Dopo alcuni giorni di attesa, sono state depositate le motivazioni della sentenza n. 26 del 2019 della Corte d’Appello di Torino che l’11 gennaio 2019 aveva parzialmente accolto le richieste dei cd. “riders” di Foodora e, nei fatti, applicato per la prima volta l’art. 2 del D.Lgs. 81/2015[1].
In ragione di ciò è stato, quindi, riconosciuto il diritto dei “riders” a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione alla attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore dell’appellata sulla base della retribuzione, diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del V livello CCNL “Logistica trasporto merci”.
La Corte d’Appello di Torino ha individuato un terzo genere di rapporto di lavoro “che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 c.c. e la collaborazione come prevista dall’articolo 409 n. 3 c.p.c., evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito dell’evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando.”[2]
Ma prima di individuare e analizzare i confini giuridici che hanno condotto la Corte d’Appello ad applicare nel caso di specie l’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 è necessario, seppur sinteticamente, ripercorrere le modalità con cui veniva espletata l’attività di lavoro dei “riders” e definire la sua differenza, semmai ce ne fosse, con il concetto di subordinazione di cui al’art. 2094 c.c.
1. Modalità della prestazione dei “riders”
La prestazione lavorativa si svolgeva a grandi linee nel modo seguente.
Dopo avere compilato un formulario sul sito della società, i riders venivano convocati in piccoli gruppi per un primo colloquio nel quale veniva loro spiegato che l’attività presupponeva il possesso di una bicicletta e la disponibilità di uno smartphone.
In un secondo momento veniva loro proposta la sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa venivano loro consegnati i dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l’attrezzatura per il trasporto del cibo (piastra di aggancio e box).
Il contratto che veniva sottoscritto aveva le seguenti caratteristiche:
– era un contratto di collaborazione coordinata e continuativa;
– era previsto che il lavoratore fosse libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita;
– il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne avvalendosi di una propria bicicletta “idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione”;
– era previsto che il collaboratore avrebbe agito in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente, ma era tuttavia fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’attività della stessa committente;
– era prevista la possibilità di recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza concordata, con comunicazione scritta da inviarsi a mezzo raccomandata a/r con 30 giorni di anticipo;
– il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, pena applicazione a suo carico di una penale di 15 euro;
– il compenso era stabilito in € 5,60 al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di disponibilità;
– il collaboratore doveva provvedere ad inoltrare all’INPS “domanda di iscrizione alla gestione separata di e la committente doveva provvedere a versare il relativo contributo;
– la committente doveva provvedere all’iscrizione del collaboratore all’INAIL;
La gestione del rapporto avveniva attraverso una piattaforma multimediale e un app per smartphone, per il cui uso venivano fornite dall’azienda delle apposite istruzioni. L’azienda pubblicava settimanalmente indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno.
Ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per i vari slot in base alle proprie esigenze personali, ma non era obbligato a farlo.
In seguito, assegnati i turni i riders dovevano presenziare nel luogo indicato per effettuare le consegne.
2. Lavoro Subordinato o autonomo?
La giurisprudenza, già da tempo, è più volte intervenuta sulla distinzione di lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Il criterio principale elaborato dalla Corte di Cassazione è quello per secondo cui “costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative”[3].
Nei casi in cui è oggettivamente difficile, per le modalità della prestazione lavorativa, riuscire a tracciare una demarcazione netta tra un rapporto di lavoro subordinato e lavoro autonomo, la giurisprudenza ha sottolineato che il giudice può ricorrere ad elementi sussidiari con funzione indiziaria che possano ricondurre un determinato rapporto sotto l’alveo del rapporto di lavoro subordinato, come ad esempio:
- L’osservanza di un determinato orario;
- Inserimento del soggetto all’interno dell’organizzazione aziendale;
- Assenza di rischio per il lavoratore;
- Forma della retribuzione.
Premesso ciò occorre stabilire, in primo luogo, se la prestazione effettuata nelle modalità di cui sopra da parte dei “riders” configuri un rapporto di lavoro subordinato o meno.
A tale quesito ha dato una risposta la Corte d’Appello di Torino che, con la sentenza in commento, ha ritenuto confermare quanto già stabilito dalla sentenza di primo grado.
Infatti la sentenza n. 26 del 2019, partendo dal dato letterale dell’art. 2094 c.c.[4], si è focalizzata sulla circostanza che i “riders” fossero liberi di dare, o meno, la propria disponibilità per i vari turni “offerti” dall’azienda.
Infatti, “erano loro che decidevano se, e quando, lavorare senza dover giustificare la loro decisione e senza doversi cercare un sostituto, inoltre potevano anche non prestare servizio nei turni per i quali la loro disponibilità era stata accettata, revocando la stessa o non presentandosi”[5].
Mancava, per il collegio giudicante, il requisito dell’obbligatorietà della prestazione, che è un requisito essenziale dell’art. 2094 c.c.[6]
È innegabile, che ai sensi dell’art. 2094 c.c, che a seguito della stipula del contratto di lavoro, in capo al lavoratore sorge l’obbligazione principale di eseguire la prestazione lavorativa, sottostando, entro i limiti sanciti dalla legge e dai contratti collettivi, al potere direttivo e al potere disciplinare del datore di lavoro.
La Corte d’Appello partendo da tali caratteristiche essenziali ha, dunque, rigettato la domanda dei “riders” sul riconoscimento del lavoro subordinato nella prestazione effettuata da quest’ultimi.
“Nel caso di specie l’appellata poteva disporre della prestazione lavorativa degli appellanti solo se questi decidevano di candidarsi a svolgere l’attività nelle fasce orarie stabilite. È vero che si trattava di slot predeterminati dalla società ma è anche vero che la stessa non aveva il potere di imporre ai riders di lavorare nei turni in questione o di non revocare la disponibilità data…”[7].
3. Sull’applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015
Ed è proprio sull’applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 che il collegio giudicante, diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure ha, di fatto, introdotto nel nostro ordinamento un tertium genus di rapporto di lavoro.
Interpretando il suddetto articolo, la Corte d’Appello ha esteso ai “riders” alcuni diritti dei lavoratori subordinati, pur rimanendo lavoratori autonomi.
Ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalita’ di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Secondo il Collegio la norma in questione individua un terzo genere, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato e la collaborazione come prevista dall’art. 409 c.p.c.
Il legislatore, a dire della sentenza in oggetto, con l’introduzione di tale norma voleva garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito dell’evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando.
L’art. 2 postula un potere di etero-organizzazione in capo al committente circa le modalità di esecuzione della prestazione anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Pur non determinando uno sconfinamento nel potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro di cui all’art. 2094 c.c., l’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 prevede un etero-organizzazione del committente che non è presente nella collaborazione di cui all’art. 409 c.p.c., poiché in quest’ultima vi è la libera organizzazione del collaboratore anche per quanto concerne i tempi e i luoghi di lavoro.
Altro elemento importante è l’elemento della continuità.
Difatti per la Corte d’Appello la continuità a turni è elemento decisivo, insieme all’etero-organizzazione del committente per l’applicazione dell’art. 2 di cui sopra.
“Ciò significa che il lavoratore etero-organizzato resta, tecnicamente, “autonomo” ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione
diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto è regolato nello stesso modo.”[8]
Quindi, entro tali limiti, deve essere accolta la domanda degli appellanti volta al riconoscimento del loro diritto a ottenere il trattamento retributivo dei lavoratori dipendenti ma solo riguardo ai giorni e alle ore di lavoro effettivamente prestate.
4. Conclusioni
La sentenza della Corte d’Appello di Torino è destinata inevitabilmente ad creare notevoli dibattiti.
La dottrina più volte aveva richiesto un intervento del Legislatore sulla necessità di regolamentare un settore, come quello del “Food Delivery”, incentrato fortemente sulle nuove tecnologie e sull’ingresso nel mercato del lavoro di nuove attività al limite della subordinazione.
L’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 non ha superato il problema, anche perché non si tratta di una norma di facile interpretazione.
In attesa, quindi, di un intervento del Legislatore è da valutare se l’interpretazione della Corte d’Appello di Torino verrà confermata dalla Corte di Cassazione.
[1] Comma 1, art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalita’ di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.”
[2] Pag. 20 sentenza n. 29 del 2018 Corte d’Appello di Torino.
[3] Fra le tante, Cass. n. 2728 del 2010.
[4] Art. 2094 c.c.: “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
[5] Pag. 14 sentenza n. 26 del 2019 Corte d’Appello di Torino.
[7] Pag. 18 sentenza n. 26 del 2019 Corte d’Appello di Torino.
[8] Pag. 23 sentenza n. 26 del 2019 Corte d’Appello di Torino.