Com’è noto, in data 11 novembre 2019, sono state depositate simultaneamente (forse simbolicamente) numerose sentenze della Suprema Corte, in tema di responsabilità civile sanitaria e danno alla persona.
Si tratta di dieci sentenze della Corte di Cassazione (nn. 28985-28994) in tema di responsabilità sanitaria, che segnano una serie di passaggi chiave del sistema del danno da colpa medica.
Si tratta di un sistema che può essere definito di “system builder” (cioè di britannica ispirazione), in un afflato favorevole al danneggiato, ed in una situazione caratterizzata da ingiustificata carenza legislativa nello stesso sistema.
– I temi affrontati dalla sentenze
– Nuova giurisprudenza: le massime più rilevanti
– Analisi ragionata dei principi affermati
– Considerazioni conclusive
– La giurisprudenza successiva
I temi affrontati dalle sentenze
I temi esplorati riguardano:
- il consenso informato (sentenza n. 28985);
- la rivalsa o regresso della struttura verso il medico (n. 28987);
- il principio distributivo dell’onere probatorio nella responsabilità contrattuale sanitaria (nn. 28989, 28991, 28992 e, in parte la n. 28994);
- i limiti alla retroattività delle leggi Balduzzi e Gelli-Bianco (nn. 28990 e 28994);
- il danno differenziale da aggravamento della patologia preesistente (n. 28986);
- la liquidazione del danno nel sistema tabellare (n. 28988);
- il danno da perdita di chances (n. 28993).
Nuova giurisprudenza in materia di responsabilità medica: le massime più rilevanti
Si riportano d’appresso, alcune fra le massime più significative del nuovo orientamento.
Consenso informato e obbligo informativo gravante sul medico
Dall’inadempimento dell’obbligo informativo gravante sul medico possono derivare le seguenti situazioni:
- A) omessa/insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute per condotta colposa del medico: se il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento, nelle medesime condizioni, “hic et nunc”, sarà risarcibile il solo danno alla salute, nella sua duplice componente, morale e relazionale; –
- B) omessa/insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute per condotta colposa del medico: se il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento, sarà risarcibile anche il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione;
- C) omessa informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) per condotta non colposa del medico: se il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento, saranno risarcibili il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione (sul piano puramente equitativo) e il danno alla salute, da valutarsi in relazione all’eventuale situazione “differenziale” tra il maggior danno biologico conseguente all’intervento e il preesistente stato patologico invalidante;
- D) omessa informazione in relazione a un intervento che non ha cagionato un danno alla salute: se il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento, nessun risarcimento sarà dovuto;
- E) omessa/inadeguata diagnosi che non ha cagionato un danno alla salute del paziente, ma gli ha impedito di accedere a più accurati e attendibili accertamenti: se il paziente allega che dall’omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli sono, comunque, derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, salva possibilità di provata contestazione della controparte, sarà risarcibile il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione. Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n. 28985
Rivalsa o regresso della struttura verso il medico
La casa di cura che ha risarcito l’intero danno al paziente danneggiato dalla condotta inadempiente del medico non dipendente, per fatti antecedenti l’entrata in vigore della Legge Gelli, potrà agire in via di regresso solo fino alla metà di quanto pagato ma non per l’intero, tranne il caso eccezionale di interruzione del nesso causale tra condotta del professionista e le obbligazioni della struttura. Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n. 28987
Danno derivante da perdita o lesione del rapporto parentale
In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d’appello che – in parziale riforma della pronuncia di primo grado – aveva erroneamente liquidato una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale soggettivo patito dai congiunti della vittima deceduta in aggiunta ad un ulteriore importo a titolo di danno morale). Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28989
Liquidazione equitativa del danno non patrimoniale
La legge Balduzzi e la legge Gelli-Bianco, nella parte che dispongono l’applicazione, nelle controversie concernenti la responsabilità per esercizio della professione sanitaria, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le Tabelle elaborate in base agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni trovano diretta applicazione in tutti i casi in cui il giudice sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul quantum. Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28990
Aggravamento di lesione preesistente
In ipotesi di aggravamento di lesione preesistente, l’interprete, al fine di accertare la sussistenza del danno biologico e la sua conversione in moneta, deve procedere con il seguente percorso logico:
- lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata;
- la concausa di lesioni è giuridicamente irrilevante;
- la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;
- saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;
- le menomazioni coesistenti sono di norma irrilevanti ai fini della liquidazione; nè può valere in ambito di responsabilità civile la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse;
- le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:
- a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;
- b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;
- c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a);
- resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove l’applicazione rigida del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto. Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28986
Danno permanente alla salute
In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e la attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
In presenza di un danno permanente alla salute – infatti – la misura standard del risarcimento previsto dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema cosiddetto “del punto variabile”) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Le conseguenze dannose – in particolare – da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28988
Perdite di chance a carattere non patrimoniale
In tema di lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria, la perdita di chance a carattere non patrimoniale consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale (la maggiore durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze) conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile (da liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza di una perdita di chance rilevando che, anche in caso di corretta esecuzione della prestazione sanitaria, la possibilità di sopravvivenza della paziente era talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini probabilistici). Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28993
Analisi (ragionata) dei principi affermati
La personalizzazione del risarcimento (la sentenza della Cassazione n. 28988).
La personalizzazione è ammessa se le conseguenze dannose sofferte siano straordinarie ed eccezionali, poiché quelle ordinarie sono già coperte dalla valutazione tabellare.
La Corte fornisce i seguenti criteri per un inquadramento dogmatico delle varie fattispecie che possono verificarsi:
- se la vittima conservi il reddito, ma lavori con maggior pena (cd. “cenestesi lavorativa”), si tratta di un danno non patrimoniale, da liquidare personalizzando in aumento la valutazione tabellare;
- se la vittima abbia perso – in tutto o in parte – il proprio reddito da lavoro, si tratta di un danno patrimoniale da lucro cessante, da liquidare in base alle regole di questa categoria concettuale;
- se la vittima non aveva un lavoro, e non potrà più averlo a causa del sinistro, anche in questo caso si tratta di danno patrimoniale da lucro cessante, con la precisazione che non può applicarsi il criterio del triplo della pensione – oggi assegno – sociale, poiché l’art 137 del Codice delle Assicurazioni (d.lg. n. 209/2005) è norma eccezionale (rectius: speciale) applicabile soltanto nell’ambito dell’azione diretta contro l’assicuratore.
La sentenza in tema di “consenso informato” (la n. 28985) ha, dal canto suo, delineato in particolare i margini di inquadramento e di risarcibilità in materia di consenso informato quanto alle cure mediche e farmacologiche ed alla violazione del principio di autodeterminazione.
Quanto in particolare alla regolazione del principio inerente l’onere probatorio, la Corte ha chiarito che il paziente, che alleghi l’inadempimento del sanitario sarà onerato della prova del nesso causale. Il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità / opportunità dell’intervento non corrisponde all’id quod plerumque accidit, anche se tale prova potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il cd. “notorio”, le massime di esperienza e le presunzioni.
La sentenza n. 28986 del Supremo Giudice si esprime sul cd. aggravamento differenziale, che si verifica quando l’errore medico incida su una realtà del paziente già funestata dalla patologia curata dal sanitario. Il medico potrà rispondere unicamente dell’aggravamento causato dal suo errore. Il criterio affermato dalla Corte è in particolare “la differenza fra il valore monetario del grado di invalidità permanente di cui la vittima era già portatrice prima dell’infortunio (60 %) ed il grado di invalidità permanente residuato all’infortunio (66,5%)”, sicché “la sottrazione (ai fini del calcolo del danno) deve essere operata non già tra i diversi gradi di invalidità permanente, bensì tra i valori monetari previsti in corrispondenza degli stessi”. Il criterio è quello della causalità giuridica; si vuole evitare che delle preesistenze di finisca per tenere conto due volte: prima dal medico-legale e poi dal giudice, quando determina il criterio di monetizzazione dell’invalidità. Quindi il medico legale deve stimare, con duplice valutazione: l’invalidità permanente effettiva del soggetto a seguito dell’incidente, comprendente anche le patologie pregresse; l’ideale grado di invalidità pre infortuni. Il quantum debeatur crescerà in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi.
La sentenza n. 28991 si sofferma poi sull’onere della prova del nesso causale. L’onere incombe sul paziente-creditore, che può assolverlo anche attraverso presunzioni. Una volta assolto detto onere, è il debitore/medico che deve provare che l’esatta esecuzione della prestazione sia stata impossibile per una causa imprevedibile ed inevitabile. Emerge, così, un duplice “ciclo causale”.
La ripartizione dell’onere risarcitorio fra struttura e medico (n. 28987)
La Cassazione, con tale sentenza, rigetta il ricorso della Clinica richiamando la nozione di “rischio di impresa” della struttura che, a quantunque titolo, si vale di operatori sanitari. La ripartizione interna dell’onere risarcitorio tra struttura e medico, va effettuata in pari quota ai sensi degli artt. 1298 e 2055 c.c., salva la prova dell’assorbente responsabilità del medico, intesa come grave, straordinaria, soggettivamente imprevedibile ed oggettivamente improbabile malpratice.
Altro tema è quello affrontato dalla sentenza n. 28994, che ha affermato la non retroattività dell’art. 7 della legge Gelli-Bianco, nella parte in cui colloca la responsabilità del sanitario nel contesto extracontrattuale, profilo più favorevole, notoriamente al medico che dunque potrà giovarsene solo per i fatti successivi all’aprile del 2017.
Quanto alla sentenza n. 28990, quest’ultima afferma che le tabelle di legge – articoli 138 e 139 c.d.a. – debbano essere applicate anche ai sinistri antecedenti alla legge.
Venendo quindi alla sentenza n. 28993, essa concerne il cd. danno da perdita di chances, riconoscendo il risarcimento solo alle situazioni in cui l’errore clinico abbia inciso sulle possibilità reali di un miglioramento non conseguito. Si legge in un passaggio della pronuncia che “non potrà più il danno da perdita di chances essere richiesto quale pregiudizio occultato in una sorta di “effetto matrioska” nelle viscere del danno alla salute, dalle quali riemerga quando non si riesca a raggiungere la prova del nesso causale rispetto alla lesione di quest’ultimo”. Quindi, la perdita di chances soggiace alle stesse regole della responsabilità civile e non costituisce più una “zona franca” di ripiego. La chance de survivre in particolare comporta un danno incerto, che si ha quando le conclusioni del CTU depongano per una insanabile incertezza rispetto all’eventualità della maggior durata della vita e/o di minori sofferenze. In tal caso il danno va liquidato non necessariamente quale “frazione eventualmente percentualistica del danno finale”.
Sul danno da morte (n. 28989).
Ammissibile è, in questo caso, il ricorso alla prova presuntiva in tutti i casi in cui il legame famigliare debba considerarsi sufficientemente intenso da giustificare la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale, espressamente nominando le figure del coniuge, del convivente more uxorio, del figlio, del genitore, della sorella, del fratello, del nipote (!), dell’ascendente, dello zio, e financo del cugino. Con possibilità di provare un rapporto affettivo anche fra parenti più lontani o fra soggetto non legati da vincoli di sangue.
Considerazioni ulteriori di sintesi
Si assiste con simili sentenze ad un fenomeno di importante e decisiva “rivisitazione” delle regole del risarcimento del danno, delineandosi un quadro complessivo nuovo.
Al momento dell’emanazione, il legislatore peraltro non aveva ancora dato attuazione alla legge 24/2017 e promulgato le tabelle per le menomazioni di non lieve entità attese dal 2001.
Le sentenze vanno lette secondo l’ “impalcatura complessiva”.
Le sentenze si riferiscono:
- alla responsabilità sanitaria (nn. 28985, 28987, 28989, 28991, 28990, 28994);
- al danno alla persona (nn. 28986, 28988, 28993).
Si sancisce l’applicabilità a tutte le cause, in corso e future, delle tabelle della RCA.
Si statuisce l’irretroattività delle norme sostanziali della legge 24/2017, ponendo fine ai contenziosi sul punto.
Sancisce la S.c. la nuova declinazione delle preesistenze, con conseguente allargamento della base di conversione monetaria del danno, inerente il danno per le menomazioni di maggiore gravità.
Ciò viene controbilanciato dall’affermazione secondo cui la misura standard del risarcimento del danno biologico può essere aumentato solo in ragione di danni del tutto anomali o peculiari.
Nel 2020 e negli anni successivi il Sommo Giudice dovrà ovviamente ed all’evidenza intervenire per chiarire le conseguenze dei principi affermati.
Si segnala ancora una volta, l’importante regola in tema di consenso informato: l’omessa acquisizione di un consenso idoneo informato, ove il paziente dimostri che avrebbe rifiutato (se debitamente informato) il trattamento, comporta responsabilità per tutti i danni conseguenti, incluso il danno biologico ed il danno da lesione dell’autodeterminazione.
Viene affermata dunque la piena ed autonoma risarcibilità del danno da lesione dell’autodeterminazione. Non solo: viene ritenuto risarcibile tutto il danno biologico legato all’atto sanitario, anche quello eseguito correttamente secondo l’arte medica e andato pressoché a buon fine.
E’ onere del danneggiato dimostrare, con ogni mezzo, che se debitamente informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento.
In tema di danno da perdita di chance: la ricitata sentenza n. 28993 definisce la chance come una perdita apprezzabile, seria e consistente della possibilità della possibilità di un risultato sperato (per esempio: la sopravvivenza). Si distingue dal caso in cui il danno combaci con il mancato risultato sperato: morte sopravvenuta prima di quanto ragionevolmente atteso.
V’è poi la precisazione che il risarcimento della perdita di chance non patrimoniale (rectius: del conseguimento di un risultato non patrimoniale) “non potrà essere proporzionale al risultato perduto, ma commisurato, in via equitativa alla possibilità perduta di realizzarlo”. Il che lascia presagire che vi saranno ulteriori interventi della Suprema Corte sul punto.
La giurisprudenza successiva
Confermano le sentenze di San Martino le sentenze della Suprema Corte successive, di cui mette conto evidenziare un breve excursus:
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, il paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie, una paziente di un centro odontoiatrico aveva agito nei confronti dello stesso nonché del direttore sanitario lamentando che le cure ricevute si erano rivelate errate al punto da peggiorare, anziché risolvere, i problemi). Cassazione civile sez. III, 26/02/2020, n.5128
Il d.l n. 158 del 2012, art. 3, comma 3, (legge Balduzzi) come convertito dalla l. n. 189 del 2012, trova diretta applicazione anche in tutti i casi in cui il Giudice sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite del giudicato interno sul quantum. Non risulta, infatti, ostativa la circostanza che la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno si sia prodotto, anteriormente all’entrata in vigore della già richiamata legge; né può configurarsi una ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti coinvolti nei giudizi pendenti e i soggetti di giudizi definiti, atteso che solo la formazione del giudicato preclude una modifica retroattiva della regola giudiziale. Cassazione civile sez. III, 21/01/2020, n.1157
Nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. non è sufficiente dimostrare che l’evento dannoso per il paziente costituisca una complicanza, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione – indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell’iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile – priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi a un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da Integrare gli estremi della causa non imputabile. Cassazione civile sez. III, 08/01/2020, n.122
In tema di responsabilità sanitaria, qualora sia proposta una domanda risarcitoria nei confronti di una struttura ospedaliera e di un suo ausiliario allegando la colpa esclusiva di quest’ultimo, il giudice non è rigidamente vincolato alle iniziali prospettazioni dell’attore, stante l’inesigibilità della individuazione “ex ante” di specifici elementi tecnico-scientifici, di norma acquisibili solo all’esito dell’istruttoria e dell’espletamento di una c.t.u., potendo pertanto accogliere la domanda nei confronti della struttura in base al concreto riscontro di profili di responsabilità diversi da quelli in origine ipotizzati, senza violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Cassazione civile sez. III, 10/12/2019, n.32143