A cura di: Filomena Passamano e Italo Iafanti – La legge del 20 maggio 2016 n. 76 nasce in seguito a numerose sollecitazioni da parte delle Corti internazionali. La prima pronuncia sfavorevole all’Italia, infatti, risale al 2015 quando la Corte Europea di Strasburgo, con la nota sentenza sul caso Oliari e altri c. Italia, condanna l’Italia per la mancata previsione da parte del legislatore di una legge volta a tutelare le unioni tra persone dello stesso sesso.
Con il presente elaborato si analizzano, oltre gli elementi essenziali della normativa italiana, le due più importanti sentenze della Corte Europea dei diritti umani e della Corte di giustizia dell’Unione Europea.
La riforma
La progressiva apertura dei legislatori degli Stati membri dell’Unione Europea al matrimonio tra persone dello stesso sesso ha portato la dottrina a interrogarsi sulla riconoscibilità di tali matrimoni negli Stati membri che non prevedono forme di unione di tal genere o che prevedono unicamente tipologie di unione tra persone dello stesso sesso differenti dal matrimonio[1].
Come è noto, in Italia si è giunti definitivamente ad una legge atta a tutelare le unioni tra persone dello stesso sesso solo nel 2016 con la legge n. 76. Essa è frutto di un iter parlamentare iniziato nei primi anni 80 del secolo scorso e conclusosi dopo circa trent’anni di lavori, alternati a lunghe pause dovute a cambiamenti di maggioranza parlamentare. Solo dopo numerose condanne da parte della Corte di Strasburgo e numerose sollecitazioni della Corte Costituzionale, il 20 maggio 2016 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale come legge n. 76/2016.
La legge introduce ex novo nell’ordinamento italiano l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e regola la convivenza sia tra persone eterosessuali che omosessuali.
Si tratta di una riforma storica che può paragonarsi all’introduzione del divorzio negli anni Settanta del secolo scorso, sia per quel che riguarda la tutela di fondamentali diritti civili, sia per la sua rilevanza sistematica all’interno della disciplina complessiva del matrimonio e della famiglia. Da un lato, infatti, la riforma garantisce il diritto delle coppie dello stesso sesso al riconoscimento formale della loro unione con i connessi diritti e doveri, dall’altro porta a compimento quel passaggio dalla «famiglia» alle «famiglie», tale per cui alla famiglia fondata sul matrimonio si affiancano altri tipi di famiglie, diverse, ma anch’esse meritevoli di tutela secondo l’orientamento[2].
Per anni, infatti, si è discusso se fosse giusto equiparare il matrimonio al nascente istituto, in quanto, una parte della dottrina riteneva che, nel momento in cui l’unione civile fra persone dello stesso sesso venisse posta sullo stesso piano del matrimonio, questo perdeva la sua posizione di preminenza[3].
L’introduzione di questo nuovo istituto è stato imposto dai dicta della Corte Costituzionale e dalla Corte Europea dei diritti umani. Infatti, prima di giungere al testo definitivo, durante la lunga discussione in Commissione di giustizia, anche la Corte Europea di Strasburgo si è pronunciata nel luglio del 2015 con la nota sentenza sul caso Oliari e altri c. Italia[4], condannando l’Italia per la mancata previsione da parte del legislatore, nonostante i numerosi solleciti delle sue superiori Corti, di un istituto giuridico diverso dal matrimonio che riconoscesse una relazione tra persone dello stesso sesso, poiché́ la carenza di riconoscimento giuridico delle dette unioni determinava una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare come enunciato dall’articolo 8 della Convenzione[5].
I precedenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea dei diritti umani
È opportuno specificare che né la Corte Europea dei diritti umani, né la Corte di giustizia dell’Unione Europea si sono mai pronunciate in maniera tassativa a favore o no delle unioni civili, ritenendo questi argomenti una scelta esclusiva dei singoli Stati.
Entrambe le Corti, però, nel corso degli anni si sono pronunciate con sentenze di indirizzo. La Corte Europea dei diritti umani, infatti, dopo aver incluso le unioni tra persone dello stesso nella nozione di vita familiare all’articolo 8 CEDU[6] e aver ricondotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso all’articolo 12 CEDU[7], nella nota sentenza Oliari e altri c. sottolinea l’incompatibilità della disciplina italiana con i principi enunciati dalla Convenzione.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea, invece, si è pronunciata circa le unioni tra persone delle stesso sesso solo nel 2018 con la sentenza Coman in cui si affronta per la prima volta la questione del significato del termine «coniuge» in relazione alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e al riconoscimento familiare.
Si tratta di una decisione che ha affermato in modo netto che, seppure nello specifico e limitato contesto della libera circolazione dei cittadini Ue, la persona extracomunitaria e omosessuale, marito o moglie che sia di un cittadino o di una cittadina Ue, gode degli stessi diritti di un qualsiasi altro coniuge.
Nell’occasione gli eurogiudici hanno da un lato riconosciuto la facoltà degli Stati membri di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, ma dall’altro hanno precisato che tale discrezionalità non può arrivare sino ad ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino Ue rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un Paese extra-Ue, un diritto di soggiorno derivato sul loro territorio[8].
Nel caso specifico, la sentenza riguardava due coniugi, uno di nazionalità rumena, Relu Adrian Comane, e uno di nazionalità statunitense, Robert Clabourn Hamilton, che dopo quattro anni di convivenza si erano sposati a Bruxelles nel 2010. Nel 2012 i coniugi avevano fatto richiesta alle autorità rumene per far ottenere al cittadino statunitense il diritto di soggiornare legalmente in Romania per un periodo superiore a tre mesi. Tale richiesta si basava sulla direttiva 2004/38/CE[9], ovvero sull’esercizio della libertà di circolazione che consente al coniuge di un cittadino UE che abbia esercitato tele libertà di raggiungere il coniuge nello Stato membro in cui soggiorna.
La giurisprudenza nelle corti europee
Le autorità rumene, invece, avevano affermato che il cittadino statunitense poteva ottenere solo il permesso di soggiorno di tre mesi, visto che non poteva essere qualificato come «coniuge» di un cittadino Ue, in quanto la Romania non riconosce i “matrimoni” tra persone dello stesso sesso. I due coniugi hanno perciò presentato un ricorso volto a far dichiarare l’esistenza di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, almeno sotto il profilo dell’esercizio del diritto di libera circolazione nell’Unione.
La Corte costituzionale rumena, investita di un’eccezione d’incostituzionalità sollevata nell’ambito di tale controversia, ha perciò ritenuto opportuno rivolgersi alla Corte di Giustizia per chiederle se il sig. Hamilton (cittadino statunitense) rientrasse nella nozione di «coniuge» di un cittadino dell’Unione che ha esercitato la sua libertà di circolazione e debba ottenere di conseguenza la concessione di un diritto di soggiorno permanente in Romania.[10]
Casi simili sono stati già posti all’attenzione dei vari Tribunali italiani che sono giunti alla medesima conclusione della Corte di giustizia dell’Unione Europea.
Un esempio significativo è la pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia che con una sentenza pronunciata nel 2012 concedeva ad un cittadino uruguayano, dopo aver contratto matrimonio con un cittadino italiano in Spagna e aver fatto richiesta di registrazione dello stesso anche in Italia, il permesso di soggiorno e la registrazione del matrimonio contratto all’estero.
Per quanto riguarda la nozione di «coniuge» utilizzata dalla direttiva 2004/38, la Corte evidenzia per la prima volta come detta nozione vada interpretata in modo autonomo, cioè includa sia il matrimonio tra persone delle stesso sesso, sia il matrimonio tra persone di sesso diverso, affidando così al termine un significato neutro.
La Corte Europea ha poi affermato che anche se gli Stati membri non autorizzano il matrimonio tra persone dello stesso sesso, essi non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al suo coniuge, cittadino di un paese non UE, un diritto di soggiorno derivato sul loro territorio.
Con la direttiva 2004/38 la Corte ha voluto disciplinare solo le condizioni di ingresso e di soggiorno di un cittadino dell’Unione europea negli Stati membri diversi da quello di cui egli ha la cittadinanza e non consente di fondare un diritto di soggiorno derivato a favore dei cittadini di uno Stato non-UE, familiari di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possieda la cittadinanza[11].
È opportuno però evidenziare che con la sentenza Codam la Corte di giustizia dell’Unione Europea non dichiara espressamente il riconoscimento dell’unione tra persone dello stesso sesso. Infatti, la Corte ha fatto riferimento al matrimonio tra persone dello stesso sesso non sotto il profilo fisiologico, bensì sotto il profilo dell’efficacia necessaria a legittimare una situazione giuridica in ordine al ricongiungimento familiare indiretto[12].
Accertato che il rifiuto di riconoscere il ricongiungimento familiare con il coniuge dello stesso sesso è atto ad ostacolare le libertà di circolazione, la Corte si chiede poi se detto ostacolo possa essere giustificato sulla base di motivi di interesse generale, e in particolare sulla base dell’esigenza di tutelare l’ordine pubblico e l’identità nazionale.
Nel negare che dette esigenze possano giustificare la limitazione della libertà di circolazione del cittadino dell’Unione, la Corte da un lato tenta di precisare i limiti della nozione di identità nazionale, dall’altro sottolinea il legame esistente tra limiti alle libertà di circolazione e tutela dei diritti fondamentali[13].
Conclusioni
In conclusione, i giudici europei affermano che una misura nazionale idonea a ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea di cui la Corte di Giustizia garantisce il rispetto.
[1] Cfr. G.Rossolillo, Corte di giustizia, matrimonio tra persone dello stesso sesso e diritti fondamentali: il caso Coman, 8 luglio 2018.
[2] G. Ferrando, Matrimonio e unioni civili: un primo confronto, aprile 2017, pubblicato su Il Mulino.
[3] Cfr. F. Vari, Commissione giustizia della Camera: «equiparazione a mio avviso si pone in contrasto con il disegno costituzionale in materia di famiglia, in particolare con gli articoli 29 e 31. Non vi tedio con una lunga analisi del testo costituzionale, però è noto che la Costituzione assegna alla famiglia fondata sul matrimonio una posizione di preminenza. Emerge da tutto il tessuto costituzionale degli articoli 29, 30, 34, 36 e 37 come in Costituzione sia ravvisabile un favor nei confronti del matrimonio e della famiglia. Questo favor, a mio avviso, è intaccato nel momento in cui l’unione civile viene posta, con riferimento ai diritti sociali, sullo stesso piano della famiglia», Audizione del prof. Filippo Vari, professore di diritto costituzionale presso l’Università europea di Roma – Camera dei Deputati.
[4] «La Corte di Strasburgo con decisione del 21 luglio 2015 sul caso Oliari e altri c. Italia, ha condannato l’Italia per la mancata previsione da parte del legislatore, nonostante i numerosi solleciti delle sue superiori Corti, di un istituto giuridico diverso dal matrimonio che riconosca una relazione tra persone dello stesso sesso, poiché la carenza di riconoscimento giuridico delle dette unioni determina una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare come enunciato dall’articolo 8 della Convenzione», É definitiva la sentenza Oliari: si apre la via per nuovi ricorsi a valanga, 29 ottobre 2015, Articolo29.
[5] «… la Corte Europea ha affermato la violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, condannando il nostro Paese a risarcire simbolicamente il danno patito con l’importo di € 5.000,00, oltre imposte, per ognuno dei ricorrenti, cui vanno aggiunte le spese di lite (liquidate in caso congiuntamente in € 4.000,00 ed in un altro caso in € 10.000,00)». È definitiva la sentenza Oliari: si apre la via per nuovi ricorsi a valanga, reperibile in Articolo29.it, 29 ottobre 201
[6] Articolo 8 CEDU, comma 1: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza».
[7] Articolo 12 CEDU: «A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto».
[8] Per alcune espressioni: C. Bovino, Matrimonio gay, Corte Ue: nozione di coniuge comprende anche omosessuali, 7 giugno 2018, pubblicato su Altalex.
[9] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
[10] Per alcune espressioni: C. Bovino, Matrimonio gay, Corte Ue: nozione di coniuge comprende anche omosessuali, 7 giugno 2018, pubblicato su Altalex.
[11] C. Bovino, Matrimonio gay, Corte Ue: nozione di coniuge comprende anche omosessuali, 7 giugno 2018, pubblicato su Altalex.
[12] Cfr. intervento del prof. Buonomenna durante il Corso di alta formazione specialistica in “La protezione dei diritti fondamentali nello spazio giudiziario europeo”.
[13] Cfr. G.Rossolillo, Corte di giustizia, matrimonio tra persone dello stesso sesso e diritti fondamentali: il caso Coman, 8 luglio 2018.
A tal proposito cfr. le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea: Sayn-Wittgenstein e Runevič Vardyn.