Con la sentenza n. 10643 del 22 maggio 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha ribadito, in tema di concorrenza sleale, che per la condanna generica al risarcimento dei danni non è necessaria un’attività concorrenziale in atto, ma è sufficiente una situazione di concorrenza potenziale.
A tal proposito, la Suprema Corte ha chiarito che una situazione di concorrenza potenziale risulti “ravvisabile sia in relazione ad una possibile estensione o espansione nel futuro dell’attività imprenditoriale concorrente (purchè nei termini di rilevante probabilità), sia nell’ipotesi di attività preparatorie all’esercizio dell’impresa, quando si pongano in essere fatti diretti a dare inizio all’attività produttiva” (vedi anche Cass., sez. 1, 15 dicembre 1994, n. 10728, m. 489211).
Nel caso di specie, il ricorrente, socio insieme al fratello di una società posta in liquidazione, aveva lamentato atti di concorrenza sleale da parte del medesimo, a seguito di scrittura privata con cui i soci avevano previsto di scindere la società in questione in due aziende autonome. La Corte d’Appello aveva tuttavia respinto le sue doglianze, sul presupposto che egli non era legittimato ad agire per concorrenza sleale nè a titolo individuale, non avendo in corso alcuna attività imprenditoriale, nè quale legale rappresentante della società in nome collettivo, che aveva cessato la propria attività in conseguenza della convenzione stipulata dai due soci.
Sul punto, la Cassazione ha evidenziato che in effetti l’impresa sociale originariamente unitaria non poteva “essere soggetto passivo di atti di concorrenza sleale per sviamento di clientela o sottrazione di dipendenti“. Tuttavia, come rilevato dalla Corte di legittimità, un danno da concorrenza sleale poteva certamente prodursi per le attività economiche connesse alle due aziende che dalla scissione si avviavano a costituirsi in capo alle due parti in giudizio.
Dunque una situazione di concorrenza potenziale era certamente configurabile in relazione all’imminente ripresa delle due distinte attività imprenditoriali, posto che l’originaria unitarietà dell’impresa rendeva altamente probabile che potessero risultare improntate a sleale concorrenza le modalità di inizio di ciascuna delle due attività produttive.
Alla luce di tale ragionamento, la Suprema Corte ha pertanto cassato la sentenza impugnata rinviando anche per le spese alla Corte d’Appello in diversa composizione.
(Corte di Cassazione, Prima sezione civile, sentenza n. 10643 del 22 maggio 2015)