Concessione autostrade tra diritto pubblico e privato alla luce dei fatti di Genova

in Giuricivile, 2018, 9 (ISSN 2532-201X)

  1. L’universo delle concessioni autostradali e i suoi protagonisti

Sommario1. L’universo delle concessioni autostradali e i suoi protagonisti. 2. La scelta del concessionario. 3. L’affidamento in house pubblico-pubblico della concessione. 4. Il contenuto delle convenzioni e i controlli sul concessionario. 5. Lo scioglimento del rapporto concessorio: l’incerto confine tra autotutela e rimedi negoziali privatistici. 6. Autotutela e cessazione della concessione. 7. La decadenza e la risoluzione per inadempimento della concessione. 8. I costi dello scioglimento della concessione autostradale. 9. Il riparto di giurisdizione. 10. Considerazioni conclusive alla luce dei recenti avvenimenti.

I recenti e drammatici fatti di cronaca verificatisi nel mese di agosto hanno riacceso i riflettori dei media e degli studiosi sul tema delle concessioni autostradali. Nei talk show, sui giornali e persino nei bar si sentono affermazioni di ogni tipo su cosa non funzioni nell’attuale sistema concessorio e su cosa bisognerebbe fare per evitare che simili tragedie si ripetano ancora. Per non dire delle svariate ipotesi ricostruttive delle responsabilità. Che tra queste vi sia la verità, per il momento, non è dato saperlo.

Il c.c. del 1942 menziona espressamente le strade ordinarie e le autostrade come demanio stradale accidentale. Le autostrade oggi in funzione sono di proprietà dello Stato e di altri Enti Pubblici, ma ciò non vuol dire che siano state costruite necessariamente dalla mano pubblica, né che un privato non possa costruire un’infrastruttura autostradale. Al contrario, l’intervento pubblico nella costruzione di autostrade è andato via via diminuendo, con l’affermarsi dello strumento della concessione di costruzione e/o di gestione.L’approntamento delle infrastrutture autostradali e la gestione delle stesse rappresentano un terreno in cui storicamente si incontrano, in un inestricabile intreccio, il diritto, sia pubblico che privato, l’economia, l’alta finanza e la politica.

Un recente studio curato da A. Tonetti e L. Saltari del 2017 fornisce una chiara ricostruzione del regime giuridico delle autostrade in Italia[1].

L’analisi ricognitiva effettuata fotografa una situazione in cui, in Italia, solo il 13% delle autostrade aperte al traffico è gestito direttamente dallo Stato tramite Anas (oggi partecipata da Ferrovie dello Stato[2]) e, quindi, senza pedaggio.

L’Anas, al di là delle strade ordinarie, gestisce, come concessionaria, tratte autostradali ritenute “fredde”, come la A3 Salerno Reggio-Calabria (costruita da Anas s.p.a.), o per le quali non vi sono alternative, come il GRA e la Roma-Fiumicino ed è sottoposta alla vigilanza del MIT.

Il contratto di programma tra ANAS S.p.A. e MIT, di durata quinquennale, ha ad oggetto attività di costruzione, manutenzione e gestione della rete stradale e autostradale non a pedaggio in gestione diretta ad ANAS S.p.A. nonché i servizi di interconnessione, decongestione, salvaguardia e sicurezza del traffico che Anas garantisce su tutto il territorio nazionale, dietro corrispettivo.

In altri casi Anas s.p.a. svolge il ruolo di concedente in via indiretta, partecipando in società pubbliche locali.

Nel variegato universo delle concessioni autostradali si contendono il “mercato” due grandi players: il gruppo Atlantia e il gruppo Gavio. E’ interessante quello che emerge dalla ricostruzione della storia e del passato di questi due grandi gruppi che, insieme, gestiscono circa 4000 km di autostrade.

L’ascesa del gruppo Atlantia inizia nel 1993, sotto il governo tecnico Ciampi, il quale decide di avviare una serie di privatizzazioni/dismissioni sostanziali, tra cui quella di Società Autostrade s.p.a., fino ad allora detenuta dall’IRI. Lo Stato aveva interesse a dismettere le partecipazioni pubbliche in tale società per ragioni di finanza pubblica (principalmente per evitare di dover ripianare le perdite dei concessionari e far cessare la garanzia dello Stato sugli strumenti di raccolta del capitale).

L’operazione si realizza nel 1999. Quote di capitale vengono cedute a società private e offerte al pubblico. La dismissione frutta all’IRI un ricavato di 6,72 miliardi di Euro. La quota di controllo è via via acquisita dalle società Schemaventotto e Newco28, che arrivano a detenere l’83,8%. Autostrade s.p.a. viene incorporata da Newco28 e tale ramo d’azienda assume il nome di Autostrade per l’Italia s.p.a., controllata al 100% da Atlantia. E’ importante ricordare che, con il placet dell’allora governo Berlusconi, le concessioni autostradali rinnovate alla Società Autostrade s.p.a. poco prima della dismissione furono trasferite in capo alla nuova società Autostrade per l’Italia con apposito atto aggiuntivo.

Il gruppo Gavio, invece, che prende il nome dal suo fondatore, l’imprenditore Marcellino Gavio, si inserisce nel mercato delle concessioni autostradali acquisendo quote di controllo da concessionari pubblici delle imprese autostradali. Oggi gestisce la Genova-Livorno, l’Autocisa, la Spezia-Parma e l’Autostrada dei Fiori.

I due gruppi hanno rilievo internazionale. ASPI opera anche in Cile, mentre Gavio in Brasile.

Infine, una quota minoritaria del mercato è detenuta da concessionari enti pubblici o privati minori.

Lo strumento principale attraverso cui si è affrontato il problema della costruzione e/o della gestione delle infrastrutture autostradali è da sempre quello delle concessioni.

La concessione è uno strumento che si colloca sulla linea di confine tra pubblico e privato. I vantaggi che derivano dallo strumento sono molteplici, ma, come in ogni cosa, non mancano effetti collaterali negativi, come si sta evidenziando in questi ultimi giorni a proposito della vigilanza sul rispetto degli obblighi previsti in capo al concessionario.

Con la concessione, lo Stato si libera dell’onere di costruzione e/o gestione dell’opera ma, soprattutto, dei rischi connessi alla medesima attività riconoscendo al concessionario il diritto di costruire e/o gestire l’infrastruttura e di riscuotere pedaggi direttamente dagli utenti. Il concessionario assume un rischio operativo, come potrebbe essere un flusso di traffico di molto inferiore alle previsioni (c.d. rischio traffico), ed è remunerato direttamente dagli utenti, senza esborsi da parte dello Stato, anzi dovendo versare a questo un canone concessorio annuo parametrato ad una percentuale dei profitti. Il trasferimento del rischio operativo in capo al concessionario è ciò che distingue la concessione dal contratto di appalto.[3]

L’ordinamento nazionale, storicamente, configura la concessione come un ibrido dalla doppia anima, come provvedimento amministrativo autoritativo a cui accede una convenzione-contratto avente natura di negozio giuridico di diritto privato con il quale si definiscono gli aspetti e i rapporti patrimoniali con il concessionario.

Tuttavia, nel caso delle convenzioni autostradali, l’impronta pubblica è più marcata. Le convenzioni-contratto hanno un contenuto per lo più predeterminato dalla legge che dall’autonomia negoziale delle parti. Il d.l. n. 262 del 2006 ha previsto la stipula di una c.d. Convenzione Unica tra concedente e concessionario.

La convenzione contiene altresì la determinazione della tariffazione, che risponde ai criteri di regolazione tariffaria dettati dal Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica), secondo il modello del price cap.

L’Autorità di regolazione dei trasporti, attiva dal 2014, potrà esercitare i suoi poteri di regolazione delle tariffe autostradali e di predisposizione dei bandi tipo per le gare cui sono tenuti i concessionari soltanto per le nuove concessioni, non già per quelle in essere al momento della entrata in vigore della legge istitutiva della stessa. Ciò vuol dire, considerando le scadenze delle concessioni, non prima del 2020-2050, anni in cui scadranno le varie concessioni.

Diverso è l’approccio della normativa europea a tutela della concorrenza per il mercato. Le direttive europee, recepite dal Codice Appalti del 2016, qualificano le concessioni come contratti pubblici soggetti alle procedure di evidenza pubblica e a tutta la disciplina pro-concorrenziale derivante, tra cui il divieto di proroga o rinnovo senza gara, salvo eccezioni da sottoporsi ad autorizzazione della Commissione Europea.

La concessione rientra, nell’ottica della Direttiva 2014/23/UE, tra le forme di coinvolgimento di capitali privati a servizio della collettività.

Di solito, nel nostro ordinamento, il concessionario dell’infrastruttura autostradale acquisisce il diritto di gestirla e una serie di obblighi, tra cui quello di effettuare lavori di costruzione, di potenziamento e di sostituzione di infrastrutture obsolete. In sostanza, come efficacemente scritto nello studio del 2017 di Tonetti e Saltari, il concessionario diventa il monopolista di un’infrastruttura di trasporto aperta al pubblico[4]. Si tratta di veri e propri “monopoli naturali”. Raramente, infatti, un tratto autostradale avrà un “concorrente” parallelo.

Il ruolo di concedente è stato rivestito, fino al 2012, da Anas s.p.a., mentre da tale data è esercitato dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, in seguito al fallimento del tentativo di istituire una Agenzia per le Infrastrutture stradali e autostradali.

In particolare, presso il MIT, sono istituite due Direzioni generali: la “Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali” che si occupa di aggiudicare le nuove concessioni selezionando i concessionari, di predisporre gli schemi di convenzione e i relativi piani economico-finanziari; la “Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali”, che ha poteri di vigilanza sul rispetto degli obblighi posti in capo ai concessionari esistenti[5].

Infine, un ruolo di primaria importanza è riconosciuto al Cipe, il quale, oltre a svolgere compiti di regolazione tariffaria in via transitoria sino al subentro dell’Autorità dei Trasporti, è competente per la programmazione dei lavori e delle opere e per l’approvazione delle convenzioni-contratto stipulate con i concessionari autostradali.

  1. La scelta del concessionario

Già il D.l. n. 59/2008, nel disciplinare le modalità di affidamento delle concessioni di costruzione e/o di gestione delle autostrade, rimandava al Dec. lgs. n. 163 del 2006, c.d. vecchio codice appalti.

Il nuovo Codice dei contratti pubblici[6] ha improntato la scelta del concessionario alle regole dell’evidenza pubblica. Principio fondamentale è l’obbligo di gara. La stessa durata delle concessioni non può essere superiore al tempo occorrente per l’ammortamento degli investimenti effettuati dal concessionario. Tuttavia, ove la concessione scada prima dell’ammortamento dei costi sostenuti dal concessionario uscente, questo ha diritto ad un indennizzo da parte del concessionario subentrante.

Il problema principale è che la maggior parte delle concessioni in essere sono risalenti nel tempo, non sono state aggiudicate con gara e la loro scadenza è ancora lontana.

Per questo, il Dec. lgs. 50/2016 ha introdotto, all’art. 178, una disciplina transitoria così riassumibile: per tutte le concessioni in essere che andranno a scadenza prima o dopo i 24 mesi dall’entrata in vigore del Codice, il concedente (MiT o altri enti pubblici) dovrà già iniziare a predisporre le necessarie procedure ad evidenza pubblica per reperire il nuovo concessionario in modo concorrenziale, salva la possibilità di affidamenti in house.

Quando la concessione da aggiudicare è sia di lavori che di servizi, cioè ha come oggetto anche la costruzione dell’infrastruttura, si possono utilizzare anche altre procedure ad evidenza pubblica e forme di PPP (partenariato pubblico-privato) come il project financing ecc., volte ad instaurare un “dialogo competitivo” tra concedente e operatori economici[7].

  1. L’affidamento in house pubblico-pubblico delle concessioni.

La gestione delle infrastrutture autostradali può realizzarsi attraverso tre direttrici: la gestione pubblica diretta, oggi ormai superata, la gestione affidata a privati concessionari, modello oggi più implementato, e, come terza via, la gestione pubblica indiretta attraverso società pubbliche come l’Anas s.p.a., società partecipate da questa o società in house sottoposte a controllo pubblico.

La gestione pubblica indiretta può realizzarsi mediante l’affidamento della concessione autostradale dal MIT a Anas s.p.a. o dal MIT a Enti Locali, anche riuniti in consorzi, ovvero mediante affidamento della stessa a società c.d. in house.

Un caso emblematico è quanto sta avvenendo per l’affidamento delle tratte autostradali A22 Brennero-Modena, A4 Venezia-Trieste, A23 Palmanova-Udine, A28 Portogruaro-Conegliano, A57 tangenziale di Mestre per la quota parte e A34 raccordo Villesse–Gorizia.

A seguito della scadenza delle concessioni affidate in precedenza a privati, il MIT ha sottoscritto un accordo ex art. 15, L. n. 241 del 1990, con Regione ed Enti Locali per l’affidamento diretto pubblico-pubblico delle concessioni relative alle suddette tratte autostradali, la quali saranno gestite, a loro volta, da società in house appositamente costituite dagli Enti Locali.

L’affidamento pubblico-pubblico delle concessioni autostradali non ricade nell’ambito applicativo delle norme europee in materia di contratti pubblici e, di conseguenza, bypassa il principio della gara europea.

Il Consiglio di Stato, nel parere n. 1645 del 26.06.2018, ha analizzato tale modello di affidamento e gestione delle concessioni autostradali fissando importanti punti fermi, in particolar modo in tema di compatibilità con le norme europee a tutela della concorrenza nei contratti pubblici quali sono le concessioni.[8]

Il MIT, nella sua qualità di concedente, può affidare direttamente la concessione a uno o più Enti territoriali riuniti e stipulare con essi le “convenzioni di concessione”, ovvero le convenzioni-contratto.

In caso di affidamento pubblico-pubblico, le convenzioni di concessione assumono natura di accordi tra PP.AA. ex art. 15, L. n. 241 del 1990, che instaurano forme di cooperazione interistituzionale al fine di svolgere un servizio pubblico comune e, per ciò, non rientrano nell’ambito applicativo delle norme del diritto U.E. sulle procedure di evidenza pubblica in materia di contratti pubblici[9].

Gli Enti territoriali concessionari possono affidare la gestione delle relative autostrade attraverso società in house.

Nell’articolata ricostruzione del Consiglio di Stato, l’affidamento della gestione ad una società in house non realizza una forma di sub-concessione, trattandosi di una longa manus operativa degli Enti territoriali concessionari. L’in house è un modulo operativo con il quale, in sostanza, l’amministrazione decide di autoprodurre il servizio e di svolgerlo secondo schemi organizzativi di tipo societario. L’affidamento diretto in house prescinde, dunque, dallo svolgimento di una gara se vengono rispettati i tre requisiti richiesti dal diritto U.E. e dal Codice dei Contratti pubblici: il controllo analogo dell’ente sulla società; lo svolgimento dell’80% dell’attività in favore dell’ente controllante; la partecipazione pubblica totale o comunque dominante, ove vi siano partecipazioni di privati, i quali non devono avere poteri di controllo o di veto sulla gestione[10].

Inoltre, anche seguendo questo schema, il concedente mantiene inalterati i propri poteri di vigilanza e controllo sul concessionario e, a cascata, sulla società in house da questo costituita per la gestione della concessione autostradale.

  1. Il contenuto delle convenzioni e i controlli sul concessionario

Laddove si scelga il modello della gestione privata, esaurita la fase pubblicistica di selezione del concessionario con l’aggiudicazione, si addiviene alla stipula della convenzione-contratto. In tal modo, tra concedente e concessionario si instaurano due rapporti: uno pubblicistico costituito dal provvedimento di concessione; l’altro privatistico che trova il suo formante nella convenzione-contratto.

Il contenuto della convenzione, nel settore autostradale, è, come si scriveva sopra, influenzato da una forte ingerenza legale nell’autonomia negoziale delle parti. In particolare, la legge impone che la convenzione preveda: l’adeguamento e il riequilibrio delle tariffe autostradali, con revisione periodica; sanzioni a fronte di casi di inadempimento delle clausole delle convenzioni imputabile al concessionario; l’effettiva allocazione del rischio operativo in capo al concessionario.

La convenzione deve essere sottoposta all’approvazione del Cipe, sentito il Nucleo di consulenza per l’attuazione e regolazione dei servizi di pubblica utilità (Nars) e i pareri delle competenti Commissioni Parlamentari.

La convenzione approvata costituisce l’atto che regola e definisce i rapporti tra concedente e concessionario durante la vita e l’esecuzione della concessione.

In primo luogo, il concessionario ha l’obbligo di mantenere determinati requisiti di solidità patrimoniale, di certificazione del bilancio e, cosa di primaria importanza, ha l’obbligo di affidare i propri lavori, servizi e forniture come se fosse un’amministrazione aggiudicatrice, applicando le regole dell’evidenza pubblica[11].

I titolari di concessioni autostradali non aggiudicate mediante gara hanno l’obbligo di aggiudicare il 60% dei lavori, servizi e forniture mediante procedure di gara pubblica, mentre il restante 40% può essere affidato a società controllate o collegate al concessionario[12]. Tale quota è stata ridotta dall’80% al 60% dal comma 568 dell’art. 1 della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017). In molti casi, infatti, le concessionarie autostradali controllano o comunque partecipano imprese di costruzione infrastrutturali.

La stessa Soc. Autostrade per l’Italia s.p.a. è stata qualificata, dalla giurisprudenza, come organismo di diritto pubblico tenuto ad applicare e osservare i principi e le norme europee a tutela della concorrenza in materia di contratti pubblici[13].

Tale obbligo è di fondamentale rilevanza ed è pensato per rimediare al fatto che molte delle concessioni in essere non sono state affidate secondo logiche aperte alla concorrenza. Per cui, la previsione intende limitare “a valle” le distorsioni della concorrenza.

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione delle regole di evidenza pubblica agli affidamenti a terzi da parte dei concessionari, l’obbligo di gara si estende a tutti gli appalti di lavori, servizi e forniture legati da un “nesso di strumentalità” con la concessione. In tal modo, l’affidamento di attività trasversali e neutrali rispetto all’esercizio della concessione non è sottoposto a tali obblighi.

In secondo luogo, il concessionario ha l’obbligo di gestione tecnica e di mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso manutenzione e riparazioni tempestive. Il concessionario deve presentare al concedente il programma dei lavori di manutenzione ordinaria e quello di manutenzione straordinaria, con i relativi progetti e gli effetti sui costi da sostenere e ammortizzare[14].

Infine, vi sono gli obblighi di ritrasferimento della struttura al concedente a titolo gratuito alla scadenza della concessione e l’obbligo di corrispondere allo stesso un canone di concessione annuo pari al 2,4% dei proventi netti da pedaggio.

Il concessionario, infine, ha il potere di stipulare contratti di sub-concessione, previa autorizzazione ministeriale, ove prevista, e espletamento di procedura ad evidenza pubblica, dai quali riceve una remunerazione in termini di royalties sugli utili.

In ambito autostradale, si tratta, sostanzialmente delle sub-concessioni c.d. oil, per gli impianti di distribuzione carburante, e non-oil, per i servizi di ristorazione (ad es. Autogrill è una società affidataria di molte sub-concessioni autostradali per lo svolgimento di servizi di ristorazione affidati da Autostrade per l’Italia e altri concessionari). Il concessionario autostradale ha l’obbligo di versare una quota parte dei ricavi da sub-concessioni al concedente.

La convenzione definisce inoltre i poteri di controllo del concedente sul concessionario.

In dettaglio, il concedente, nella maggior parte dei casi il MiT, l’Anas s.p.a o altri Enti Pubblici, ha i seguenti poteri: richiedere informazioni, effettuare ispezioni, irrogare sanzioni pecuniarie per inadempimenti degli obblighi contenuti nella convenzione, segnalare all’Agcm eventuali condotte antitrust, poteri sostitutivi di intervento in caso di inerzia del concessionario nell’adempimento degli obblighi previsti in convenzione.

Il concedente è titolare di un vero e proprio potere di vigilanza sul rispetto degli obblighi convenzionali.

La competenza in materia di vigilanza spetta alle due Direzioni generali del MiT appena sopra ricordate.

I controlli e le ispezioni devono riguardare la manutenzione, il monitoraggio dello stato dei principali elementi dell’infrastruttura, la pavimentazione, la segnaletica, le barriere di sicurezza, le gallerie, e le nuove opere di potenziamento.

Ai poteri di controllo del concedente si accompagna un articolato sistema sanzionatorio.

La legge n. 286 del 2006 ha introdotto una serie di previsioni volte ad attribuire al concedente il potere di irrogare sanzioni al concessionario a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabili al medesimo, anche a titolo di colpa, secondo criteri di gradualità e proporzionalità[15].

Le fattispecie che danno luogo all’applicazione di sanzioni sono legate alle inosservanze degli obblighi contrattuali, tra cui rilevano:

– l’inosservanza di obblighi informativi verso il Concedente;

– l’inosservanza degli obblighi di natura contabile;

– l’inosservanza dei requisiti di solidità patrimoniale definiti contrattualmente;

– la mancata richiesta al concedente di autorizzazione per l’esecuzione di operazioni comportanti;

– la modifica soggettiva del concessionario;

Si tratta di sanzioni amministrative pecuniarie che oscillano tra i 25,000 e i 150.000 Euro.

  1. Lo scioglimento del rapporto concessorio: l’incerto confine tra autotutela e rimedi negoziali privatistici.

La durata della concessione non è fissa, ma parametrata ai tempi di recupero dei costi sopportati dal concessionario. Per questa ragione, in presenza di un decorso fisiologico del rapporto, la prima causa di scioglimento è rappresentata dalla scadenza della concessione.

Alla scadenza della concessione, vale il principio della gara pubblica per la riassegnazione, con eventuali compensazioni in favore del concessionario uscente poste a carico di quello subentrante. Il concessionario uscente, di solito, inoltra all’amministrazione concedente istanza di rinnovo o di proroga della concessione. Tuttavia, le Direttive Europee prevedono l’obbligo di gara e il generale divieto di proroga tacita o espressa. Il concessionario uscente ha l’obbligo di mantenere la gestione fino al pieno subentro del nuovo concessionario.

In presenza di eventi “patologici”, assume rilievo la doppia anima del rapporto concessorio. Questa infatti si riverbera sui rimedi utilizzabili per intervenire sull’atto e sul rapporto.

Il Codice dei contratti pubblici prevede una disciplina alquanto peculiare all’art. 176, che tratta di tutte le cause di cessazione, revoca, risoluzione e subentro.

La particolarità di questa norma è la stupefacente capacità di mettere insieme, con impressionante disinvoltura, sacro e profano, pubblico e privato, autotutela e rimedi “privatistici”.

  1. Autotutela e cessazione della concessione.

L’art. 176, Cod. app., si apre con una clausola di riserva: “Fermo restando l’esercizio dei poteri di autotutela”. E’ evidente, però, che il rimedio dell’autotutela non rimane fuori dalla norma come sembrerebbe, tant’è che i successivi commi toccano sia l’annullamento d’ufficio che la revoca[16].

In ogni caso, la clausola sta ad indicare che sulla concessione-atto, intesa come risultato finale del procedimento ad evidenza pubblica, si può intervenire con gli strumenti pubblicistici di autotutela, in particolare con l’annullamento d’ufficio. Chiaramente l’annullamento d’ufficio è un rimedio utilizzabile a fronte di vizi che inficiano la fase prodromica alla stipula della convenzione e ne determinano l’illegittimità, anche se fatti valere a rapporto in corso.

L’annullamento in autotutela delle concessioni non è soggetto, però, ai termini previsti dall’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990, secondo l’art. 176, co.4, Codice dei contratti pubblici.

Il riferimento è al termine di diciotto mesi per l’annullamento dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici. Restano fermi tutti gli altri presupposti di legge. Si discute, inoltre, se tale previsione faccia venire meno anche il presupposto del “termine ragionevole” o no.

Subito dopo la suddetta clausola, l’art. 176 cit. individua le ipotesi di c.d. “cessazione” della convenzione. In questa sede iniziano le prime perplessità sull’interpretazione della disposizione.

La concessione “cessa” se il concessionario avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura, se vi sono state gravi violazioni delle norme europee pro-concorrenziali e se la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di gara.

Le perplessità sorgono in ordine all’inquadramento della “cessazione”.

In dottrina, anche dopo il correttivo al Codice degli Appalti, si ritiene che le ipotesi di cessazione delle concessioni siano da qualificarsi più correttamente come casi in cui l’amministrazione concedente ha la possibilità di annullare in autotutela l’atto- concessione durante la vigenza del rapporto.

Quanto appena scritto denota una duplice particolarità dell’annullamento d’ufficio nella materia delle concessioni. Gli elementi di specialità della disciplina dell’annullamento così come delineata in subiecta materia sono due: vengono meno alcuni presupposti fondamentali per l’esercizio del potere di annullamento e si prevedono delle ipotesi tipizzate in cui il concedente può disporre l’annullamento.

Si tratta, senza dubbio, di un annullamento d’ufficio “a statuto speciale”, di un “tertium genus” rispetto all’autotutela delineata nella legge 241/90 e alla disciplina dell’autotutela “dopo il contratto” con riferimento agli appalti.

Il venir meno del presupposto dei termini, che non può non includere per ragioni di logica anche il termine ragionevole, indica che, nella materia delle concessioni, il legislatore ha inteso diminuire la rilevanza del legittimo affidamento, di solito fattore ostativo all’annullamento.

La previsione di tre ipotesi di cessazione-annullamento, invece, fa sorgere il sospetto di essere di fronte a tre ipotesi di autotutela doverosa in cui la P.A. concedente non ha margini di discrezionalità. E’ evidente che ciò rappresenterebbe una forte deviazione alla regola generale secondo cui l’autotutela è potere discrezionale per antonomasia.

Inoltre, l’art. 176 cit. consente la revoca in autotutela della concessione in presenza dei presupposti di cui all’art. 21-quinquies, L. n. 241/90. Nel caso della revoca, non vi sono eccezioni quanto ai presupposti di legge per la sua adozione. E’ opportuno precisare, però, che la revoca è un provvedimento che poggia su valutazioni di mera opportunità  e rivalutazione dell’interesse pubblico originario per sopravvenienze di diritto o di fatto non prevedibili al momento dell’adozione del provvedimento. E’ per questa ragione che il legittimo affidamento del privato non è fattore ostativo alla revoca ma, se leso, obbliga la p.a. revocante a corrispondere un indennizzo monetario. Si discute di indennizzo proprio perché si è di fronte ad un potenziale danno da atto lecito.

In caso di annullamento in autotutela per vizi non imputabili al concessionario e di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, il concessionario, per ciò, ha diritto ad un indennizzo, dai tenori piuttosto elevati.

  1. La decadenza e la risoluzione per inadempimento della concessione.

L’art. 176 cit. prevede che, ai rapporti tra concedente e concessionario, relativamente al rispetto degli obblighi nascenti dalla convenzione-contratto, si applicano le norme civilistiche in tema di risoluzione del contratto per inadempimento e risarcimento del danno.

La convenzione contratto può prevedere ipotesi di decadenza dalla concessione in presenza di inadempimenti gravi a tutela dell’interesse pubblico. La decadenza va comunicata ai sensi dell’art. 7, L. n. 241/90, e, trascorso un certo termine senza che il concessionario abbia adempiuto ai propri obblighi, viene dichiarata con provvedimento del concedente.

Inoltre, se la risoluzione della concessione avviene per cause imputabili al concessionario, gli enti finanziatori del concessionario inadempiente e altre categorie di soggetti (es. gli obbligazionisti) posso indicare un operatore economico che subentri nella concessione.

Con riferimento alle concessioni autostradali, sia la revoca che la risoluzione per inadempimento imputabile alla p.a. concedente comportano l’obbligo, per il concedente, di rimborsare al concessionario il valore delle opere realizzate, gli oneri accessori, i costi da sostenere in conseguenza della risoluzione e un indennizzo pari al 10% del valore delle opere o del servizio ancora da eseguire.

Infine, alquanto discussa è la possibilità di applicare al rapporto concessorio le norme civilistiche in tema di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

  1. I costi dello scioglimento della concessione autostradale.

Il mondo delle concessioni autostradali rappresenta, come si può notare, un microcosmo all’interno del quale s’inseriscono ulteriori discipline di dettaglio derivanti dalla componente autonomia negoziale che, in ogni caso, permea le convenzioni-contratto. Quest’ultima, infatti, sebbene sia espressione di autonomia negoziale, trova nella legge e in atti normativi secondari importanti fonti di etero-integrazione.

Si è dato conto del fatto che, a fronte di una concessione, anche dopo la stipula della convenzione-contratto, il potere pubblicistico di intervenire sull’atto e sul rapporto permane e si affianca a quello dei rimedi “privatistici” in senso lato.

Per quanto riguarda gli appalti, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che, dopo la stipula del contratto e durante l’esecuzione dello stesso, vale un principio di “non sovrapponibilità” di rimedi pubblicistici e rimedi negoziali. Si è affermato, sul punto, che gli strumenti predisposti dal codice (recesso, risoluzione ecc..) impediscono l’esercizio di poteri pubblicistici di autotutela per intervenire sul contratto a parità di effetti e di risultati[17].

Il principio non vale, però, in materia di concessioni, laddove l’autotutela e l’impronta pubblicistica dei poteri esercitabili permangono anche dopo la stipula della convenzione-contratto, come si vedrà successivamente in tema di riparto di giurisdizione.

Pertanto, il ventaglio di strumenti a disposizione della p.a. concedente per intervenire sullo scioglimento della concessione risulta ampio. Tuttavia, a parte le diversità nei presupposti di esercizio, gli strumenti di scioglimento della concessione hanno costi molto differenti tra loro, di maggiore o minore impatto sulle finanze pubbliche.

Il tema dei costi dell’azione amministrativa investe principi di portata costituzionale, come quelli di efficienza ed efficacia di cui all’art. 97 Cost., e interessa molto da vicino il sistema delle concessioni autostradali.

Per le concessioni, infatti, il legislatore ha previsto una disciplina dei costi dello scioglimento del rapporto alquanto peculiari.

In primo luogo, si deve evidenziare che, di solito, l’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo è un provvedimento a costo zero, nel senso che, se questo è legittimo, non comporta obblighi indennitari o risarcitori. Del tutto eccezionale è l’ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento favorevole illegittimo poi annullato in autotutela. In ogni caso è un danno che, come ormai acquisito per giurisprudenza consolidata, non deriva dal provvedimento ma da un comportamento materiale.

Nella materia delle concessioni, al contrario, l’annullamento in autotutela non è a costo zero. L’art. 176, co.4, del Dec. lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici) prevede, infatti, che, in caso di annullamento in autotutela per vizi non imputabili al concessionario, si applica il comma 4, cioè le tutele economiche previste in caso di risoluzione per inadempimento e di revoca.

Dunque, si introduce una peculiare distinzione tra annullamento d’ufficio per vizi imputabili e annullamento per vizi non imputabili. La scelta legislativa è dettata dal fatto che se la concessione viene annullata per vizi della procedura di aggiudicazione che non dipendono da condotte del concessionario occorre ristorare le spese e gli investimenti affrontati da quest’ultimo in buona fede.

In caso di risoluzione della concessione per inadempimenti imputabili al concedente p.a. o di revoca della concessione ex art. 21- quinquies, l. 241/90, al concessionario spettano[18]:

  • a) il valore delle opere realizzate piu’ gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;
  • b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione ((, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse));
  • c) un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero ((, nel caso in cui l’opera abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione.))

Inoltre, l’efficacia della revoca è sospensivamente condizionata al pagamento di tali somme.

In caso di risoluzione per inadempimento del concessionario, invece, si rinvia alla disciplina dell’art. 1453 c.c.

Pertanto, è evidente che gli strumenti di autotutela come l’annullamento per vizi non imputabili al concessionario e la revoca sono quelli che presentano i costi maggiori per la p.a. concedente (MiT o altri Enti Pubblici), così come la risoluzione per inadempimento del concedente.

Al contrario, la risoluzione per inadempimento imputabile al concessionario e la declaratoria di decadenza dalla concessione per gravi inadempimenti del medesimo non comportano particolari obblighi ed esborsi in capo alla p.a. concedente.

  1. Principali questioni in tema di riparto di giurisdizione.

La commistione tra diritto pubblico e diritto privato che caratterizza la materia delle concessioni s’infittisce quando bisogna individuare il giudice munito di giurisdizione sulle controversie inerenti le medesime. Per tali si intendono tutte le controversie che hanno ad oggetto, da un lato, la fase pubblicistica di formazione dell’atto e quelle che, dall’altro, attengono all’esecuzione del rapporto nascente dalla convenzione contratto.

Norma di riferimento è l’art. 133 del Codice del processo amministrativo, il quale individua le ipotesi di giurisdizione esclusiva del g.a., cioè quei casi in cui, sussistendo già la giurisdizione generale del g.a., a questi è consentito conoscere anche dei connessi profili di diritto soggettivo. La norma, in tema di concessioni, non è del tutto cristallina.

Si prevede la giurisdizione esclusiva del g.a.: sulle “controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità;” nonché sulle controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative[19].

In materia di appalti, si è affermata una dicotomia tra giurisdizione amministrativa, estesa alla cognizione della fase pubblicistica, e giurisdizione ordinaria su tutte le questioni che attengono all’esercizio di poteri negoziali privatistici durante l’esecuzione del rapporto contrattuale[20].

Il principio non vale per le controversie in materia di concessioni. La fase pubblicistica di scelta del concessionario è sicuramente attratta nella giurisdizione esclusiva del g.a.

Il punto più complesso è il riparto delle controversie che toccano la convenzione-contratto, la sua esistenza/validità, o che incidono sull’esecuzione del rapporto.

E’ bene ricordare che le concessioni, nell’ottica europea, non sono né provvedimenti, né accordi integrativi ex art. 11 L. n. 241/90, né “contratti ad oggetto pubblico”, ma rientrano a tutti gli effetti nel genus contratti pubblici, al pari degli appalti.

Tuttavia, a differenza di quanto avviene per gli appalti, in giurisprudenza e dottrina prevale un’interpretazione estensiva della giurisdizione esclusiva del g.a. anche alle controversie che riguardano l’esecuzione del rapporto concessorio, sull’assunto che la giurisdizione del g.o. possa affermarsi soltanto in relazione a controversie in cui si faccia questione di indennità o compensi[21].

In tal senso, Cass. SS. UU., 9 agosto 2018, ord. n. 20682, ha affermato che “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in cui si discute sulla asserita violazione degli obblighi nascenti dal rapporto concessorio (2). Le controversie circa la durata del rapporto di concessione, o la stessa esistenza del rapporto o la rinnovazione della concessione sono pertanto devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo: detta giurisdizione ha natura esclusiva, estendendosi a tutte le posizioni soggettive il cui riconoscimento postuli l’identificazione del contenuto del rapporto concessorio. Residua invece la giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 5, comma 2, L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (ora art. 133, comma 1, lett. c del c.p.a. approvato con D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104) quando si discuta soltanto sul compenso del concessionario, senza dirette implicazioni sul rendiconto di tesoreria e sul contenuto della concessione”.

In materia di concessioni amministrative, le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi, riservate dall’art.133 c.p.a. alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di interessi generali.

Quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero quando investa l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull’”an” che sul “quantum”), la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo.[22]

La particolarità, dunque, sta nella differente qualificazione dei poteri e della posizione della p.a. nella fase di esecuzione del rapporto. In questa fase, per gli appalti, si ritiene che la p.a. agisca come parte contrattuale in posizione paritetica al privato ed eserciti poteri negoziali, anche se talvolta alcune ipotesi di recesso o risoluzione si sovrappongono a poteri tradizionalmente ritenuti di stampo pubblicistico.

Per le concessioni, invece, si ritiene che, a prescindere dal nomen juris, i poteri esercitati durante l’esecuzione del rapporto siano sempre e comunque poteri autoritativi amministrativi. Il che è alquanto peculiare se si pensa a rimedi evidentemente civilistici come la risoluzione della convenzione-contratto per inadempimento degli obblighi da parte del concessionario.

Il problema del riparto di giurisdizione si è posto anche per le controversie riguardanti le procedure di affidamento di contratti a terzi da parte del concessionario.

In tema, è opportuno sottolineare che, per gli affidamenti del concessionario, ai fini del riparto di giurisdizione, assume rilievo la natura dell’attività oggetto del contratto da affidare.

E’ attività attinente al servizio pubblico, per jus receptum, solo quella rivolta a soddisfare le esigenze dell’utenza e connessa all’oggetto della concessione.

I servizi strumentali, cioè non direttamente necessari a soddisfare bisogni dell’utenza e all’esercizio della concessione (spazi pubblicitari, commerciali ecc.) non sono oggetto di poteri pubblicistici né le relative controversie possono essere conosciute dal g.a.

In giurisprudenza, si è affermato, infatti, che l’affidamento della gestione degli spazi pubblicitari sulle aree di sosta autostradali costituisce attività imprenditoriale compiuta jure privatorum dal concessionario e non connesso in alcun modo con il servizio pubblico affidato in concessione. Pertanto, tutte le controversie di tal genere rientrano nella giurisdizione del g.o.[23]

Altro campo problematico per il riparto di giurisdizione tra g.a. e g.o. è quello afferente alle controversie aventi a oggetto i contratti di sub-concessione stipulati dal concessionario[24].

Il giudice ordinario conosce di ogni controversia relativa agli obblighi derivanti da rapporti di natura privatistica, che accedono a quello di concessione, quando l’amministrazione resta totalmente estranea a detto rapporto derivato e non possa quindi ravvisarsi alcun collegamento fra l’atto autoritativo concessorio ed il rapporto medesimo.

Al contrario, quando la pretesa azionata è riferibile direttamente all’atto di concessione e l’amministrazione concedente abbia espressamente previsto ed autorizzato il rapporto tra concessionario e terzo, opera la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[25].

È riconosciuta la giurisdizione amministrativa in presenza di una subconcessione di spazi del servizio autostradale per lo svolgimento delle attività di rifornimento e di ristorazione all’interno delle aree di servizio ove l’amministrazione abbia previamente autorizzato nell’apposita convenzione l’affidamento a terzi di tali attività.[26]

Viceversa, sempre in tema di subconcessione di aree di servizio di tratti autostradali, è riconosciuta la giurisdizione ordinaria ove il soggetto concedente risulti del tutto estraneo al rapporto sub-concessorio[27].

È stata, inoltre, esclusa l’inerenza della gestione degli spazi pubblicitari nelle aree di sosta sulle autostrade alla gestione di queste ultime.[28]

  1. Considerazioni conclusive alla luce dei recenti avvenimenti.

Quanto finora esposto consente di cogliere la complessità e la ricchezza della materia “concessioni autostradali”, oltre che le numerose interferenze esistenti tra diritto pubblico e diritto privato, politica, economica e sviluppo industriale del Paese.

Il disastro verificatosi a Genova lo scorso 14 agosto ha fatto riemergere il tema della gestione delle infrastrutture stradali, dei rimedi utilizzabili in caso di gravi inadempimenti del concessionario per sciogliere la concessione e, non ultimo, il problema di come gestire la ricostruzione.

Il Governo, quotidianamente, prende diverse posizioni proprio sui tre temi suddetti.

Quanto al sistema di gestione delle infrastrutture autostradali di rilevanza strategica per il Paese, l’evidenza è che il Governo guarda con sempre maggiore sfavore al modello di gestione affidata a privati concessionari. Riecheggia, sui quotidiani, il concetto di “nazionalizzazione” delle autostrade, il che è alquanto improprio se si considera che le autostrade sono già di proprietà pubblica, semmai è la gestione ad essere privata.

L’idea di nazionalizzare le autostrade, per ciò, non può che essere intesa come il ritorno ad una gestione pubblica diretta o indiretta delle medesime. Tant’è che si è pensato di riassegnare la concessione all’Anas s.p.a., società formalmente privata ma sostanzialmente pubblica, oggi transitante nell’universo Ferrovie dello Stato, anche se pare destinata a nuove trasformazioni.

Sarebbe poco credibile, inoltre, interpretare le intenzioni di nazionalizzazione come una volontà del Governo di “espropriare” una società privata, come Autostrade per l’Italia, per renderla di nuovo pubblica.

Le critiche poste dal Governo all’attuale sistema concessorio sono pienamente giustificate e suffragate dai contributi scientifici degli studiosi della materia, come il già citato studio di A. Tonetti e L. Saltari del 2017, i quali individuano una serie di criticità del sistema che andrebbero modificate.

Ciò non significa, però, dover rinnegare completamente il sistema della gestione affidata a privati mediante concessione e gara europea, ma soltanto che esso va rivisto, modernizzato e regolato, anche attraverso l’ausilio di autorità di regolazione e vigilanza, i cui poteri sono allo stato poco efficaci. Insomma, non bisogna “gettare l’acqua con tutto il bambino”, soprattutto se si considera che Anas s.p.a., in questo momento invocata da tanti, non è di certo un esempio virtuoso in tutto e per tutto.

Tuttavia, prima di ripensare il modello di gestione delle autostrade, occorre considerare che, nonostante l’accaduto, la concessione tra MIT e Autostrade per l’Italia s.p.a. relativa al tratto interessato dal crollo, è ancora vigente e, come per ogni contratto, vale il principio pacta sunt servanda, almeno fino a quando non sia disposto lo scioglimento.

Si è visto, nei paragrafi precedenti, che gli strumenti che consentono lo scioglimento del rapporto concessorio sono molteplici e hanno presupposti e costi molto differenti tra loro. In ogni caso, si tratta di una disciplina apertamente a favore dei concessionari privati, che sostanzialmente blinda la concessione, rendendo molto costoso per il concedente liberarsi.

Il perno attorno al quale ruotano i costi dello scioglimento della concessione è quello dell’imputabilità degli inadempimenti che hanno portato al crollo del viadotto Polcevera. In base al soggetto cui sono imputabili tali inadempimenti dipendono importanti conseguenze sul piano della finanza pubblica (si è calcolato un costo di circa 20 Miliardi di euro), alla luce della normativa vista nei precedenti paragrafi.

Il punto è che sia il MIT sia Autostrade per l’Italia sono parti di un rapporto negoziale a tutti gli effetti e, pertanto, spetterà alla A.G. accertare le responsabilità, sia quella penale che quella civile.

Non vi è, al momento, un accertamento oggettivo né degli inadempimenti ipotizzati in capo al concessionario, né degli inadempimenti di omesso controllo ipotizzati in capo alle Direzioni Generali del MIT, né dell’efficienza causale di tutti questi rispetto all’evento dannoso. Per non dire dell’elemento soggettivo colpa o dolo.

Tutto ciò, di fatto, rende più complicata la scelta dello strumento di scioglimento della concessione meno negativamente incidente sulle finanze pubbliche, anche se, al momento, il rimedio più ragionevole sarebbe quello della decadenza della concessione o, al più, quello della risoluzione per inadempimento imputabile al solo concessionario.

E’ pacifico, però, che, in tutti questi casi si creerebbe un lungo contenzioso, che, come noto, il Governo intende evitare al fine di abbreviare i tempi della ricostruzione.

Le ultime notizie indicano che il Governo ha intenzione di intervenire sulla concessione con un apposito decreto legge che, in sostanza, potrebbe dichiarare la caducazione ex lege della concessione e della relativa convenzione-contratto.

Atteso che il contenuto della legge non ha effettivamente una limitazione in tal senso, ciò sarebbe tecnicamente possibile e si sarebbe di fronte a una forma di “legge provvedimento” secondo lo schema della decretazione d’urgenza e successiva conversione in legge. Si tratterebbe di un’ipotesi di atto normativo incidente su rapporti amministrativi e rapporti contrattuali preesistenti. Il tema è estremamente complesso e non è questa la sede per trattarlo.

Quanto al terzo tema, quello della gestione della ricostruzione e del nuovo affidamento della gestione della tratta autostradale interessata dal crollo, le possibili direzioni delle scelte di governo e di amministrazione sono diverse, tra cui l’affidamento diretto pubblico-pubblico della ricostruzione e gestione, ma lo scioglimento della concessione attuale è pregiudiziale.

Le strade percorribili sono tre: la messa a gara della concessione di costruzione e gestione del viadotto secondo le regole pro-concorrenziali europee e nazionali; l’affidamento diretto della concessione a soggetti pubblici (es. Regione Liguria o altri Enti territoriali consorziati) tramite accordi ex art. 15, L. n. 241 del 1990, con possibilità di avvalersi di società  in house, come visto nel paragrafo §3, oppure, come ipotizzato dal Governo, l’affidamento diretto della ricostruzione a Fincantieri previa deroga espressamente consentita dall’U.E. all’applicazione delle norme sugli appalti e sulle concessioni.

In ogni caso, permane il nodo del reperimento delle risorse necessarie alla ricostruzione, che molti vorrebbero far gravare su Autostrade per l’Italia anche a concessione sciolta.

Ove, invece, la concessione con Autostrade per l’Italia s.p.a. non venisse sciolta, quest’ultima avrebbe l’obbligo di ricostruire l’infrastruttura a sue spese e, nel farlo, dovrà seguire la disciplina dettata in tema di affidamento a terzi di appalti, servizi e forniture, nel senso che dovrà aggiudicare i lavori mediante procedura di evidenza pubblica nel rispetto delle quote 60/40 indicate nell’art. 177 Codice dei contratti pubblici.

Si attendono, sui temi riferiti, due decreti legge e i relativi sviluppi, di cui si darà seguito in successivi contributi.


[1] A. Tonetti – L. Saltari (a cura di), Il regime giuridico delle autostrade in Italia, in Europa e nelle principali esperienze straniere, Milano, 2017.

[2] L’articolo 49 del D.L. 50/2017 prevede lo sviluppo, da parte di ANAS S.p.A., di opportune sinergie con il gruppo Ferrovie dello Stato (FS), al fine di realizzare, tra l’altro, un incremento degli investimenti di almeno il 10% (rispetto al 2016) sia nel 2017 che nel 2018 (comma 1).

Viene quindi previsto il trasferimento a Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. delle azioni di ANAS S.p.A., mediante aumento di capitale, per un importo corrispondente al patrimonio netto di ANAS (comma 2).

[3] M. Macchia, La regolamentazione degli affidamenti da parte dei concessionari, in Riv. it. Dir. pub. Trim., 1, 2018, 153 e ss.

[4] A. Tonetti – L. Saltari (a cura di), Il regime giuridico delle autostrade in Italia, in Europa e nelle principali esperienze straniere, Milano, 2017.

[5] A. Tonetti – L. Saltari (a cura di), Il regime giuridico delle autostrade in Italia, in Europa e nelle principali esperienze straniere, Milano, 2017, 87 e ss.

[6] Dec. lgs. n. 50/2016 e ss.mm.ii.

[7] A.M. Altieri, Il rapporto concessorio nel diritto vigente, in A. Tonetti – L. Saltari (a cura di), Il regime giuridico delle autostrade in Italia, in Europa e nelle principali esperienze straniere, Milano, 2017, 92 e ss.

[8] Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ufficio Legislativo – ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sui seguenti quesiti:

  1. a) legittimità di stipulare la convenzione di concessione in attuazione di quanto disposto dall’articolo 13-bis del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 e ss.mm.ii. dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, in qualità di concedente, con gli enti territoriali ancorché costituiti in consorzio, ai sensi dell’articolo 31, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e ss.mm.ii.;
  2. b) compatibilità con la normativa comunitaria di riferimento dell’affidamento diretto pubblico-pubblico, cioè Stato-Enti territoriali, delle concessioni autostradali oggetto dei protocolli d’intesa disponendo la norma una fattispecie di collaborazione fra amministrazioni pubbliche che condividono gli stessi interessi (Stato, regioni, enti locali) per l’attuazione di due importanti opere europee e la cui collaborazione si realizza attraverso lo strumento della concessione;
  3. c) applicazione o meno di quanto disposto dall’articolo 192 del Codice dei contratti pubblici, approvato con decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 nel caso in cui il consorzio concessionario intenda avvalersi della facoltà, prevista dall’articolo 13-bis, comma 1, lettera b) del decreto-legge 16 ottobre 2017 n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, modificato dall’articolo 1, comma 1165, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, di costituire una propria società in house, senza la partecipazione di soggetti privati, quale società strumentale del medesimo consorzio per la gestione della convenzione.

[9] A questi accordi, previsti dall’art 15 della l 241/90, la giurisprudenza amministrativa attribuisce natura giuridica di diritto pubblico, qualificandoli come “contratti ad oggetto pubblico”. Sul punto, v. Cons. St., sez. V, 23-6-2014 n. 3130.

[10] I requisiti delle società in house sono stati elaborati nel tempo dalla Corte UE; secondo la giurisprudenza della Corte, a partire dalla sentenza Teckal del 1999 sino alle direttive UE 23, 24 e 25/2014 in materia di appalti e concessioni, le procedure di evidenza pubblica possono escludersi tutte le volte in cui: 1) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello operato sui propri servizi interni (requisito strutturale); 2) il soggetto affidatario realizza la parte più importante della propria attività a favore dell’amministrazione aggiudicatrice che lo controlla (requisito funzionale).

I requisiti dell’in house sono adesso chiaramente indicati dall’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2014/24/UE, dall’art. 28, paragrafo 1, della direttiva 2014/25/UE e dall’art. 17, paragrafo 1, della direttiva 2014/23/UE; tutte norme di identico tenore. Non è disciplinato solo l’in house, ma anche la cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici (c.d. contratti di collaborazione), cooperazione quest’ultima che però rimane al di fuori dell’in house, in quanto non comporta la costituzione di organismi distinti rispetto alle amministrazioni interessate all’appalto o alla concessione.

[11] Delibera Cipe n. 30 del 19 luglio 2013 e D.l. n. 262/2006.

[12] Art. 177, Dec. lgs., n. 50/2016 e ss.mm.ii.

[13] TAR Lazio, Roma, 16 maggio 2016, n. 5737; Cons. St., Sez. IV, 13 marzo 2008, n. 1094, con nota di C. Guccione, in Giorn. dir. amm., 9, 2008, 975 e ss.

[14] A.M. Altieri, Il rapporto concessorio nel diritto vigente, in A. Tonetti – L. Saltari (a cura di), Il regime giuridico delle autostrade in Italia, in Europa e nelle principali esperienze straniere, Milano, 2017, 92 e ss.

[15] Nella “Relazione annuale sull’attività” della Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) si rileva che, nel 2017, Autostrade per l’Italia è stata oggetto di importanti sanzioni per importi che sfiorano il milione di euro. Nell’ultimo procedimento sanzionatorio concluso nel 2017 si contestavano inadempimenti relativi al Piano annuale di monitoraggio 2014 A7-A26.

[16] L’articolo 176 recepisce l’articolo 44 della direttiva 2014/23/UE che prevede la risoluzione del contratto di concessione. Nel testo dell’art. 44 della direttiva si parla di “porre termine alla concessione in vigenza della stessa” per presupposti che sono legati a vizi originari o sopravvenuti dell’atto concessorio”. Si tratta di fattispecie che nell’ordinamento nazionale giustificano l’autotutela c.d. pubblicistica nella forma dell’annullamento d’ufficio.

[17] Ex multis : Cons. St., Ad. Pl., 20 giugno 2014, n. 14.

[18] Art. 176, Dec. lgs. n. 50/2016 e ss.mm.ii.

[19] Art. 133, Dec. lgs. 104/2010 (c.d. Codice del processo amministrativo), lett. c) e lett. e), n. 1.

[20] Cons. St., Ad. Pl., 20 giugno 2014, n. 14.

[21] M. Ceruti, Il riparto di giurisdizione nell’esecuzione dei contratti pubblici:appalti e concessioni, in Urb e app., 3, 2018, 302 e ss.

[22] Cass., SS.UU., 27 aprile 2017 n. 10412.

[23] Cass., SS.UU., ord., 24.02.2003, n. 2817.

[24] F. Francario – D. De Blasi, bussola “Concessioni di servizi”, in www.l’amministrativista.it.

[25] Ex multis, Cass. Civ., Sez. Unite, ordinanza 18 dicembre 2014, n. 26656, Cass. Civ., Sez. Unite, ordinanza, 29 aprile 2015, n.8623, Cass. Civ., Sez. Unite, 26 gennaio 2016, n. 8058 e, da ultimo, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 23 maggio 2017, n.221

[26] Cass. Civ., Sez. Unite, ordinanza 2 dicembre 2008, n.28549; cfr. anche Cass. Civ., Sez. Unite, 20 gennaio 2014, n.1006 che afferma il medesimo principio con riferimento alla subconcessione di aree demaniali marittime per lo svolgimento di attività cantieristica all’interno della darsena ubicata nel porto turistico.

[27] Cons. St., sez. IV, 10 luglio 2014, n.3510

[28] Cass. civ. Sez. Unite, 24 febbraio 2003, n. 2718

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