Con la sentenza n. 3873 del 16 febbraio 2018 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affronta e risolve l’annosa questione circa la possibilità che l’accessione operi quando la proprietà del suolo sia comune a più soggetti ed uno solo di essi abbia edificato.
La tematica è molto controversa ed ha conosciuto nel tempo l’alternarsi tendenzialmente di due indirizzi giurisprudenziali contrapposti.
Tuttavia, prima di esaminare gli anzidetti orientamenti ed esporre la propria posizione, le Sezioni Unite si soffermano sull’istituto in esame, mettendone in evidenza i caratteri essenziali.
L’accessione nel codice civile del 1942
L’accessione quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario trova nell’attuale codice, diversamente che in passato, una definizione ristretta, riferibile ai soli casi di incorporazione di piantagioni, costruzioni o altre opere al suolo, volta a delineare, di conseguenza, come figure autonome, tutte quelle ipotesi tradizionalmente ricollegate all’accessione “di mobile a mobile” e quella orizzontale, “di immobile a immobile”.
Ciò nonostante, la Suprema Corte ricorda come l’accessione quale “fenomeno”, ossia come mero meccanismo oggettivo che determina l’estensione della proprietà per il solo fatto materiale dell’attrazione reale di una cosa ad un’altra, indipendentemente dalla circostanza che questa sia avvenuta per evento naturale o per opera dell’uomo, e a nulla rilevando, in merito, la volontà umana, continui ad essere, secondo la dottrina, fattore comune a tutte le ipotesi summenzionate.
A parere degli studiosi, infatti, l’unica differenza intercorrente tra l’accessione propriamente intesa e le altre fattispecie è rinvenibile nel modo attraverso il quale si identifica la cosa principale rispetto a quella accessoria.
Invero, nell’accessione ex artt. 934 e ss c.c., la regola “accessorium cedit principali” sposandosi con il principio per cui la proprietà fondiaria si estende sia nel sottosuolo che nello spazio ad esso sovrastante, fin dove l’uno e l’atro siano suscettibili di utilizzazione economica, ossia fin dove il proprietario del suolo abbia interesse ad escludere la proprietà di terzi, non lascia spazio ad alcuna valutazione giudiziale.
In altre parole, è la stessa legge che individua nel bene immobile quella cosa in grado di esercitare la vis attractiva su quella mobile, delineando una regola, seppur non priva di eccezioni, idonea, da un lato, a garantire certezza nei rapporti giuridici, dall’altro, a limitare il diritto del proprietario del suolo, il quale per alienare separatamente la cosa mobile da quella immobile dovrà necessariamente costituire un diritto reale di superficie, secondo le forme e nel rispetto delle previsioni codicistiche.
I due orientamenti
Delineati i tratti principali dell’istituto in esame nei termini anzidetti, la Cassazione prosegue mettendo in luce gli orientamenti per lo più adottati dalle sezioni semplici in risposta al quesito descritto in epigrafe.
In particolare, secondo un primo filone interpretativo, l’accessione opererebbe anche nel caso di comproprietà del suolo, la costruzione eseguita da uno solo dei comunisti divenendo, salvo contrario accordo scritto, automaticamente di proprietà dei contitolari, secondo le quote da ciascuno vantate sul bene immobile sul quale la stessa viene ad esistenza.
In tal caso, dall’operare dell’accessione discenderebbe, altresì, il diritto del comunista costruttore al rimborso delle spese sostenute, dallo stesso esercitabile pro quota nei confronti degli altri comproprietari.
Opposta alla soluzione anzidetta, invece, la posizione ermeneutica, per così dire, “negazionista” prevalentemente seguita dalle corti nell’ultimo ventennio, volta ad escludere l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 934 c.c., difettando, in caso di comproprietà, la qualità del costruttore quale “terzo” rispetto alla titolarità del suolo.
Secondo quest’ultimo indirizzo, infatti, la disciplina dell’accessione si riferirebbe ad opere o costruzioni eseguite da un soggetto su un terreno altrui, e non già anche su di un suolo “parzialmente” proprio, sicché in tali ipotesi troverebbero applicazione le norme in materia di comunione, che configurerebbero, secondo la giurisprudenza richiamata, una deroga al principio di cui all’art. 934 c.c..
Di conseguenza, in ossequio alle regole di cui agli artt. 1100 e ss. del c.c. la nuova opera ricadrebbe nella titolarità di tutti i comunisti laddove eseguita nel rispetto delle regole previste in materia di comunione stessa, mentre apparterrebbe al solo comproprietario costruttore qualora si configurasse quale costruzione “illegittima”.
La contrarietà delle Sezioni Unite rispetto all’orientamento prevalente
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, dunque, elemento indefettibile perché operi l’accessione è l’alterità soggettiva tra costruttore e proprietario del suolo.
Tuttavia, nella pronuncia in esame, la Suprema Corte ritiene di non poter sposare la soluzione recentemente adottata dalle sezioni semplici, proprio non condividendone l’assunto anzidetto.
Le Sezioni Unite rammentano, infatti, come nessun riferimento soggettivo al costruttore sia contenuto nell’art. 934 c.c. del codice civile, norma che detta la “regola generale” in materia di accessione.
Al contrario, le ipotesi di accessione in cui il costruttore vanta la qualità di “terzo” rispetto al dominus sono direttamente contemplate e regolate dal legislatore agli artt. 936 e 937 c.c., norme che non sarebbero altro che un ingiustificato “duplicato” dell’art. 934 c.c. qualora quest’ultimo fosse letto nell’accezione restrittiva menzionata.
Infine, non può non considerarsi il fatto che l’applicazione dell’istituto dell’accessione in caso di coincidenza tra costruttore e proprietario sia prevista espressamente dal codificatore nella fattispecie di cui all’art. 935 c.c. che disciplina, appunto, l’ipotesi in cui il soggetto titolare del suolo realizzi sullo stesso un’opera utilizzando materiali altrui.
A prescindere, però, dall’interpretazione dell’art. 934 c.c., la Suprema Corte non ritiene corretto l’orientamento maggioritario anche allorquando quest’ultimo perviene all’applicazione della disciplina della comunione, considerandola quale deroga al principio di accessione.
Nel ricordare, infatti, che tra le materie de quibus non sussiste alcun rapporto di genere a species , la giurisprudenza sottolinea le criticità della soluzione fino ad oggi praticata.
Il filone interpretativo prevalente, infatti, da un lato, darebbe vita ad un nuovo modo di acquisto a titolo originario della proprietà, privo di base legale, spettante al contitolare – costruttore sul suolo in comunione, a seguito di opera non conforme alle regole del condominio, dall’altro non spiegherebbe quale principio consente l’estensione della comproprietà, alla luce dell’esclusione dell’accessione, in caso di legittimità dell’opera.
In definitiva, la soluzione, oltre che ingiusta in quanto andrebbe a premiare, anziché sanzionare, il contitolare che costruisce non rispettando le regole di cui agli artt. 1100 e ss. c.c., risulterebbe ambigua e in palese violazione della riserva di legge esistente in ordine ai modi di acquisto della proprietà, ricavabile dalla lettura congiunta degli artt.. 42 Cost. e 922 c.c., ultimo inciso.
La soluzione delle Sezioni Unite
A fronte, dunque, di un orientamento dominante per diversi aspetti non condivisibile, la Suprema Corte non può che pervenire alla conclusione circa l’operabilità dell’accessione nel caso in cui a costruire sia uno dei contitolari del bene immobile sul quale l’opera stessa è realizzata.
Per quanto attiene, invece, al regime giuridico che regola i rapporti tra il costruttore e gli altri comproprietari, nel silenzio della disciplina in materia di accensione, la Cassazione ritiene che questo debba essere ricavato dalla norme in materia di comunione e condominio, in particolare da quelle che dispongono in merito all’uso della cosa comune e alle innovazioni.
Secondo quanto stabilito dalle norme anzidette, allora, la nuova costruzione deve essere preventivamente autorizzata dalla maggioranza dei condomini, nonché realizzata in modo da non recare pregiudizio alcuno agli altri comproprietari.
In caso contrario, il comproprietario può esercitare nei confronti del costruttore le ordinarie azioni possessorie, quella di rivendicazione nonché lo ius tollendi, pretendendo la demolizione della opera posta in essere.
Tuttavia, con riguardo alla tutela in forma specifica ex 2933 c.c., la giurisprudenza ricorda come questa non sia priva di limiti, la stessa dovendosi confrontare e bilanciare con i principi di tolleranza, affidamento e buona fede sottesi all’intera disciplina del codice civile.
Invero, l’operare dei principi de quibus esclude il diritto di richiedere il ripristino dello status quo ante in capo al comproprietario che, reso edotto della costruzione, non abbia comunicato il proprio dissenso in merito, lo ius tollendi spettando soltanto al contitolare del suolo manifestamente contrario all’opera realizzata o oggettivamente non a conoscenza dell’esecuzione della stessa.
Di conseguenza, anche la mera tolleranza, da intendersi quale mancata reazione innanzi alla conoscenza dell’abuso intrapreso dal comproprietario costruttore, preclude lo ius tollendi e fa sorgere in favore del costruttore comunista, un diritto di credito nei confronti degli altri contitolari del bene immobile.
Le Sezioni Unite in chiusura precisano infatti che i comproprietari, divenuti contitolari per accessione della nuova costruzione, devono rimborsare al costruttore le spese sopportate per la realizzazione dell’opera, secondo le norme che regolano la comunione e gli altri istituti applicabili alla fattispecie in concreto, in proporzione alle rispettive quote di proprietà.