Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha reputato illegittima l’eccezione di inadempimento sollevata dalla cliente in ordine al pagamento del compenso dovuto al professionista che esegua, nelle more del giudizio per ottenere l’onorario, la prestazione originariamente dedotta in contratto.
I Giudici di legittimità hanno cassato con rinvio la pronuncia della Corte d’appello di Milano che considerava infondata l’azione di adempimento dello specialista e lo condannava al risarcimento del danno per lite temeraria.
Così decidendo, la Cassazione ha chiarito la natura della prestazione professionale e ha ribadito alcuni punti fondamentali in tema di adempimento delle obbligazioni.
A tal proposito, onde comprendere al meglio il percorso logico-motivazionale degli interpreti, si impone una breve descrizione della vicenda.
I fatti di causa
Tizio, medico legale, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la sua cliente al fine di ottenere il pagamento del compenso dovuto da quest’ultima in forza di un contratto d’opera professionale per la valutazione dei danni da lei subiti a seguito di cure oculistiche.
La pretesa attorea trovava essenzialmente fondamento su due circostanze. Si deduceva, infatti, che la cliente, invitata a ritirare il parere medico legale ultimato già alla data del 1 marzo 2006, aveva manifestato la volontà di recedere dal contratto, formalizzata poi con lettera raccomandata del 5 aprile 2006.
In secondo luogo, la stessa, sollecitata a liquidare il compenso convenuto per l’attività resa in suo favore, non ottemperava a tale richiesta.
Dal canto suo, la cliente sosteneva in giudizio l’insussistenza dell’obbligo al pagamento sulla base dell’asserita tardività ed inattendibilità dell’elaborato medico.
La domanda veniva rigettata dal Tribunale di Milano che provvedeva a condannare l’attore al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
L’impianto del Giudice di primo grado veniva poi cristallizzato dalla Corte d’appello di Milano che confermava la decisione sulla base delle seguenti argomentazioni.
I Giudici d’appello condividevano, infatti, sia la ricostruzione iniziale dell’incarico operata dal Tribunale, alla stregua della quale il professionista avrebbe dovuto redigere solamente un parere medico, sia la valutazione che lo stesso non fosse stato messo a disposizione della cliente.
Con maggiore impegno esplicativo, la Corte distrettuale osservava che la convenuta avesse avuto conoscenza dell’elaborato solo con l’introduzione del giudizio promosso dal medico legale per il recupero dell’onorario e che, quindi, tale infruttuoso decorso temporale avesse fatto venir meno il suo interesse all’adempimento della prestazione. Tale circostanza avrebbe, perciò, in radice escluso il diritto al compenso vantato dal professionista.
Su queste basi Tizio proponeva ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi di gravame.
I motivi del ricorso in cassazione
Per quanto di maggior interesse in questa sede, occorre fare riferimento alla seconda doglianza con la quale l’attore denunciava la violazione e falsa applicazione delle norme sull’adempimento delle obbligazioni (artt. 1176; 1182; 1206 ss. c.c.).
Si sosteneva, infatti, che, data la natura della prestazione, da eseguirsi presso il domicilio del debitore/professionista, dovesse essere la creditrice/cliente a rendersi parte diligente per ottenere la disponibilità del parere e non il contrario.
Tenendo a mente, dunque, che l’elaborato medico era stato ultimato in data ben precedente a quella in cui veniva esercitato il diritto di recesso, la prestazione professionale doveva ritenersi adempiuta e, quindi, pagata.
Orbene, sulla base di tale motivo, la Suprema Corte accoglieva il ricorso con assorbimento degli altri motivi e cassava la sentenza con rinvio per sottoporre la questione a nuovo esame.
La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto esposto, i Giudici di legittimità hanno impostato la loro decisione sulle seguenti argomentazioni.
Si asseriva, innanzitutto, che la Corte d’appello avesse ritenuto validamente proposta l’eccezione di inadempimento da parte della convenuta anche se sollevata successivamente alla messa a disposizione del parere nel giudizio instaurato dal medico per ottenere il compenso.
Tale decisione, però, non considerava, sul piano dei principi generali in tema di adempimento, che, avendo riguardo alla natura della prestazione dedotta in contratto, ossia la consegna dell’elaborato medico-legale, il locus destinatae solutionis andasse individuato nel domicilio del professionista.
In secondo luogo, si constatava che nel caso di specie mancasse la costituzione in mora del debitore, come disciplinata dall’art. 1219.1 c.c.
Sul punto la Suprema Corte ha osservato come “per la risoluzione del contratto per inadempimento non è, in generale, richiesta la costituzione in mora, essendo dalla legge imposta come unica condizione, al riguardo, il fatto obbiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza ed essendo l’intimazione ad adempiere richiesta soltanto per la produzione di specifici effetti dell’inadempimento, quali il trasferimento, a carico del debitore, del rischio della prestazione (cosiddetta perpetuatio obligationis), e il rendere, inoltre, il debitore responsabile dei danni derivati dall’inadempimento. La necessità della costituzione in mora ai fini della risoluzione per inadempimento (e, a fortiori, ai fini della domanda di risarcimento) può concepirsi soltanto se la risoluzione si basi sulla mora in senso stretto, cioè su di un inadempimento temporaneo e quindi non definitivo, e l’inadempimento riguardi una prestazione da eseguire al domicilio del debitore” (Cass. n. 2602/1971).
La Corte, richiamando la giurisprudenza di legittimità precedente, ha chiarito, poi, che in siffatta ipotesi si verificherebbe una deroga alla disciplina generale del codice civile in materia di risoluzione per inadempimento ispirata al principio di immutabilità della contestazione.
In particolare, è esclusa l’applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 1453 c.c. secondo cui il debitore inadempiente non può tardivamente eseguire l’obbligazione a partire dalla data della domanda di risoluzione.
Corollario di ciò è la possibilità per il debitore, il quale sia tenuto ad eseguire la prestazione presso il proprio domicilio e che non sia stato costituito in mora prima del giudizio di risoluzione, di adempiere successivamente alla proposizione della domanda di risoluzione stessa, la quale ha valore anche di atto di costituzione in mora, fino alla prima udienza di trattazione.
Applicando tali considerazioni al caso concreto di cui si discute si impone, preliminarmente, una precisazione.
Nella fattispecie in esame, infatti, l’inadempimento veniva fatto valere dalla cliente in via di eccezione, nell’ambito della causa promossa dal professionista per ottenere il pagamento dell’onorario.
Tuttavia, sebbene si esuli dall’ambito applicativo della risoluzione per inadempimento, i principi enucleati dalla Cassazione trovano ugualmente spazio se si considera che la consegna del parere medico doveva svolgersi presso il domicilio del professionista e che mancava qualsivoglia preliminare costituzione in mora.
A fortiori, secondo la Suprema Corte, i Giudici d’appello avrebbero dovuto correttamente prendere atto di un’ulteriore, significativa circostanza: la mancanza di una dichiarazione scritta del medico di non voler adempiere.
In conclusione, dunque, in un’ottica interpretativa divergente rispetto a quella prospettata dai Giudici di merito, si sarebbe dovuto tenere caldamente in considerazione la messa a disposizione dell’elaborato al momento di introduzione della lite e valutare, sulla base di ciò, se vi fosse utilità per la creditrice/cliente ad ottenere un adempimento tardivo e, quindi, se effettivamente l’eccezione di inadempimento fosse attuale, astrattamente fondata e giustificata.