Fondo patrimoniale e bisogni della famiglia: i limiti all’azione per i creditori dei coniugi

in Giuricivile, 2021, 3 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. Civ., sez. VI, sent. 08.02.2021, n. 2904

Come noto, i coniugi, per regolare i loro rapporti patrimoniali, hanno molteplici possibilità.

Anzitutto, infatti, in mancanza di diversa convenzione matrimoniale, il loro regime patrimoniale è rappresentato dalla comunione legale.

Tuttavia, questi possono stipulare, come accennato, una apposita convenzione matrimoniale per scegliere un regime diverso, come, ad esempio, la separazione dei beni, ovvero possono scegliere di costituire un fondo patrimoniale (artt. 167-171 c.c.): ossia, possono pertanto decidere di realizzare una convenzione[1], attraverso la quale un complesso di beni (siano essi beni immobili, beni mobili registrati o titoli di credito) possono essere destinati a far fronte ai bisogni della famiglia[2].

Tale vincolo di destinazione impresso ai beni comporta che essi non siano aggredibili per debiti che i creditori conoscevano essere stati contratti per bisogni estranei alla famiglia (art. 170 c.c.), andando a formare un patrimonio separato, volto unicamente a soddisfare i bisogni della famiglia e destinato alla garanzia dei c.d. creditori della famiglia: in virtù di ciò, il creditore che sappia che il debito non ha nulla a che vedere con i bisogni della famiglia, non potrà soddisfarsi sui beni del fondo.

Pare opportuno precisare altresì che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito ed in quanto tale può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), laddove però sussista la consapevolezza, in capo al debitore, di recare un pregiudizio ai creditori.

Per quanto concerne, invece, l’amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale si applicano le norme relative all’amministrazione della comunione legale e, nello specifico, per poter validamente alienare o disporre dei beni del fondo, occorre distinguere il caso in cui non vi sono figli minori, occorrendo, in tal caso, solamente il consenso di entrambi i coniugi, da quello in cui ve ne siano: in tale ultima ipotesi, oltre al consenso dei coniugi, occorre, altresì, l’autorizzazione del Tribunale che dovrà verificare, di volta in volta, se l’atto di disposizione è necessario o se vi è un’utilità evidente nel doverlo compiere.

I coniugi, peraltro, nell’atto costitutivo possono espressamente prevedere che il loro consenso sia sufficiente a compiere tali atti di disposizione.

Infine, la cessazione del fondo patrimoniale si verifica in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In tali ultime ipotesi, tuttavia, se vi sono figli minori, il fondo patrimoniale perdura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo nato.

Tali doverose premesse sull’istituto del fondo patrimoniale sono necessarie per poter meglio comprendere una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, 08.02.2021, n. 2904) la quale delinea con estrema chiarezza, quali sono i casi in cui i creditori possono aggredire il fondo patrimoniale e, a tal fine, quali oneri probatori devono soddisfare.

Il fatto: beni immobili aggrediti da un creditore-Banca.

Procedendo con ordine, la sentenza trae origine da una vicenda trattata, in primo grado, dal Tribunale di Pesaro, nel quale una Banca attivava un procedimento esecutivo nei confronti del proprio debitore (da ora in poi lo chiameremo Tizio), atto a pignorare un immobile e un garage conferiti in un fondo patrimoniale da parte dello stesso debitore, e dal di questi coniuge, in data antecedente alla notifica dell’atto di pignoramento.

Infatti, Tizio era debitore della Banca in virtù di fideiussione che lo stesso aveva prestato a garanzia di affidamenti ottenuti dalla Società di cui lo stesso Tizio era socio.

A seguito del rigetto da parte del Tribunale dell’opposizione all’esecuzione ex 615 cpc avanzata da Tizio, quest’ultimo interpellava la Corte di Appello di Ancona, la quale respingeva, ancora una volta, i gravami proposti dal debitore, ritenendo che “in difetto di qualsiasi prova od allegazione su di una qualche diversa fonte di sostentamento della famiglia, appare del tutto legittimo presumere che dall’attività d’impresa di cui faceva parte Tizio derivassero i mezzi di sostentamento del nucleo familiare, di modo che le obbligazioni fideiussorie assunte ricollegabili a tale rapporto societario ben possono ritenersi rientrare nell’alveo di quelle prestate nell’interesse della famiglia

Pertanto, avverso quest’ultima pronuncia Tizio proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che, non tutti i debiti che sorgono in capo al pater familias che abbia una partecipazione sociale, automaticamente hanno una matrice “familiare” ed il fatto che lo stesso ricorrente fosse socio della Società “non può conferire l’automatismo voluto dalla Corte Dorica, avendo la corte di merito erroneamente tratto tale conclusione in via presuntiva laddove nella specie trattasi di mera fideiussione “improvvidamente prestata ad un amico””.

Nel ricorso Tizio chiariva inoltre che la Banca non solo avrebbe dovuto dimostrare che il fatto generatore dell’obbligazione (contratta rilasciando la fideiussione) avesse lo scopo di soddisfare i bisogni della famiglia, ma, inoltre, la Banca “non poteva ignorare” che il debito contratto “non poteva avere nulla a che vedere, neppure ipoteticamente, con i bisogni della famiglia dell’istante, con le esigenze di pieno mantenimento della stessa e con le necessità dell’armonico sviluppo della famiglia”.

La Corte di Cassazione in punto di azioni esecutive e onero probatorio.

La Corte di Cassazionem riteneva fondati i motivi di gravame proposti dal debitore Tizio, e ricostruiva l’istituto in argomento nei termini indicati di seguito.

Anzitutto, gli ermellini ribadivano un orientamento ormai consolidato, secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., sempre che ricorrano le condizioni di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1.

Conseguentemente, in tale ipotesi, il creditore non deve indagare quale fosse lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo (in tal modo, i creditori, quindi, non hanno la limitazione alle azioni esecutive che l’art. 170 c.c. circoscrive ai debiti contratti per i bisogni della famiglia – “a tale stregua considerandosi soggetti all’azione revocatoria anche gli “atti aventi un profondo valore etico e morale”, come ad es. il trasferimento della proprietà di un bene effettuato a seguito della separazione personale per adempiere al proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, in favore di quest’ultimo”).

La Cassazione precisava, altresì, che per ritenere sussistente il consilium fraudis (ossia l’intento fraudolento del debitore) è sufficiente, nel caso in cui la costituzione sia avvenuta anteriormente al sorgere del debito, “la consapevolezza da parte dei debitori del pregiudizio che mediante l’atto di disposizione venga in concreto arrecato alle ragioni del creditore”.

Ciò premesso, la Corte specificava in sentenza i seguente principi, ossia che:

  • a) come si deduce dal dettato dell’ 170 c.c., il soddisfacimento del creditore in via esecutiva, sui beni conferiti nel fondo patrimoniale, può essere realizzato laddove vi sia una relazione tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, “con la conseguenza che l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia” (da ultimo vd. Cass. Civ., sez. VI, 19/6/2018, n. 16176);
  • b) i bisogni della famiglia sono da intendersi non in senso restrittivo, ossia relativi alle necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia, bensì in senso lato, così da ricomprendervi anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia ovvero allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo, e al miglioramento del benessere (anche) economico della famiglia, concordato ed attuato dai coniugi, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (in senso conforme: Civ., sez. VI, 23/8/2018, n. 20998 e Cass. Civ., sez. VI, 19/2/2013, n. 4011);
  • c) infine, con riferimento ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, la circostanza che il debito sia sorto nell’ambito dell’impresa o dell’attività professionale non esclude che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia. Infatti, secondo la Corte, “risponde invero a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia”, dovendo quindi, il giudice di merito, accertare la relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto.

Di conseguenza, la Corte Suprema proseguiva poi chiarendo quale fosse l’onere probatorio relativo ai presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., specificando che chi intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale “deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

Tuttavia, gli ermellini precisavano che il suddetto vincolo opera esclusivamente nei confronti dei creditori che sono consapevoli “che l’obbligazione è stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia, ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea”, ma che, tale consapevolezza deve sussistere al momento del perfezionamento dell’atto da cui deriva l’obbligazione, potendosi, peraltro, fornirne prova dell’estraneità e della consapevolezza in argomento anche per presunzioni semplici.

Ciò comporta che per agire sul fondo patrimoniale è sufficiente provare che lo scopo dell’obbligazione era già noto al momento della relativa assunzione ed estraneo ai bisogni della famiglia.

Le censure alla Corte territoriale.

La Corte di Cassazione, una volta ricostruita la disciplinare del fondo patrimoniale, ponendo particolare attenzione all’onere probatorio, censurava la Corte d’Appello di Ancona, affermando che tale giudice aveva disatteso i suindicati principi laddove aveva affermato che non risultava essere stata fornita alcuna indicazione circa gli elementi o indizi o le presunzioni idonei a far ritenere che la stipulazione delle fideiussioni de quibus fosse stata diretta, immediatamente ed automaticamente, al soddisfacimento dei bisogni della propria famiglia, anziché a favorire lo svolgimento dell’attività societaria.

Inoltre, agli ermellini non risultava chiaro come la Corte avesse potuto ritenere che rispondesse all’id quod plerumque accidit il fatto che il professionista coniugato, nell’esercizio della propria attività professionale o imprenditoriale, di norma assuma debiti non già al fine del relativo espletamento, quanto, bensì, per direttamente ed immediatamente sopperire ai bisogni della famiglia.

Appare chiaro ai Giudici della Suprema Corte, invece, che le obbligazioni concernenti l’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale risultano, di norma, avere un’inerenza diretta ed immediata con le esigenze dell’attività imprenditoriale o professionale, e solo indirettamente e mediatamente possano, invece, “assolvere (anche) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (arg. ex art. 178 c.c. e art. 179 c.c., lett. d), se e nella misura in cui con i proventi della propria attività professionale o imprenditoriale il coniuge, in adempimento dei propri doveri ex art. 143 c.c., vi faccia fronte”, dovendo però essere dimostrato che, pur se posto in essere nell’ambito dello svolgimento dell’attività d’impresa o professionale, l’atto di assunzione del debito è eccezionalmente volto ad immediatamente e direttamente soddisfare i bisogni della famiglia.

Quindi, in conclusione, il Giudice di merito aveva omesso di valutare – dandone congruamente conto – l’aspetto relativo all’inerenza diretta ed immediata delle stipulate fideiussioni de quibus, con specifico riguardo alla causa concreta degli stipulati contratti di garanzia in argomento (da ultimo v. Cass. Civ., sez. VI, 10/6/2020, n. 11092; Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882); aveva omesso, altresì, di far comprendere se, al momento della stipulazione, la Banca fosse consapevole che la finalità del debitore fosse direttamente ed esclusivamente volto a tutelare i bisogni della famiglia, quand’anche latamente intesi, e non correlata all’esercizio della propria attività imprenditoriale.

La Corte dorica infine aveva indebitamente e del tutto immotivatamente imposto a carico del debitore un onere di “prova od allegazione su di una qualche diversa fonte di sostentamento della famiglia“, privo invero di fondamento alcuno, con conseguente violazione pertanto (anche) della regola di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.

Conclusioni

La Cassazione accoglieva quindi il ricorso del debitore-ricorrente, cassava la sentenza della Corte territoriale e rinviava la questione alla stessa Corte di merito, seppur in diversa composizione, così da farle riesaminare le questioni sottese al caso di specie alla luce dei principi indicati in sentenza.


[1]La costituzione del fondo patrimoniale, quindi, è disciplinata ai sensi degli artt.162-166 c.c., e, anche per essere opponibile ai terzi, deve essere stipulata in forma di atto pubblico e annotata a margine dell’atto di matrimonio. Inoltre può essere stipulata prima del matrimonio ovvero all’atto del matrimonio o, infine, durante lo svolgimento dello stesso.

[2]Tali sono ad esempio, le spese di gestione del fondo ovvero quelle volte al soddisfacimento del mènage domestico-familiare secondo le condizioni economiche e sociali della famiglia, ovvero quelle volte al mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, non ché al potenziamento della sua capacità lavorativa (Cass. Civ., sez. III, sentenza 11.07.2014, n. 15886). Non rientrano nel concetto di “bisogni della famiglia”, invece, tutte quelle obbligazioni assunte per finalità non meritevoli di tutela, ossia, ad esempio, i debiti derivanti da attività illecita ovvero contratti in virtù di una relazione extracontrattuale etc.

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