“Dove un superiore pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro.”[1]
È trascorso più di un secolo, da quando Filippo Turati in occasione di un discorso tenuto presso la Camera dei Deputati nel 1908, coniò la metafora secondo cui la Pubblica Amministrazione deve essere come una “Casa di Vetro”.
L’aspirazione di Turati era quella di fissare le basi di un agire chiaro e corretto, rectius trasparente dell’agire dell’amministrazione pubblica, il cui involucro deve essere vitreo, cioè tale che al suo interno sia tutto costantemente e quotidianamente visibile.
Anticipando di quasi quarant’anni i risultati della Costituzione Repubblicana, Turati aveva individuato i motivi della sproporzione dei rapporti tra pubblico e privato.
La pubblica amministrazione, in origine era chiusa nei suoi meandri e restìa ad interagire con l’altra parte, quella “debole”. La concezione di derivazione ottocentesca, implicava un rapporto di mutua alternanza e di singolare esclusione tra pars publica e pars privata.
Fino alla metà del XIX secolo, l’amministrazione identificava infatti le sue funzioni con le prerogative “sovrane”.
Solo più tardi, si afferma quello spazio istituzionale proprio dell’amministrazione che con il passare del tempo conduce ad un progressivo, lento, ma inarrestabile avvicinamento tra parte pubblica e parte privata che costituiscono due poli separati in contrapposizione, a causa della superiorità dell’uno sull’altro[2].
È nell’ambito di questa revisione del tradizionale modello dei rapporti tra amministrazione e amministrati che si colloca la metafora plastica della trasparenza ideata da Turati fondamentale per “colmare la fossa”[3] e riequilibrare il rapporto sproporzionato tra governanti e governati.
Dall’esigenza di conoscere, si assiste all’evoluzione della regola tratteggiata nel 1908, con la precisazione secondo cui “non c’è trasparenza senza semplificazione” che non deve essere solo normativa, ma anche strutturale con riferimento al numero di P.A.[4]
Diventa allora punto di riferimento la rotta tracciata più di cent’anni fa da Enaudi per semplificare e ridurre la legislazione e assicurare il fine ultimo dell’eguaglianza tra Stato e cittadino,[5] affinchè il secondo possa prendere contezza del modus operandi dell’amministrazione, tentando quantomeno di trovare un possibile espediente per mettersi in salvo dall’asfissia causata dalla caotica stratificazione normativa.
Il segreto e la trasparenza tra eccezione e regola
Se la trasparenza costituisce la regola, il segreto è l’altro volto dell’attività amministrativa, legato ad una visione egemonica del potere pubblico.
Il segreto d’ufficio è stata la regola per lungo tempo vigente che permetteva all’amministrazione di agire indisturbata in una vasta “zona grigia” perseguendo esclusivamente i propri interessi. Si riteneva, infatti, che attraverso il segreto amministrativo potesse essere meglio tutelato l’interesse sostanziale, di natura pubblica, all’efficienza della P.A.[6]
Il completo disconoscimento dei principi di pubblicità e trasparenza, tuttavia, sfociava nella violazione degli artt. 21, 24 e 97 della Carta costituzionale che riconoscono rispettivamente la libertà di espressione e perciò anche il diritto ad essere informati; il diritto di difesa, pregiudicato dall’impossibilità di conoscere la portata eventualmente lesiva di un provvedimento prima che venga adottato e dunque di partecipare all’istruttoria amministrativa e il principio efficientistico del buon andamento della P.A.[7]
Pertanto l’apertura ai valori pubblicistici e costituzionali ha capovolto quest’impostazione iniziale, inaugurando la regola generale della libertà di accesso ai documenti amministrativi, seppure con alcune eccezioni.
La legge n. 241/1990 al primo comma dell’art. 24 esclude dal diritto di accesso “i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
La norma prosegue prevedendo che “l’accesso è escluso nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi”.
Limiti al segreto ed esclusione dal diritto di accesso
Vi sono dei limiti al segreto e perciò all’esclusione dal diritto di accesso.
In primo luogo il segreto può operare soltanto in un rapporto di stretta connessione tra informazioni contenute nel documento e gli interessi ritenuti dalla legge particolarmente rilevanti.
Il quinto comma dell’art. 24, pone altresì un limite temporale del segreto: “le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso”.
Infine un ulteriore limite riguarda il cosiddetto diritto di difesa per la cura o difesa degli interessi giuridici del richiedente ex art. 24, comma 7 Cost. che giustifica la deroga alla regola di esclusione dal diritto di accesso sancita dalla disposizione in commento.[8]
La giurisprudenza amministrativa ha precisato che il diritto alla riservatezza recede di fronte al diritto di accesso, qualora quest’ultimo sia esercitato per la tutela di interessi giuridici del richiedente.[9]
Una volta “usciti dal segreto”, quattro sono i passaggi fondamentali in cui si concretizza la trasparenza amministrativa: conoscenza, conoscibilità, comprensione e controllo.
“Se si vuole che i cittadini possano esercitare la propria sovranità anche nei confronti dell’amministrazione si tratta allora di affermare il diritto a comprendere, non solo a conoscere. Il diritto a conoscere, ossia ad essere informati, è ormai riconosciuto sotto forma di affermazione generalizzata del principio della pubblicità dell’azione amministrativa.”[10]
Si tratta della condizione di coloro che vogliono conoscere la verità, affinché l’uomo stesso non rimanga segregato nell’oscurità perché prigioniero di una caverna, rinchiuso e incatenato nel mondo delle ombre e delle apparenze, ma possa “vedere la luce” e perciò procedere alla scoperta della realtà delle cose che lo circondano: “- Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in sé stesso, nella ragione che gli è propria […].[11]
[1] F. TURATI, Atti del Parlamento italiano, Camera dei Deputati, sessione 1904-1908, 17 giugno 1908
[2] S. CASSESE, La formazione dello Stato Amministrativo, Milano, Giuffrè, 1974, p. 11 e ss.
[3] L’espressione plastica è di M.S. GIANNINI, apparsa per la prima volta in Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, 1986, p. 202
[4] Per una visione di più ampio respiro, M. BARBIERI, F. TALAMO, Lo Stato aperto al pubblico, 2014, p. 114 e ss.
[5] G. M. ESPOSITO, Il sistema amministrativo tributario italiano, Vicenza, Cedam, 2017, p. XVII e ss.
[6] Si rinvia alla fondamentale opera di G. ARENA, Il segreto amministrativo, Profili storici e sistematici, 1983, p. 5 e ss.
[7] A. L. MAGLIUOLO, Trasparenza e Pubblicità nell’azione amministrativa, in Riv. tel. di dir., 2018
[8] M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, 2017, p. 223 e ss.
[9] Si è così pronunciato il Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 2975/2008
[10] G. ARENA, Le diverse finalità della trasparenza amministrativa, in Merloni, La Trasparenza amministrativa, 2003, p. 37
[11] PLATONE, La Repubblica, in G. PRETEROSSI, Potere, 2007, p. 9 e ss.