le regole di competenza contemplate all’articolo 6 dichiarano che per le questioni disciplinate dal Regolamento saranno competenti le autorità giurisdizionali dell’ordinamento nel cui territorio si trovi la residenza abituale delle parti al momento della presentazione della domanda giurisdizionale, o nel luogo dell’ultima residenza comune, se uno dei due è ancora residente, ovvero saranno competenti quelle nel cui territorio si trovi la residenza abituale del convenuto, o ancora quelle dello Stato Membro in cui risiede la cittadinanza comune, nel periodo in cui è stata adita l’autorità giurisdizionale. Per concludere, nel caso in cui non sia stata proposta alcuna istanza, le autorità competenti a decidere saranno quelle dello Stato in cui si è costituita l’unione same-sex.

Le parti, inoltre, in virtù dell’articolo successivo, possono eleggere un foro – attraverso un accordo obbligatoriamente per iscritto, datato e firmato – diverso da quello competente; saranno investite della questione le autorità giurisdizionali dello Stato la cui legge è stata scelta in base agli articoli 22 e 26 del regolamento (c.d. professio iuris). [21]

Nella fattispecie concreta in cui nessuna autorità sia competente a dirimere la controversia e quelle scelte in virtù dell’articolo 7 – dalle parti, esiste un criterio sussidiario, che qualifica come competenti le autorità giurisdizionali di uno Stato “nella misura in cui beni immobili di uno o entrambi i partner sono situati nel suo territorio, nel qual caso l’autorità giurisdizionale adita è competente a pronunciarsi solo su quei beni immobili”. Nel caso in cui la regola succitata risulti non applicabile, verrà applicata la clausola di salvaguardia ex art. 11 del Regolamento prevede che le autorità giurisdizionali di uno Stato con cui i soggetti abbiano un “collegamento sufficiente”, possano, eccezionalmente “conoscere di una controversia […] se un procedimento non può ragionevolmente essere intentato o svolto o si rivela impossibile in uno Stato terzo con il quale la causa ha uno stretto collegamento”. Si parla, dunque, del forum necessitatis, nonostante non sia stato esplicato per cosa debba intendersi quando si parla di collegamento sufficiente. È auspicabile che esso sarà valutato di volta in volta dall’autorità giudiziaria adita.[22]

La legge applicabile 

Il Regolamento, capo III, art. 20, affronta l’importante questione della legge applicabile.
Come già visto, l’art. 30 della legge n. 218 del 1995 ha posto specifici criteri di collegamento tale per cui, qualora le parti non vogliano assoggettarsi alla legge nazionale comune – oppure per cittadinanze plurime – possono optare per la legge dello Stato in cui almeno una delle parti risiede o sia cittadino. Invero, dopo l’entrata in vigore dei Regolamenti gemelli, sarà applicato per gli Stati aderenti alla cooperazione rafforzata, la legge del territorio in cui è stata individuata la prima residenza comune dopo la celebrazione del matrimonio ovvero dell’unione civile.

Una volta individuata, secondo il regolamento, si applica anche qualora non provenga da uno Stato UE e soprattutto trova applicazione conforme, poiché riguarderà tutti i beni oggetto di disputa, ovunque essi siano formalmente ubicati.[23]

Inoltre, il criterio di individuazione di questa legge è devoluto all’autonomia privata delle parti: ciò detto è contemplato nell’articolo 22 del Regolamento, congruente al Regolamento n. 1103 del 2016 riguardante i regimi patrimoniali tra coniugi. In concerto affermano che le parti possono optare di assoggettarsi dal punto di vista patrimoniale alla legge dello Stato della loro residenza abituale alla conclusione della convenzione – questo può avvenire anche prima della costituzione della stessa (n.d.r. “la residenza abituale dei partner, oppure futuri partner”) –, alla legge dello Stato di cui al momento della conclusione uno dei due abbia la cittadinanza, oppure a quella dello Stato davanti al quale l’unione same-sex è stata registrata. La ratio essendi della disposizione riguarda l’ipotesi in cui le parti abbiano optato per la legge di residenza abituale, o di cittadinanza di una parte; a questo punto, hanno la possibilità di modellare la propria volontà, valutando la legge di costituzione, la quale avrebbe trovato validità in assenza di convenzioni.[24]

Si parla, nuovamente, della rilevanza attribuita alla volontà delle parti, da cui scaturisce un vasto agglomerato di opzioni entro cui la propria autonomia contrattuale può manifestarsi e quindi del fenomeno in base al quale i partner, con la stipula di convenzioni patrimoniali, possano derogare al regime di comunione dei beni previsto dalla legge in assenza di una volontà contraria in tal senso.

Il livello sovranazionale in capo all’Unione Europea, fa rilevare l’autonomia negoziale che ha un ruolo di primo piano, in tal caso con riferimento alla legge applicabile. L’articolo 22, infatti, specifica che l’efficacia di tale accordo non è retroattiva, e in ogni caso, non può pregiudicare i diritti acquisiti dai terzi; Dimostrazione di un’ulteriore congruenza con la disciplina delle convenzioni ex art. 162 e seguenti c.c.

Invero, si ricorda che in assenza di convezioni la legge applicabile risulterebbe quella del Paese della costituenda unione, questo è quanto afferma l’art. 26 che però contiene un’eccezione alle regole finora esposte. Nella casistica in cui uno dei partner lo richieda, l’autorità giurisdizionale può decidere che la legge di un altro Stato venga applicata agli effetti patrimoniali dell’unione costituita, qualora questo li riconosca e salvo che l’istante provi che entrambi abbiano risieduto nello Stato oggetto dell’istanza per un periodo significativo, oppure che abbiano fatto affidamento sulla legge dello Stato “nell’organizzazione o pianificazione dei loro rapporti patrimoniali”.[25]

Al presente punto della disquisizione, è utile richiamare la norma di cui all’articolo 36 che afferma: “le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento particolare”. È lapalissiano che il riconoscimento sia escluso in caso di contrarietà all’ordine pubblico dello Stato che deve riconoscere le pronunce emesse. È una clausola generale – ex artt. 30 e 31 che riguardano le norme di applicazione necessaria e l’ordine pubblico del foro – la quale è un filtro per il riconoscimento di qualsivoglia provvedimento.

Esulante da tale casistica, la disposizione contenuta nell’art. 36 del Regolamento che si inserisce nella cooperazione rafforzata in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni relative agli effetti patrimoniali delle unioni registrate internazionali, due finalità della disciplina nonché espressione del principio generale di diritto internazionale privato, contemplato dalla legge n. 218 del 1995, artt. 64 e ss., sul c.d. automatico riconoscimento dei provvedimenti stranieri.

In sostanza, tale tipologia di strumenti negoziali dalla prospettiva internazionale, nonostante siano già disciplinati da Regolamenti dell’Unione Europea, esulano alle norme imposte dall’ordinamento italiano a coniugi e uniti civili che stipulano negozi ad hoc per disciplinare i propri assetti patrimoniali, nonché ai limiti formali e contenutistici sanciti a riguardo dal Cod. civ. italiano.[26]

Conclusioni

L’importanza dell’autonomia negoziale nella materia de qua, nonostante abbia precedenti antichi negli ordinamenti europei, è stata dichiarata chiaramente a partire da tali Riforme, tramite la promulgazione di norme che permettono di instaurare regimi patrimoniali atipici, ovvero della disposizione per cui, in ottemperanza al principio di eguaglianza, il regime patrimoniale inderogabile è quello proporzionale dalla prospettiva contributiva, superando l’ideologia secondo la quale la moglie era soggetta al mantenimento da parte del marito.[27]

L’autonomia contrattuale è, dunque, il fulcro sul quale orientare tale sviluppo, poiché il contratto è lo strumento tramite cui, in prospettiva evoluzionistica, si possono regolare tutti i nuovi aspetti del vivere civile, anche al di fuori dei confini stabiliti dal legislatore nazionale.
Tale disciplina è il punto prodromico per una riforma del diritto internazionale privato che possa considerare le coppie formate da persone dello stesso sesso alla stregua di quelle composte da un uomo e una donna, sia per quello che attiene ai rapporti sostanziali e anche per quanto riguarda i profili eminentemente patrimoniali.[28]


[1] P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, Napoli, 2021, ISBN: 9788849544930, pp. 987 ss.; nella parte in cui l’autore definisce l’essenziale finalità dell’autonomia negoziale nei rapporti famigliari; Per ulteriori informazioni in merito ai concetti di teoria e prassi insiti nel contesto patrimoniale che, nella filosofia del diritto privato occidentale sono i principi ordinatori della sintesi degli effetti essenziali del fatto giuridico v. TEORIA E PRASSI, ATTI DEL VI CONGRESSO INTERNAZIONALE, Genova-Barcellona, 8-15 settembre 1976, pp. 230 ss.

[2] E. Caterini, G. Chiappetta, L’autonomia negoziale e il concetto di parte nella dottrina e nella giurisprudenza, Rende, 2003, ISBN: 884950506X, pp. 243 ss.; Per i riferimenti giurisprudenziali in materia v. Cass. 2017 n. 2224 che richiama la sentenza 11 giugno 1981 n. 3777, in Foro it., I, 1982, c. 184 e ss.

[3] G. Chiappetta, Lo scioglimento delle comunità di vita per via negoziale, in Rivista Giustizia insieme, ISBN 978-88-548-2217-7; pp. 4 – 7; Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali v. Cass. 18 febbraio 2000, n. 1810, in Foro it., I, 1982, c. 210 e ss.; E. Caterini, L’arte dell’interpretazione tra fatto, diritto e persona, Rende – Napoli, 2018, ISBN: 978- 88- 89646- 37- 3, pp. 5 ss.

[4] G. Chiappetta, La “semplificazione” della crisi familiare: dall’autorità all’autonomia, in Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità. Atti del tredicesimo convegno nazionale, Napoli, 2018, ISBN: 9788849538984, pp. 470 – 480.

[5] I prodromi nella gestione dell’art 161 dell’attuale Codice civile sono generati dall’art. 1390 del Code civil francese, il quale, prescrive: «Non è più permesso ai conjugi di stipulare in un modo generico che la loro associazione verrà regolata da una delle consuetudini, leggi o statuti locali che per lo addietro fossero state in vigore nelle diverse parti del territorio del Regno, e che dal presente Codice sono abrogate»

[6] E. CATERINI, L’arte dell’interpretazione tra fatto, diritto e persona, Rende – Napoli, 2018, ISBN: 978- 88- 89646- 37- 3, pp. 6 ss.

[7] Per ulteriori approfondimenti v. Trib. Napoli decr. 1° luglio 2011; Corte di Giustizia, sentenza c-165/14 Alfredo Redon Marin, sentenza C-304/14 – CS

[8] A tal proposito si consiglia innanzitutto la lettura di P. Roubier, Droit subjectif et situations juridiques, Parigi, 1962, ISSN: 1953-8111, pp. 70 ss.; C. Castronovo, Autonomia privata e Costituzione europea, Milano, 2018, ISSN: 1720-4542; pp. 45 ss.

[9] G. CHIAPPETTA, La “semplificazione” della crisi familiare: dall’autorità all’autonomia, in Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità. Atti del tredicesimo convegno nazionale, Napoli, 2018, ISBN: 9788849538984, pp. 480 – 488.

[10] Sulla ricostruzione storica delle fonti normative oggi costituite v. H. Kelsen, Reine Rechtslehre, Berlino, 1925; sulla comparazione civilistica v. G. B. Ferri, Validità e patologie nel Code européen des contrats, in Eur. Dir. Priv., ISSN: 1128-214; pp. 925 ss.

[11] G. CHIAPPETTA, Lezioni di diritto civile, Napoli, 2018, ISBN: 9788889464359, p. 8 ss. «Le situazioni giuridiche soggettive della persona umana rappresentano, quindi, una categoria aperta esplicazione della singola persona umana idea-guida e valore primario del sistema ordinamentale»; Per gli uniti civili il mancato richiamo al 161 c.c. ha portato a considerare lecito anche un rinvio per relationem.

[12] G. PERLINGIERI, Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale, in Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 10, 2019, ISSN: 2386-4567, pp. 10-51; G. LISELLA, F. PARENTE, La persona in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato diretto da P. PERLINGIERI, Napoli, 2012, ISBN: 9788849523133, pp. 40- 44

[13] E. Caterini, Lezioni di diritto privato, Rende – Napoli, 2017, ISBN: 978-88-89464-33-5, p. 100; T. E. Fronsini, Profili costituzionali della sussidiarietà in senso orizzontale, in Riv. Giur. Mezzogiorno, 2000, pp. 15 ss.; N. Irti, La natura spaziale del diritto, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, I, Milano, 2005, pp. 412 ss.

[14] Cass. Civ. SS.UU. 11 luglio 2018 n. 18287; G. CHIAPPETTA, La “semplificazione” della crisi familiare: dall’autorità all’autonomia, in Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità. Atti del tredicesimo convegno nazionale, Napoli, 2018, ISBN: 9788849538984, pp. 487 ss.

[15] Sulle cooperazioni rafforzate v. G. Chiappetta, Status personae e familiae nella giurisprudenza delle corti sovranazionali, Napoli, 2012, ISBN: 9788849523157; pp. 235 ss; inoltre v. G. Guarino, La grande rivoluzione: l’Unione Europea e la rinuncia alla sovranità in Riv. Dir. Pubbl. sc. Pol., 2, 1998, p. 190 ss.

[16] D. Damascelli, L’evoluzione dei rapporti di filiazione e la riconoscibilità dello status da essi derivante tra ordine pubblico e superiore interesse del minore, in Riv. Dir. Int., 2017, p. 1068 e ss.; sulla libera circolazione v. P. Perlingieri, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. Dir. Civ., 1995, pp. 80 ss.

[17] G. Oberto, I patti prematrimoniali nel quadro del diritto europeo in Il corriere giuridico 6/2020, ISSN: 1591-4232, pp. 796 ss.; T. A. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978, pp. 34-51

[18] Cfr. R. Fantetti, Il regime patrimoniale europeo della famiglia, in Fam. pers. succ., ISSN: 1825-7941; 2011, 140 ss.; P. Perlingieri, La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, Napoli, 2005, ISBN: 9788849510409 pp. 245 ss.

[19] G. Viarengo, Effetti patrimoniali delle unioni civili transfrontaliere: la nuova disciplina europea, in Riv. dir. int. priv., 2018, ISSN: 0035-6174; pp. 45 ss.; sulle origini del sistema transfrontaliero nei regimi patrimoniali v. F. Criscuolo, L’autodisciplina. Autonomia privata e sistema delle fonti, Napoli, 2000, ISBN: 884950067X; Cfr. Corte di Giustizia UE 27 febbraio 1997, Antonius van den Boogaard v Paula Laumen, C-220/95.

[20] A. Gorassini, Convivenze di fatto e c.d. famiglia di fatto. Per una nuova definizione dello spazio topologico di settore, in Riv. dir. civ., A. 63 (2017), n. 4, pp. 854-879; G. CHIAPPETTA, La “semplificazione” della crisi familiare: dall’autorità all’autonomia, in Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità. Atti del tredicesimo convegno nazionale, Napoli, 2018, ISBN: 9788849538984, pp. 470 – 480.

[21] A. GORASSINI, op. cit., pp. 885 ss.; G. Alpa, M. Adenas, Fondamenti del diritto privato europeo, Roma, 2005, EAN: 9788814118753, pp. 670 ss.

[22] G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, ISBN: 9788849530735; Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287, in Il Corriere giuridico, 2018, 10, 1186

[23] AA.VV., Les contrats prénuptiaux en vue d’un éventuel divorce et le rôle du notaire dans la prédetermination des conséquences de la crise du couple, in Europa e diritto privato, 2019, ISSN: 1720-4542, pp. 225 ss; cfr. Cass. 25 ottobre 2019, n. 27409; enzia dell’unione europea per i diritti fondamentali e consiglio d’europa, C.Giakoumopoulos, G. Buttarelli, M. O’Flaherty, Manuale sul diritto europeo in materia di protezione dei dati, Lussemburgo, 2018, ISBN: 978-92-871-9846-4, pp. 126-227

[24] F. Marongiu Buonaiuti, Jurisdicition under regulation (EU) NO. 2016/679 concerning the processing of personal data and its coordination with the “Brusseles I- Bis” Regulation, in Cuadernos de derecho transnacional, Ottobre 2017, Vol. 9, n. 2, ISSN: 1989- 4570 pp. 448- 464

[25] AA.VV., Legal recognition of Same – Sex Couples in Europe, a cura di Boele-Woelki e Fuchs, Cambridge-Antwerp, Portland, 2011, pp. 168 ss.; B. Nascimbene, Divorzio, diritto internazionale privato e dell’Unione europea, Milano; ISBN: 9788814173059; pp. 49 ss.

[26] v. M. Robles, Ordine pubblico «economico» ed ermeneutica contrattuale, in Scritti in onore di Vito Rizzo, Persona, mercato contratto e rapporti di consumo, Napoli, 2017, ISBN: 9788849533538, pp. 1931 – 1942

[27] G. B. Ferri, Divagazioni di un civilista in Diritto e giurisprudenza, 2006, pp. 9 ss.; SICI: 0012-3439(2006); cfr. Protocollo del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Testo adottato dalla ventunesima relazione esplicativa, in https://assets.hcch.net/docs/a20ac557-f94d-42da-b625-776e7de69f01.pdf,

[28] P. Perlingieri, Il «diritto privato» nell’unità del sistema ordinamentale, in Rassegna di diritto civile 2/2019, Napoli, ISSN: 093182X; pp. 413 ss.; E. Caterini, L’arte dell’interpretazione tra fatto, diritto e persona, Rende – Napoli, 2018, ISBN: 978- 88- 89646- 37- 3, pp. 2 ss.; dalla prospettiva giurisprudenziale si v. Cass. Sez. un., 17 settembre 2015, n. 18214, in Riv. Giur. Edil., 2015

Laureato cum laude in giurisprudenza presso l’Università della Calabria con soggiorno di studio/ricerca presso la Delaware Law School (Delaware, USA) e tesi finale sul Privacy Shield; è Assistant Professor alle cattedre di diritto civile e diritto di famiglia presso il Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche dell’Università della Calabria, ha conseguito un master di II° livello in “Insegnamento del diritto e dell’economia” con una tesi sui sistemi di raccolta invisibile dei dati particolari; già tutor contrattualizzato presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali “Fausto Gullo” di Cosenza; già Auditor UNI EN ISO 19011:2018.

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