Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 13661 del 21 maggio 2019, hanno affrontato l’annoso tema del rapporto tra giudizio civile risarcitorio e giudizio penale, chiarendo l’interrogativo sollevato, con ordinanza interlocutoria n. 27716 del 2018, dalla III Sezione civile della Cassazione.
Quest’ultima poneva l’interrogativo se dopo l’esaurimento di un procedimento penale, venga proposta azione civile, volta al risarcimento dei danni, sia necessaria la sospensione del procedimento civile, anche laddove non sussista coincidenza tra le parti del procedimento civile e processo penale, ma vi sia una connessione oggettiva delle domande presentate in sedi differenti.
Il caso in esame
Nel caso di specie, nel processo penale per la morte causata da incidente stradale, si costituiscono parte civile (solo) i fratelli della vittima e il Tribunale di Bergamo con sentenza del 16 febbraio 2016, condanna in primo grado il proprietario-conducente del veicolo alla reclusione e al risarcimento del danno morale.
In data 13 ottobre 2016 è intentata azione civile presso il Tribunale di Milano da parte di moglie, figli, il padre della vittima (nel frattempo deceduto) nonché da due fratelli della vittima non iure proprio ma come eredi del padre, volta al risarcimento dei danni non solo nei confronti del danneggiante ma anche della sua compagnia assicurativa.
Il Tribunale di Milano con ordinanza, dispone la sospensione del procedimento civile ai sensi degli artt., 295 c.p.c. e 75 ult.,comma c.p.p., in quanto proposta azione civile dopo la sentenza penale di primo grado del Tribunale di Bergamo.
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano viene proposto riscorso in Cassazione da parte di moglie e figli della vittima, atteso che la sospensione del procedimento civile ex art. 75 cpp, andrebbe pronunciata laddove la domanda civile sia proposta dagli stessi soggetti costituitisi parte civile nel procedimento penale.
Nel caso di specie, i ricorrenti sollevano la non sussistente coincidenza, tra coloro che hanno formulato domanda civile nel processo civile, ossia moglie e figli, sia in proprio sia con la spendita del nonno-padre della vittima, e coloro costituitisi parte civile nel procedimento penale, i fratelli. Inoltre si rileva, come la domanda civile sia stata formulata nei confronti del conducente-danneggiante del veicolo sia della impresa assicuratrice della responsabilità civile; peraltro la costituzione di parte civile nel processo penale è stata spiegata iure proprio solo dai fratelli della vittima e non anche dagli atri congiunti che hanno proposto giudizio civile risarcitorio ed inoltre, gli stessi lo hanno intentato solo nei confronti dell’imputato-conducente, non anche della compagnia assicuratrice per R.C. auto, convenuta invece nel giudizio civile.
Pertanto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affrontato un rilevante e non facile quesito, se il giudizio civile doveva sospendersi per tutti i litisconsorti, oppure se la predetta sospensione operava solo nei confronti del conducente-imputato in relazione all’azione risarcitoria, o addirittura non operava affatto.
Il quadro normativo
Il danno prodotto da un fatto può valere sia come illecito civile che penale. Ed è proprio tale duplice aspetto ad innescare la problematica tra il giudizio risarcitorio civile e il processo penale.
Il nostro sistema ordinamentale con il codice di procedura penale del 1930, si improntava all’unitarietà della giurisdizione e della preminenza del giudizio penale sul giudizio civile.
Con l’entrata in vigore nel 1988 del nuovo codice di procedura penale, il legislatore apre la strada ad un mutamento evidente in relazione al giudizio civile (amministrativo) per le restituzioni e il risarcimento del danno conseguenti al reato che nel sistema previgente non sarebbe mai potuto procedere autonomamente dal processo penale, pertanto il legislatore apre alla possibilità che un giudizio civile e penale scorrano su binari paralleli, potendosi concludere con giudicati tra loro contraddittori.
L’art. 75 cpp, regola i rapporti tra azione civile e azione penale, e gli artt., 651, 652 e 654 cpp completano e arricchiscono lo schema legislativo, circa l’efficacia della sentenza penale. In particolare gli artt., 651 e 652 cpp in merito al giudizio risarcitorio, introducono la possibilità di giungere a giudicati contraddittori.
Appare necessario fare chiarezza circa i principi sottesi all’esercizio dell’azione civile nel procedimento penale. In dettaglio, l’azione civile non può essere contemporaneamente proposta sia in sede civile che penale e la stessa se esercitata nel processo penale è facoltativa; l’azione civile risarcitoria, qualora non vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale può e deve procedere autonomamente, non essendo consentita la sospensione (ex art 75 2° co. cpp) sancendo un favor separationis.
Tuttavia, l’esercizio dell’azione civile, e i suoi rapporti con il processo penale è vincolato al momento in cui si decide di esercitarla. Essa può essere esercitata per la prima volta nel processo penale o se non la si trasferisce nella sede penale, prosegue nella sede sua propria ossia civile; in secondo luogo, l’azione civile può essere esercitata in sede civile o trasferita in quella penale, con talune limitazioni, ed il processo civile resterà sospeso fino alla sentenza penale che se di assoluzione, produrrà bi suoi effetti anche nei confronti della parte civile ex art., 652 cpp.
L’unica ipotesi in cui il giudizio civile risarcitorio è subordinato a quello penale, dovendo essere sospeso in attesa della sua definizione, ricorre quando sia stato promosso dopo la costituzione della parte civile o dopo una sentenza penale di primo grado (art., 75 3° comma cpp)[].
Pertanto il legislatore del 1988 ha provato a conciliare il principio dell’unità della giurisdizione e l’esigenza di evitare giudicati contraddittori, affermando un principio di indipendenza dei giudizi fondato sul brocardo electa una via non datur re cursus ad alteram.
Il punto delle Sezioni Unite
La questione rimessa alla cognizione della Corte Suprema investe l’identificazione dei presupposti soggettivi di operatività della sospensione necessaria del processo civile di risarcimento del danno derivante da reato promosso quando nel processo penale concernente il reato sia stata già pronunciata la sentenza di primo grado.
Nel caso di specie non sussiste una coincidenza tra i soggetti costituititisi parte civile nel processo penale, fratelli della vittima e coloro che hanno proposto giudizio civile, moglie e figli della vittima. Questi hanno agito non solo avverso l’imputato-danneggiante ma anche avverso la società assicuratrice.
Attesa la presenza di un cumulo soggettivo, diversamente nessun dubbio si radicherebbe circa l’applicabilità del terzo comma dell’art., 75 cpp secondo cui «se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge».
Tuttavia la Corte statuisce, in considerazione del cumulo soggettivo, la non sospensione del processo civile con riguardo all’ipotesi di un’azione civile proposta in sede civile avverso imputato-danneggiante e assicuratore Rca, dopo la costituzione dei fratelli della vittima di parte civile nel processo penale.
La Corte richiama ordinanze precedentemente emesse (Cass., ord. 26 gennaio 2009, n. 1862 e 13 marzo 2009 n. 6185), sottolineando che la non sospensione si applica tanto nel caso di litisconsorzio facoltativo, quanto necessario,nonché se alcuni o tutti i coobbligati siano stati citati responsabili civili nel processo penale.
La Cassazione argomentando sottolinea la non giustificata sospensione, tanto riguardo al responsabile civile in quanto un’azione risarcitoria in sede civile successiva si configura come revoca tacita della costituzione di parte civile (art 651 cpp), né in relazione all’imputato, tanto in caso di litisconsorzio necessario quanto facoltativo, atteso che il terzo comma dell’art., 75 cpp si riferisce a cause tra singole parti e non al cumulo soggettivo.
Le obiezioni sollevate dalla terza Sezione civile della Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria, prendevano le mosse dai dubbi sollevati da una lettura restrittiva sui limiti della sospensione dell’art., 75 3 co., cpp., obiezioni fondate sull’individuazione della ratio a sostegno della sospensione necessaria per evitare un esito difforme dei giudicati. Rischio, peraltro, accettato nel codice del 1988 e come sottolineato dalla Cassazione nelle sentenze n. 1445 del 1998 e n. 1768 del 26 gennaio 2011, ripudiato il principio dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale. Il favor è quello della parità e originari età dei diversi organi giurisdizionali e dell’autonomia dei giudizi.
La Corte Costituzionale con sentenza 21 aprile 2006 n. 168 e 28 gennaio 2015 n. 23, dichiara la prevalenza della speditezza e sollecita definizione del processo penale e scoraggiando la proposizione dell’azione civile nel processo penale per un favor separationis dei giudizi (Corte Cost., 29 gennaio 2016 n. 12), incoraggiando il danneggiato a far valere la propria pretesa in sede civile.
Presa coscienza della non coincidenza tra le parti civile nel processo penale e gli attori del processo civile, la prevalenza del processo penale sul civile non si può produrre, né si può pronunciare una sospensione necessaria del giudizio civile in caso di litisconsorzio facoltativo (nei confronti del solo imputato-danneggiante), ove non sono richieste le condizioni di cui agli att., 651 e 651-bis. L’imputato – danneggiante ha partecipato al giudizio penale e condannato per l’illecito penale commesso, trovando piena attuazione il suo diritto di difesa in sede penale.
La natura derogatoria del terzo comma dell’art., 75 cpp, rispetto al principio generale della separazione e l’indipendenza dei giudizi, impone una lettura interpretativa restrittiva ma che alo stesso tempo necessita di una identità non solo oggettiva, tanto più soggettiva come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 18 marzo 2010 n. 6538 in merito ai canoni di identificazione delle azioni[].
In vista della non coincidenza dei soggetti coinvolti nel caso in esame, ritiene la Cassazione, che l’applicazione estensiva del 3° co., dell’art., 75 cpp, quale ipotesi derogatoria, vedrebbe sacrificare l’interesse degli stessi soggetti alla rapida definizione della loro posizione nei giudizi, entrando in collisione con l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, non solo come sancito all’art. 111 2° co. della Costituzione, quanto più quale principio sovranazionale ed universale sancito all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La decisione
La dottrina sostiene la concentrazione in unica sede sia dei risvolti penalistici che civilistici del medesimo fatto, sia fattore di snellimento e la giurisprudenza della Corte EDU che nella sentenza Torri c. Italia del 1 luglio 1997 ha statuito nel verificare il rispetto alla ragionevole durata del processo della parte civile, ha ritenuto che debbano essere computate la durata del processo penale, dal momento della costituzione di parte civile e quella del successivo processo civile per la liquidazione del danno, valutazioni indipendenti dalla natura del litisconsorzio, necessario o facoltativo tra le parti[].
Affermata la separazione e l’autonomia dei giudizi, la cui diversità si evince sin dalle differenti regole dei due processi (Cass., sez. un. pen., 4 maggio 2017, n. 33749 e Cass., sez. un., ord. 27 settembre 2018, n. 23197), le Sezioni Unite dettano pertanto, il seguente principio nomofilattico: “in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art., 75 3° co., c.p.p. che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt., 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato”[].
La Cassazione annulla la sospensione e dichiara che il processo civile contro danneggiante-imputato e assicuratore non è sospeso da procedimento penale tanto più per non coincidenza di soggetti.