Il 14 luglio 2018 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 87/2018, è entrato finalmente in vigore il Decreto Dignità, primo vero atto normativo dell’esecutivo del Presidente Conte.
Immancabili le polemiche, visto anche che lo stesso decreto, prima di essere pubblicato, ha subito notevoli modifiche e revisioni: si affronterà infatti in un secondo momento la questione dei “riders” e la loro tutela. Fuori dal decreto anche le modifiche al cosiddetto “staff leasing”, ossia alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, prima previste che rimane, ad oggi, (esclusi altri “ripensamenti”) pienamente operativa.
Da valutare anche le ipotetiche modifiche che il Parlamento potrà portare all’interno del decreto stesso: lo stesso Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico si è infatti detto pronto a migliorare il decreto dignità in Parlamento qualora ne possano nascere le esigenze.
Ma cosa prevede il Decreto “dignità”?
Esclusa la disciplina sui cosiddetti “riders”, sono quattro le macro aree su cui opera il Decreto.
- Contrasto al Precariato (Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, somministrazione a tempo determinato, indennità di licenziamento ingiustificato);
- Contrasto alla delocalizzazione;
- Contrasto alla Ludopatia;
- Misure in materia di semplificazione fiscale
Contrasto al Precariato (Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato)
L’art. 1 del Decreto, nel modificare l’art. 19[1] del D.lgs. 81/2015 prevede sostanziali modifiche all’ambito di operatività della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato.
Infatti, fatta salva la possibilità di libera stipulazione tra le parti del primo contratto a termine, di durata comunque non superiore a 12 mesi in assenza di causale, l’ipotetica proroga dello stesso dovrà necessariamente prevedere l’inserimento di una causale.
Ciò avrà come conseguenza che la proroga al primo contratto a termine (nel limite dei 12 mesi) potrà avvenire solo in presenza di determinate esigenze.
È la stessa bozza a prevedere tali esigenze:
- Temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive;
- Connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
- Relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali, individuati con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Nulla vieterà, che in presenza delle suddette esigenze, le parti possano comunque stipulare il primo contratto a termine inserendo ab origine una causale all’interno del rapporto contrattuale.
Cambia radicalmente anche il limite massimo entro il quale poter stipulare o comunque prorogare il contratto a termine. Infatti si passa da 36 mesi del d.lgs. 81/2015 ai 24 del decreto dignità.
Altrimenti, con eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine sarà priva di effetti se non risultante da atto scritto e il contratto sarà considerato fin da subito a tempo indeterminato.
Curiosa la modifica introdotta dal Decreto dignità, per quanto concerne alcuni specifici adempimenti.
Infatti una copia del contratto dovrà essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione lavorativa.
In più, si applicherà un costo contributivo crescente di 0,5 punti per ogni rinnovo a partire dal secondo.
Rispetto al D.lgs. 81/2015, si è previsto un aumento del termine entro il quale impugnare il contratto di lavoro. Non sarà più di 120 giorni ma di 180 giorni.
Il decreto andrà a modificare anche l’art. 21 del D.lgs. 81/2015[2], il quale prevede il massimo di cinque proroghe nell’arco di 36 mesi.
Con il “Decreto dignità” il massimo di proroghe possibile saranno quattro nell’arco di 24 mesi, a prescindere dal numero dei contratti. La sanzione prevista qualora si dovesse superare tale limite sarà sempre la trasformazione a tempo indeterminato
Rimane, chiaramente, il consenso del lavoratore per eventuale proroga.
Modifiche alla Disciplina della Somministrazione di Lavoro
Oltre le modifiche ivi sopra rappresentate, il D.L. 87/2018 ha coinvolto, non senza polemiche, anche una parte della disciplina della somministrazione di lavoro.
Infatti, dal 14 luglio 2018 (giorno di entrata in vigore del decreto), le aziende che vorranno ricorrere alla stipula con le Agenzie di Lavoro di contratti di somministrazione a tempo determinato, dovranno tenere in considerazione la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato cosi come modificata dal decreto dignità; ai contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato non si applicano, però, la disciplina degli artt. 23 e 24 del d.lgs. 81/2015 (“numero complessivo di contratti a tempo determinato[3]” e “diritto alla precedenza”[4]).
Dunque, in sostanza, la somministrazione di lavoro a tempo determinato potrà essere fatta solamente seguendo i presupposti di cui sopra, ossia 12 mesi senza causale e eventuali rinnovi o proroghe o stipuli ulteriori ai 12 mesi con causale.
Indennità di licenziamento ingiustificato
Il D.L. 87/2018 è intervenuto anche per quanto concerne le indennità previste in caso di licenziamento illegittimo in assenza di giusta causa o giustificato motivo oggettivo.
Infatti, per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, il regime di tutele in caso di licenziamento illegittimo, almeno fino al 14 luglio 2018, era quello previsto dal D.lgs. 23/2015, ossia il cosiddetto contratto a tutele crescenti.
Ora, in caso di licenziamento illegittimo il decreto dignità ha previsto un innalzamento delle indennità prevista, passando da un minimo di 6 ad un massimo di 36 mensilità (invece delle precedenti 4 e 24 mensilità).
Rimangono invariate le modalità di calcolo per tali indennità, ossia due mensilità per ogni anno di servizio prestato dal lavoratore in azienda, con il solo obbligo delle 4 mensilità.
Tale modifiche, ad avviso di chi vi scrive, dovrà in seguito essere necessariamente adeguata con le altre norme sparse per il nostro ordinamento che in un’ottica di deflazione del giudizio, avevano creato discipline ad hoc per tentativi di conciliazione per evitare di riempire le aule giudiziarie. (esempio art. 6 d.lgs. 23/2015 “offerta conciliativa”).
Contrasto alla delocalizzazione
Art. 5 (Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti)
Le disposizioni che riguardano il contrasto alla delocalizzazione, previste al Titolo II, sono rivolte a tutte le imprese che abbiano ottenuto dallo Stato aiuti per ampliare o sostenere le proprie attività, che spostano in altri Paesi processi produttivi o fasi di lavorazione alla ricerca di migliori margini di competitività derivanti da un minor costo della manodopera e da una minore regolamentazione del mercato del lavoro ovvero da vantaggi in termini di fiscalità.
Le disposizioni del Decreto “dignità”, partendo dai divieti vigenti[5], introdurranno un regime molto più vincolante e limitato alla possibilità di delocalizzazione in caso di “aiuti di Stato”.
L’art. 4[6] comma 1 stabilisce, infatti, che in caso di delocalizzazione dell’attività economica o di una fase lavorativa per la quale siano stati concessi benefici da parte dello Stato, l’impresa (sia italiana che estera) decadrà da tale beneficio e sarà sottoposta a sanzioni amministrative pecuniarie di un importo pari da due a quattro volte il beneficio ricevuto.
A differenza della legge n. 147/2013, la limitazione si applicherà tanto in paesi extra UE quanto in paesi UE.
La sanzione sarà applicata, a prescindere dalla forma di beneficio diretto all’impresa (Finanziamento, Garanzia, Contributo ecc.).
L’ambito di operatività temporale di tale limite è pari a cinque anni. Quindi, le imprese non potranno delocalizzare le attività economiche riguardanti l’ottenimento del beneficio per un arco temporale di cinque anni, pena la perdita del beneficio e l’applicazione della sanzione di cui sopra.
Il comma 2 dell’art. 4 del Decreto “dignità” assegna alle amministrazioni competenti per l’assegnazione dei benefici, il compito di determinare le modalità mediante le quali verrà attuato il controllo del rispetto del vincolo, nonché le modalità con cui far restituire i benefici alle imprese sanzionate.
Art. 6 (Tutela dell’occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti)
L’art. 5 del Decreto, sempre nell’ottica di tutelare quanto più possibile i livelli occupazionali, prevede che gli aiuti di Stato potranno essere revocati (dalle amministrazioni pubbliche competenti) alle imprese che ridurranno i livelli occupazionali dell’unità produttiva o dell’attività interessata dal beneficio di Stato, nel limite di cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa.
I tempi e le modalità della revoca dovranno essere definiti da ciascuna amministrazione competente per il controllo dei vincoli di cui sopra.
La misura della revoca sarà, in ogni caso, determinata tenendo contro della dimensione dell’impresa e dell’entità della riduzione del livello occupazionale.
Le disposizioni di cui sopra, si applicheranno anche alle misure di aiuto già attivate dalla data di entra in vigore del Decreto; le amministrazioni competenti, in questi casi specifici, dovranno entro 180 giorni apportare i necessari adeguamenti alla luce della disciplina cosi prevista.
Contrasto alla Ludopatia
Art. 9 (Pubblicità giochi e scommesse)
Il Decreto suddetto ha previsto forti limitazioni in materia di pubblicità del gioco d’azzardo e scommesse.
Infatti, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, sarà vietata ogni forma di pubblicità, anche indiretta, relativa ai giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive e radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica e le pubblicità in internet.
Tale divieto, inoltre si applicherà, dal gennaio 2019 anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale.
L’inosservanza dei limiti di cui sopra, fatto salvo quanto previsto dall’art. 7 comma 6 del D.L. n. 158/2012[7], comporterà a carico del committente, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione o dell’organizzatore della manifestazione, evento o attività, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria commisurata nella misura del 5 % del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, ad un importo minimo di euro 50.000.
L’amministrazione competente alla contestazione ed all’irrogazione delle sanzioni di cui sopra sarà l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Le sanzioni saranno applicate anche alla luce delle legge n. 689/1981 e successive modifiche.
Ai contratti di pubblicità in corso di esecuzione prima dell’entrata in vigore del decreto dignità, invece, si applicherà il vecchio regime fino alla conclusione dei contratti suddetti e comunque per non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Misure in materia di semplificazione fiscale
Per quanto concerne le misure in materi di semplificazioni fiscale, il D.L. 87/2018 è intervenuto sulla disciplina del Redditometro, dello Spesometro e dello Split Payment.
Redditometro
Il decreto ministeriale che elenca gli elementi indicativi di capacità contributiva attualmente vigente non avrà più effetto per i controlli ancora da effettuare sull’anno di imposta 2016 e successivi.
Spesometro
Sostanzialmente, il decreto dignità ha previsto un rinvio della scadenza per l’invio dei dati relativi al terzo trimestre del 2018 al 28 febbraio 2019.
Split payment
Qui, il decreto dignità ha previsto l’abolizione dello strumento (split payment) per le prestazioni di servizi rese da professionisti alle pubbliche amministrazioni, i cui compensi sono assoggettati a ritenute a fonte a titolo di imposta o a titolo di acconto.
[1] Art. 19 D.lgs. 81/2015: “1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a trentasei mesi.
2. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i trentasei mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
3. Fermo quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.
4. Con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l’apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. 5. Il datore di lavoro informa i lavoratori a tempo determinato, nonché le rappresentanze sindacali aziendali ovvero la rappresentanza sindacale unitaria, circa i posti vacanti che si rendono disponibili nell’impresa, secondo le modalità definite dai contratti collettivi.”
[2]Art. 21 D.lgs. 81/2015: “1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a trentasei mesi, e, comunque, per un massimo di cinque volte nell’arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga.
2. Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525.
3. I limiti previsti dal presente articolo non si applicano alle imprese start-up innovative di cui di cui all’articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo 25 per le società già costituite.”
[3] Art. 23 D.lgs. 81/2015.
[4] Art. 24 D.lgs. 81/2015.
[5] Art. 1 commi 60 e 61, della legge n. 147/2013.
[6] Art. 4 Decreto dignità: “fatti salvi i vincoli derivanti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato e di utilizzo dei fondi strutturali europei, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato, decadono dal beneficio qualora l’attività economica interessata dallo stesso o di una sua parte venga delocalizzata in un altro Stato entro dieci anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’intervento indebitamente fruito.”
[7] Art. 7 comma 6 D.L. n. 158/2012: “Il committente del messaggio pubblicitario di cui al comma 4 eil proprietario del mezzo con cui il medesimo messaggio pubblicitario e’ diffuso sono puniti entrambi con una sanzione amministrativa pecuniaria da centomila a cinquecentomila euro. L’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 5 e’ punita con una sanzione amministrativa pecuniaria pari a cinquantamila euro irrogata nei confronti del concessionario; per le violazioni di cui al comma 5, relative agli apparecchi di cui al citato articolo 110, comma 6, lettere a) e b), la stessa sanzione si applica al solo soggetto titolare della sala o del punto di raccolta dei giochi; per leviolazioni nei punti di vendita in cui si esercita come attivita’ principale l’offerta di scommesse, la sanzione si applica al titolare del punto vendita, se diverso dal concessionario. Per le attivita’ di contestazione degli illeciti, nonche’ di irrogazione delle sanzioni e’ competente l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, successivamente alla sua incorporazione, ai sensi della legislazione vigente, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che vi provvede ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.”