Cessione del contratto: il consenso del debitore ceduto e il caso in cui una delle due prestazioni sia stata eseguita

in Giuricivile, 2018, 8 (ISSN 2532-201X)

È noto che con la cessione del contratto il titolare di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive non ancora eseguite (cedente) sostituisce a sé un terzo (cessionario) con il consenso dell’altra parte (ceduto).

Più nel dettaglio, ai senti dell’art. 1406 c.c., “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”.

La dottrina (Bianca) annovera la cessione tra le vicende soggettive del contratto e in particolare nella successione a titolo particolare nel rapporto obbligatorio: con la cessione del contratto, cioè,  ad uno dei contraenti si sostituisce un soggetto terzo (cessionario) che subentra interamente nella posizioni contrattuale.

Si parla in tal senso di acquisto derivativo della posizione già costituitasi in capo al cedente, comprensiva cioè non solo del debito o del credito, ma di tutte le posizioni attive e passive, principali ed accessorie, che riguardano il rapporto giuridico ceduto.

Dalle caratteristiche della cessione del contratto come appena evidenziate è chiaro che, in quanto acquisto a titolo derivativo, la cessione del contratto va distinta dalla novazione che, quale vicenda estintiva, comporta l’estinzione del rapporto contrattuale e la costituzione di un nuovo rapporto con diverso contenuto o diverso soggetto.

Nello stesso senso, la cessione del contratto si distingue dalla nomina del terzo nel contratto per persona da nominare poiché il cessionario acquista una posizione già costituitasi in capo al cedente, diversamente dal soggetto nominato che acquista direttamente la posizione contrattuale.

In quanto vicenda unitaria che trasferisce la posizione contrattuale comprensiva di diritti ed obblighi, la cessione del contratto si distingue dalla cessione del credito che, diversamente, ha ad oggetto il trasferimento del solo lato attivo del rapporto obbligatorio. Il creditore con la cessione del credito trasferisce, cioè, il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché questo non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge (art. 1260 c.c.).

Inoltre, con la cessione del credito si cedono solo le azioni volte al recupero del credito (azione di adempimento e garanzie correlate),  mentre con la cessione del contratto si cedono tutte le azioni relative al contratto.

La questione riguardante la necessità di consenso del ceduto

Ed è proprio l’acquisito potere di esperire le azioni contrattuali una delle ragioni che induce la giurisprudenza a superare la teoria secondo la quale la cessione sarebbe un negozio bilaterale e il consenso del ceduto non sarebbe necessario per la perfezione della fattispecie, ma per liberare il cedente dai debiti.

Questa teoria, in particolare, riconduce la cessione del contratto ad un negozio complesso, combinazione di una cessione di crediti con un accollo interno di debiti (Betti, Galgano).

Ciò però, come detto,  difficilmente giustifica l’esperibilità, da parte del cessionario, delle azioni contrattuali che spettavano al cedente.

La giurisprudenza, in accordo con dottrina maggioritaria che discorre di “contratto unitario” (Bianca), afferma allora che la “cessione del contratto costituisce un contratto plurilaterale (alcuni autori parlano di contratto trilatero) che si perfeziona quando il proponente ha notizia dell’accettazione dell’ultimo dei due destinatari, assumendo pertanto imprescindibile rilievo al riguardo il consenso del contraente ceduto che, così come quello delle altre parti, può essere anche tacito (salvo che per il contratto ceduto siano richiesti particolari tipi di forma)”.

La cessione si perfeziona, più chiaramente, con la partecipazione necessaria di tre soggetti (cedente, ceduto e cessionario).

La richiamata differenza nell’oggetto della cessione del contratto rispetto alla cessione del credito giustifica, quindi, il diverso rilievo del consenso della parte ceduta: fondamentale nella cessione dell’intera posizione contrattuale dalla quale derivano non solo diritti, ma anche obblighi, e non richiesto nella cessione del credito.

Il consenso del debitore ceduto, in particolare, è inteso come elemento essenziale del contratto e non come adesione all’accordo intervenuto tra le altre due parti (Bianca). L’affermazione si lega strettamente al principio di relatività espresso dall’art. 1372 c.c. secondo il quale il contratto non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge: il contraente ceduto non può essere assoggettato ad una modifica della sua sfera giuridica senza manifestare il suo consenso in ordine alla cessione.

Il consenso del contraente ceduto, costituendo elemento essenziale del negozio di cessione del contratto è necessario e secondo la giurisprudenza, può essere anche successivo all’accordo tra cedente e cessionario purché nel momento di tale adesione non sia venuto meno l’accordo originario, e permangano, inoltre, tutte le condizioni della cessione, che deve avere per oggetto la complessiva posizione attiva e passiva del contraente ceduto.

Litisconsorzio necessario nei giudizi sulla validità e l’efficacia del contratto

Qualificato il terzo come parte necessaria del contratto, dal punto di vista più strettamente processuale la giurisprudenza ha affermato sussistere il litisconsorzio necessario per i giudizi relativi alla validità ed efficacia del contratto.

Si specifica, però, che il litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto esiste solo quando il giudizio abbia ad oggetto l’accertamento, con efficacia di giudicato, dell’esistenza del negozio di cessione del contratto, ma non anche nel diverso caso in cui il giudizio sia instaurato dal cessionario contro il ceduto per l’adempimento della prestazione che trae il suo titolo dal contratto, poiché in tal caso l’accertamento della sussistenza del negozio di cessione del contratto è svolto in via meramente incidentale con effetto di giudicato limitato alle parti in giudizio

La questione sulla cessione del contratto in caso di esecuzione di una delle due prestazioni

La natura plurilaterale del contratto giustifica anche la previsione codicistica per la quale la cessione deve avere ad oggetto “posizioni corrispettive non ancora eseguite”.

Secondo parte della dottrina, la norma richiede che entrambe le prestazioni non siano state ancora eseguite. Diversamente, se una delle parti avesse già eseguito la propria prestazione verrebbe in rilievo la diversa ipotesi di cessione del credito o del debito (con quanto ne deriva in punto di rilievo del consenso del soggetto ceduto).

Questa teoria esclude, ad esempio, la cessione di un contratto ad effetti reali poiché il consenso in tal caso trasferisce immediatamente il diritto in forza del principio consensualistico scolpito dall’art. 1376 c.c. Nessun dubbio esiste, invece, sulla cedibilità dei contratti con effetti reali differiti (si pensi all’ipotesi di vendita obbligatoria) perché, in questo caso gli effetti del contratto non si sono verificati, a differenza della vendita con effetti reali immediati.

Per superare questa difficoltà altri autori hanno affermato la necessità che solo una delle prestazioni non sia stata ancora eseguita.

In tal senso si afferma che fin quando entrambe le obbligazioni non siano state eseguite il contratto non esaurisce i suoi effetti e, pertanto, può essere ceduto; che non può comunque parlarsi in tal caso di cessione del credito poiché nella cessione confluiscono comunque tutti i diritti potestativi e le azioni riconducibili al contratto che non potrebbero essere acquisiti con la cessione del credito o la cessione del debito.

La giurisprudenza, dal canto suo, non ha assunto posizione unanime, talvolta ammettendo la possibilità di cedere contratti anche parzialmente eseguiti affermando che “difatti caratteristica della cessione del contratto è l’avere ad oggetto la trasmissione di quel complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna delle parti dalla conclusione del contratto, quindi non soltanto debiti e crediti ma anche obblighi strumentali, diritti potestativi, azioni, aspettative ricollegati dalla volontà delle parti, dalla legge o dagli usi al perfezionamento della fattispecie negoziale; pertanto, l’ambito di applicazione dell’istituto non è circoscritto all’ipotesi di contratti a prestazioni corrispettive non ancora compiutamente eseguite, ma si estende anche ai contratti unilaterali e ai contratti a effetti reali; con riferimento a questi ultimi, la cessione è subordinata al consenso del contraente ceduto anche quando abbia ad oggetto la posizione contrattuale del venditore e questi abbia già eseguito la propria prestazione, posto che l’adempimento lascia persistere obblighi, la cui permanenza rende la sostituzione di tale soggetto non irrilevante per la tutela degli interessi del compratore” (Cass. 537157/2000).

Altre volte, invece, si è detto che oggetto della cessione del contratto è la trasmissione del complesso unitario delle situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna delle parti dalla conclusione del contratto: pertanto, occorre che le prestazioni poste a carico delle parti non siano state interamente eseguite, giacché in tal caso non è possibile la successione di un soggetto a un altro nel medesimo rapporto che caratterizza la cessione del contratto (Cass. 1204/2010).

Di recente, la Suprema Corte ha riproposto la tesi secondo cui nessuna delle prestazioni deve essere stata eseguita affermando che “in ragione della struttura necessariamente trilaterale del contratto, la cessione non è più possibile quando una delle parti ha adempiuto a tutte le proprie obbligazioni perché in tal caso non è ravvisabile la condizione necessaria della cessione del contratto, che deve avere per oggetto la complessiva posizione del contraente ceduto” (Cass 19849/2018)

Redattore di manuali per la preparazione post – universitaria in materia di diritto civile e diritto amministrativo. Coordinatore e revisore scientifico di opere collettanee in materia di diritto civile e societario, diritto penale e diritto amministrativo. Ha conseguito il diploma di SSPL ed è laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II con tesi in diritto processuale civile su “La rimessione in termini nel processo civile”.

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