Con la sentenza n. 13568 del 2 luglio 2015, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che la giurisdizione per la domanda di risarcimento del danno esistenziale per il mancato intervento da parte del Comune a porre rimedio al fenomeno dell’accattonaggio ai semafori e agli incroci, spetta al giudice amministrativo.
Nel caso di specie, il ricorrente aveva convenuto in giudizio il Comune, quale ente proprietario della strada, domandando il risarcimento dei danni per non avere adottato, ai sensi dell’art. 14 C.d.S. (Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade), misure idonee ad impedire o far cessare questi comportamenti “molesti”, oltre che “pericolosi per la circolazione. Il Comune sarebbe infatti “tenuto alla materiale attività di sgombero della carreggiata da tali pericoli/insidie per garantire la sicurezza e la fluidità del traffico”.
Secondo la Suprema Corte, si tratta di una premessa erronea: quando, infatti, viene in rilievo un’attività umana espressione di una forma di mendicità e di una semplice richiesta di aiuto proveniente da chi si trova in condizioni di povertà, non è pertinente il richiamo al dovere dell’ente proprietario della strada di porre in essere una attività materiale, un mero comportamento di “pulizia delle strade”, come recita l’art. 14 C.d.S..
In tale ambito, l’azione amministrativa, pur indirizzata alla tutela di beni pubblici importanti (l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana), deve infatti muoversi nel necessario rispetto della dignità della persona umana e dei diritti degli “ultimi”, essendo destinata a risolversi in prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni a coloro che ne sono destinatari.
Sulla scorta di tale ragionamento, ai fini del riparto di giurisdizione, la Cassazione ha pertanto rilevato come la pretesa azionata con la domanda abbia ad oggetto un’attività dell’amministrazione convenuta destinata necessariamente ad estrinsecarsi in provvedimenti secondo legge, e quindi non certo riducibile alla sua semplice materialità. A tal riguardo, la Corte di legittimità, richiamando una recente pronuncia delle Sezioni Unite (ordinanza 18 maggio 2015, n. 10095), ha dunque ribadito che “la pretesa a che un’autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le assegna per la tutela di un interesse pubblico non può sicuramente essere configurata come un diritto soggettivo di colui il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio, nè quando essa investa la scelta dell’amministrazione se esercitare o meno quel potere, in una situazione data, nè quando sia volta a sindacare i tempi ed i modi in cui lo si è esercitato“.
Ne consegue che la posizione soggettiva di cui l’attore pretende la tutela non è, nemmeno in astratto, qualificabile in termini di diritto soggettivo, ma, semmai, di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, giacchè, ai sensi dell’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., sono attribuite “alla giurisdizione generale di legittimità di questo giudice le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”.
In ogni caso, secondo la Suprema Corte, anche a voler ipotizzare l’esistenza di una situazione di diritto soggettivo facente capo all’attore, la questione ricadrebbe nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quale prevista dall’art. 133, comma 1, lett. q), cod. proc. amm., trattandosi di controversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza urbana.
In conclusione, le Sezioni Unite hanno pertanto rigettato il ricorso, dichiarando la giurisdizione dei giudice amministrativo.
(Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sentenza n. 13568 del 2 luglio 2015)