”Nella clausola “claims made pura”, la maggiore alea per l’assicurato di vedersi non indennizzati i sinistri che vengono a verificarsi in prossimità della scadenza della polizza (qualora entro tale termine non venga altresì formulata la richiesta risarcitoria), viene ad essere compensata dalla maggiore alea che grava sull’assicuratore per eventuali richieste risarcitorie presentate dopo l’inizio della efficacia del contratto, per sinistri occorsi anteriormente ad essa: non risultando in tal modo alterato il sinallagma delle prestazioni a carico dei contraenti. Il modello della clausola in questione, comunemente utilizzato nella prassi assicurativa, può venire ad articolarsi secondo lo schema, tanto della “retroattività” (fatti dannosi già accaduti prima della stipula del contratto), quanto della “ultrattività” (fatti dannosi che si verificheranno dopo la scadenza del termine di durata del contratto). [….]
Il giudizio di “tenuta” della clausola “claims made”, dovrà piuttosto estendersi al controllo delle complessive clausole del contratto assicurativo ed al risultato operativo finale che, dalla interpretazione sistematica delle stesse e dalla esecuzione in concreto attuata dai contraenti, viene ad emersione, risultato che dovrà essere, pertanto, valutato alla stregua del parametro fornito dalla effettiva funzionalità del modello – così in concreto individuato – a regolare gli interessi per la cura dei quali le parti hanno inteso definire il programma negoziale, venendo a tal fine in rilievo, come elemento unificante della verifica, la applicazione della clausola generale di buona fede (artt. 1366,1375 c.c.). ”
Premessa
La validità e l’efficacia della clausola claims made è stata negli ultimi anni attenzionata da parte del legislatore e della giurisprudenza di legittimità, al fine di scorgere profili di compatibilità con l’ordinamento interno e sovranazionale, tesi all’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni dedotte nel contratto assicurativo, fisiologicamente aleatorio.
Distante dal modello dell’act committed, per cui la copertura assicurativa segue il tempus della verificazione dell’illecito, la clausola claims made si articola in due varianti:clausola cd. pura, estesa ai fatti commessi anteriormente all’inizio dell’efficacia della polizza, e la clausola cd. impura o mista, che subordina la copertura alla contestualità del sinistro e della domanda risarcitoria.
L’odierna attenzione della Suprema Corte ha interessato, nel ripercorrere le tappe essenziali della ricostruzione esegetica e giurisprudenziale, la natura del vizio eventualmente ascrivibile alla clausola e la portata del sindacato giudiziale in termini conformativi dell’equilibrio contrattuale.
Il caso sottoposto alla Corte
Il caso soggetto alla pronuncia della Suprema Corte origina dalla pronuncia della Corte di Appello , che aveva confermato la decisione del giudice di primo grado, aderendo alla condanna , in via solidale, della struttura sanitaria e della compagnia di assicurazione alla prestazione risarcitoria a seguito del danno biologico sofferto da un paziente sottoposto ad una procedura microinvasiva di tipo chirurgico.
In primo e secondo grado, i giudici avevano dichiarato la nullità della clausola claims made dedotta nel paradigma contrattuale, evidenziandone la vessatorietà, e censurandone il difetto di causa e la violazione di norme imperative.
Le motivazioni della decisione
La censura alla clausola claims made
Le argomentazioni addotte dai giudici di legittimità esordiscono con una disamina essenziale della giurisprudenza in materia di clausole claims made.
La Suprema Corte ha ribadito la portata esegetica della pronuncia a Sezioni Unite[1] del 2016, relativa al contratto di assicurazione con clausola claims made e al sindacato giudiziale in tema di conformazione del contratto, in forza della quale la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che ,tanto il fatto illecito quando la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro termini preventivamente individuati , non ne attribuisce la natura vessatoria, bensì la espone ad una censura di nullità per immeritevolezza.
Circa la portata del sindacato giudiziale sul contratto, il succitato principio è stato ulteriormente specificato dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2018 [2], ove la Corte statuì che il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausola claims made è riconducibile al sistema derogatorio ex art. 1917, quale assicurazione contro i danni, e pertanto non è soggetto alla valutazione di meritevolezza ex art. 1322 c.c. secondo comma, bensì alla verifica ex art. 1322 comma I, improntata alla conformità del paradigma contrattuale al ”tipo”.
Tale controllo si fonda essenzialmente sui seguenti parametri:
- a) sulla valutazione della causa in concreto del contratto, sotto il profilo sinallagmatico tra le prestazioni dedotte;
- b) sulla osservanza, nella fase precontrattuale, degli obblighi informativi da parte della compagnia assicurativa sul contenuto delle claims made;
- c) sulla fase attuativa del rapporto, tale da giustificare l’accesso ai diversi rimedi previsti a livello ordinamentale.
All’evoluzione giurisprudenziale, sono seguiti diversi innesti normativi (L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”; l. Gelli Bianco n.24/2017) dai quali è possibile discernere la distinzione tra clausola cd. pura, estesa ai fatti commessi anteriormente all’inizio dell’efficacia della polizza, e la clausola cd. impura o mista, che subordina la copertura alla contestualità del sinistro e della domanda risarcitoria.
Sulla scorta della disamina effettuata, di estrazione giurisprudenziale e normativa, la Suprema Corte censura i vizi evidenziati nei precedenti gradi di giudizio,di vessatorietà e di invalidità per nullità, ribadendo come, a seguito dei plurimi interventi normativi, la clausola claims made abbia ormai trovato un solido ancoraggio positivo nel sistema civilistico, ritenuto conforme, secondo il legislatore, al paradigma del contratto assicurativo.
Con particolare riguardo alla clausola cd. pura, la maggiore alea per l’assicurato di vedersi non indennizzati i sinistri che si verificano in prossimità della scadenza della polizza (qualora entro tale termine non venga altresì formulata la richiesta risarcitoria), è compensata dalla maggiore alea che grava sull’assicuratore per eventuali richieste risarcitorie presentate dopo l’inizio della efficacia del contratto, per sinistri occorsi anteriormente ad essa.
Tale equilibrio prestazionale preclude una disomogeneità ed una sporporzione sinallagmatica, tale da non invocare alcuna censura di vessatorietà.
L’efficacia della clausola, in termini cronologici con riguardo alle fattispecie di danno lungolatenti, si compendia tanto della “retroattività” (fatti dannosi già accaduti prima della stipula del contratto), quanto della “ultrattività” (fatti dannosi che si verificheranno dopo la scadenza del termine di durata del contratto).
Il paradigma contrattuale si completa con l’ulteriore elemento, incerto e quindi aleatorio per i contraenti in quanto estraneo dalla loro sfera di controllo, della manifestazione del diritto ad essere risarcito dal terzo danneggiato. Tale elemento è circoscritto temporalmente dalla vigenza delle clausole, in modo da consentire all’assicuratore di ponderare il proprio impegno nel tempo e di definire l’entità del premio assicurativo.
La definizione delle prestazioni dei contraenti che ne deriva (volta a garantire una misura del premio quanto più corrispondente alla entità del rischio assunto) muta l’entità della valutazione del giudice, non più fondata sul tipo negoziale ex art. 1322 comma I , ma sulla ” tenuta” della clausola rispetto al complessivo assetto di interessi coinvolti dal paradigma negoziale, comprensivo pertanto della posizione del terzo danneggiato.
La Corte ha fugato ogni dubbio – come evidenziato dalle Sezioni Unite nel 2018 – circa la circostanza che il sistema assicurativo della responsabilità civile persegua ulteriormente l’interesse pubblico sussumibile nella “corretta allocazione dei costi sociali dell’illecito” ,ed ancor più di assolvere alla funzione di garantire la reintegrazione dei pregiudizi subiti dai danneggiati, funzione che appare evidente nelle “assicurazioni sociali”, ma che trova esplicazione con riguardo alle polizze private.
Il ”giudizio di tenuta” della clausola claims made,allora, dovrà estendersi al controllo delle complessive clausole del contratto assicurativo ed al risultato operativo finale che, dalla interpretazione sistematica delle stesse e dalla esecuzione in concreto attuata dai contraenti, viene ad emergere. Il risultato, a giudizio dei giudici di legittimità, deve essere valutato alla stregua del parametro fornito dalla effettiva funzionalità del modello – così in concreto individuato – a regolare gli interessi per il perseguimento dei quali le parti hanno inteso definire il programma negoziale, venendo a tal fine in rilievo il richiamo alla clausola generale di buona fede (artt. 1366,1375 c.c.).
La conformazione giudiziale del paradigma contrattuale
Una volta circoscritte e ridimensionate le censure mosse alla validità del contratto assicurativo e alla clausola pura, i giudici di legittimità si sono pronunciati sull’effettiva portata del sindacato giudiziale di conformazione del contratto, evidenziando gli errori valutativi in cui è intercorsa la Corte di Appello.
La Suprema Corte ha valutato negativamente l’operazione del giudice di seconde cure di applicazione automatica, al contratto dichiarato nullo, del regime della loss occurrence di cui all’art 1917 c.c.. , sostenendo l’opportunità di portare il contratto ad equilibrio senza ricorrere ad uno schema negozionale ( proprio quello di cui all’art. 1917 c.c.) che le parti avevano voluto espressamente emendare e modificare.
Il giudice territoriale, in particolare, avrebbe dovuto indagare tra i differenti modelli di clausola claims made rinvenibili nell’ordinamento, ed individuare quello maggiormente compatibile alla realizzazione di un equilibrato assetto degli interessi dei contraenti, così riadeguando le condizioni di polizza in funzione della causa concreta, tenendo conto anche di tutti gli altri elementi e condizioni operative compatibili con gli interessi perseguiti al momento della stipula.
L’operazione finale sarebbe stata tesa alla salvaguardia della causa del contratto, autenticamente funzionale alla volontà delle parti di concordare una prestazione assicurativa che contemplasse un rischio strutturalmente contraddistinto dal duplice elemento della verificazione del sinistro e della richiesta risarcitoria pervenuta dal danneggiato.
Considerazioni conclusive
A seguito delle argomentazioni suesposte, la Corte di Cassazione, in definitiva, ha affermato che, dichiarata la nullità della clausola claims made, non debba essere applicato il modello loss occurrence di cui all’art. 1917 c.c., ma, come già affermato dalle Sezioni Unite nel 2018, debba essere integrato il contenuto contrattuale individuando tra i modelli di clausola delimitativa del rischio presenti sul mercato, quello maggiormente rispondente ad un equilibrato assetto dei rapporti tra le parti.
[1]Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.9140 del 6/5/2016
[2]Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 22437 del 18/9/2018