La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità da parte del nuovo coniuge

in Giuricivile, 2018, 6 (ISSN 2532-201X)

Il quadro normativo fra abolizione del rito di delibazione e Concordato

Nella problematica della delibazione di sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio, avviene ormai sovente che detta sentenza vada ad inserirsi in un contesto familiare ormai mutato, nel quale uno dei due originari coniugi ha contratto nuove nozze, anche prima della delibazione della pronuncia nell’ordinamento italiano.

Il caso non è infrequente, stante il carattere di profondo rispetto che, in taluni contesti familiari, è diretto nei confronti di quanto sancito dal Tribunale della Rota Romana. Si rende pertanto necessario analizzare gli effetti che la sentenza ecclesiastica di nullità produce nei confronti del nuovo coniuge di uno dei due originari contraenti.

Giova preliminarmente illustrare il quadro normativo che regola la materia. L’art. 64 della legge 31.5.1995, n. 218[1], a mente del quale “La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: a) il giudice che l’ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano;[2] … f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero [3]; g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico”. Tale normativa del 1995, fra le numerose modifiche, ha fondamentalmente abrogato il procedimento di delibazione di cui agli artt. 796 c.p.c. e ss..

Nonostante la normativa appena richiamata, le sentenze ecclesiastiche in tema di validità dei matrimoni celebrati secondo il rito concordatario, rese dai Tribunali della Rota Romana, continuano a vedersi applicare la disciplina della delibazione, richiamata indirettamente dall’art. 8 n. 2 della l. n. 121/1985[4], secondo cui “Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d’appello competente, quando questa accerti: a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo; b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. La corte d’appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia”.

Come è noto, non tutti i vizi che l’ordinamento canonico ritiene invalidanti il matrimonio concordatario saranno tali agli occhi dell’ordinamento italiano, atteso che quest’ultimo pone quale limite implicito ed esplicito alla delibazione l’ordine pubblico (in particolare, si veda la copiosa giurisprudenza in tema di infertilità[5], riserve mentali[6] o riguardo la convivenza successiva alla celebrazione del matrimonio, in cui si distingue appunto tra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto[7]). Tali pronunce rendono evidente che è ben possibile una divergenza sostanziale tra il diritto canonico e il diritto civile italiano, e che ciò non impedisce la delibazione a meno che non si producano effetti contrari all’ordine pubblico interno.

Ove ciò non avvenga e, a fortiori, la causa di nullità sia pienamente riconosciuta come tale sia dal diritto canonico sia dal diritto civile italiano, sarà possibile la delibazione della sentenza di nullità del matrimonio, pronunciata dal Tribunale ecclesiastico. È d’uopo allora chiedersi se e quali effetti abbia tale delibazione su un matrimonio successivo, contratto da uno dei coniugi con altro soggetto in violazione della libertà di stato ex art. 86 c.c., e se l’ingresso della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del primo matrimonio sia in grado di avere effetti benefici sul secondo, sanandone il vizio.

L’esperibilità della delibazione nel caso di disgregazione e scioglimento del rapporto originario e nel caso di secondo matrimonio sopravvenuto

È opportuno precisare che secondo la Suprema Corte “la sentenza ecclesiastica che abbia accertato e dichiarato nullo un matrimonio concordatario per la mancata manifestazione del consenso nelle forme prescritte dal diritto canonico può essere delibata, tenuto conto che anche per l’ordinamento italiano la mancata manifestazione del consenso nelle forme prescritte dall’art. 107 c.c. è causa di nullità del matrimonio, nella forma radicale dell’inesistenza”[8].

Sono cause di inesistenza del matrimonio la mancanza dei requisiti formali della celebrazione, del consenso degli sposi e della loro diversità di sesso[9]. Pertanto, essendo il vizio del consenso una figura di invalidità/inesistenza in comune tra l’ordinamento canonico e quello civile italiano, la sentenza ecclesiastica che rilevi un vizio di consenso è compatibile col diritto interno italiano e con la nozione di ordine pubblico interno e, pertanto, la sua delibazione è ammessa[10].

Ciò premesso, e salvo le ipotesi di impossibilità giuridica di delibazione della sentenza, occorre procedere ad analizzare il caso specifico in cui la delibazione della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità di un matrimonio sia chiesta quando sia già avvenuta la disgregazione familiare. Sul punto, va ricordato che “il promuovimento dell’azione di nullità del matrimonio [dinanzi al giudice ecclesiastico] non incide sulla proponibilità o procedibilità della domanda di separazione personale dei coniugi, né determina l’obbligo di sospendere il relativo procedimento, ma spiega effetto su quest’ultimo solo quando, in pendenza dello stesso, anche in grado d’appello, sopravvenga una pronuncia definitiva che dichiari detta nullità” (ad es. in sede di delibazione di sentenza del tribunale ecclesiastico)[11].

Questo significa che può essere delibata nell’ordinamento italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità di un matrimonio, anche ove sia già intervenuta sentenza di separazione personale dei coniugi.

Ciò ha effetti non poco importanti sulla specifica ipotesi in esame. Infatti, come è noto, la separazione personale non comporta libertà di stato, sicché non è possibile convolare a nuove nozze fino allo scioglimento e alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Sicché, può ben accadere che il coniuge separato, a seguito dell’ottenimento della sentenza di nullità da parte del Tribunale ecclesiastico, abbia ugualmente celebrato un nuovo matrimonio. Ciò confidando nel fatto che, pur non essendo ancora divorziato, la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità nell’ordinamento italiano avrebbe prodotto l’effetto di travolgere il precedente vincolo coniugale, a prescindere dalla separazione personale nel frattempo pronunciata dal giudice italiano.

In effetti, risalendo alla radice del rapporto giuridico, la delibazione della sentenza ecclesiastica produrrebbe l’effetto di rimuovere qualsiasi causa di nullità di successivi matrimoni ex art. 86 c.c., per mancanza di libertà di stato. In tal caso, verrebbe meno l’impedimento, anche retroattivamente, ad un secondo matrimonio eventualmente celebratosi in vigenza del primo, ove questo sia dichiarato nullo.

In tale situazione, per quanto riguarda i rapporti tra coniugi dinanzi al giudice italiano, si determina (sempre, si deve ritenere) la cessazione della materia del contendere. In effetti, la nullità del matrimonio farebbe venir meno qualsiasi interesse giuridicamente apprezzabile a continuare eventuali giudizi pendenti, inclusi quelli nei quali si è chiesto un accertamento della responsabilità della separazione[12]. Venendo meno di per sé il vincolo coniugale e data la possibilità di conversione del rapporto nullo in matrimonio c.d. putativo ex art. 128 c.c. per il coniuge in buona fede[13], la prosecuzione del giudizio di separazione personale o scioglimento e cessazione degli effetti civili non produrrebbe alcun vantaggio (ulteriore) in capo al coniuge ricorrente.

Questo significa che anche nel caso in cui siano state emesse o siano passate in giudicato sentenze di separazione o divorzio dei coniugi, può essere delibata nell’ordinamento italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio, che travolge ex tunc il rapporto giuridico e lo travolge[14]. Di conseguenza, deve ritenersi altresì che venga meno l’impedimento, anche retroattivamente, ad un secondo matrimonio eventualmente celebratosi in vigenza del primo (nullo).

A conferma di ciò, la Suprema Corte aveva stabilito in una risalente pronuncia che “Principio fondamentale dell’ordinamento statuale è che finché perdura la comunanza di vita tra coniugi, il matrimonio non può essere sciolto consensualmente, ma questo non esclude, al momento in cui tale comunione di vita si incrina, la rilevanza del vizio di consenso (comunque configurabile: riserva mentale, condizione o termine) e perciò non osta alla delibazione di una sentenza ecclesiastica, dichiarativa della nullità del matrimonio religioso per apposizione di una condizione de futuro al vincolo”[15].

E ancora, una recentissima pronuncia precisa che “tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, così che il secondo debba essere necessariamente sospeso, ex art. 295 c.p.c., a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione, trattandosi di procedimenti autonomi, sfocianti in decisioni di natura diversa ed aventi finalità e presupposti diversi[16], di specifico rilievo in ordinamenti distinti”[17].

La legittimazione attiva a chiedere la delibazione per i soggetti diversi dai coniugi.

È dunque pacifica la possibilità di delibare la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, anche se siano già state emesse pronunce, fra gli stessi coniugi, di separazione personale o scioglimento e cessazione degli effetti civili di tale matrimonio. Altrettanto pacifico è l’effetto benefico che da tale delibazione trarrebbe il secondo matrimonio che, celebrato in violazione dell’art. 86 c.c. in tema di libertà di stato, è nullo solo se e fintanto che esista un precedente vincolo coniugale, ancorché disciolto.

Ciò posto, si rende necessario chiarire chi siano i soggetti legittimati a chiedere al giudice italiano la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità. Infatti, è probabile che sia proprio il secondo coniuge, inconsapevole dell’esistenza del primo matrimonio del suo partner, ad azionare per primo il rimedio processuale.

Ciò al fine di invalidare il precedente vincolo, sanando il successivo, ottenendo da quest’ultimo tutti i diritti e le aspettative, patrimoniali e non, che derivano per legge dal matrimonio. Se, infatti, il matrimonio celebrato per secondo fosse dichiarato nullo ex art. 86 c.c., il coniuge in buona fede, come già osservato, avrebbe sì la possibilità di godere della tutela putativa di cui all’art. 128 c.c., beneficiando di tutti gli effetti derivanti dal matrimonio.

Tuttavia, a norma di legge, gli effetti del matrimonio putativo si producono soltanto fino alla sentenza che dichiara la nullità del matrimonio. Inoltre, essi nascono in capo al coniuge in buona fede e, sebbene questa si presuma, la legge ammette la prova contraria. Atteso l’interesse che dunque anima il coniuge in buona fede del matrimonio contratto per secondo, bisogna pertanto chiedersi se costui possa chiedere la delibazione della sentenza che dichiara la nullità del primo matrimonio dell’altro.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità afferma con orientamento pacifico che “In tema di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della invalidità del matrimonio concordatario, deve negarsi l’esistenza, nell’ordinamento nazionale, di un principio di ordine pubblico secondo il quale il vizio che inficia il matrimonio possa essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia viziato. … (Rigetta, App. Bari, 26/06/2012)”[18].

Infatti, più in generale, la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimazione attiva a chiedere la delibazione, nel nostro ordinamento, della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio. I Giudici di legittimità hanno sancito che “gli eredi del coniuge deceduto non sono legittimati a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio religioso, ai sensi dell’art. 8 dell’Accordo firmato in Roma il 18.2.1984, che ha modificato il Concordato lateranense dell’11.2.1929, tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985, in quanto, diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, il procedimento non ha natura officiosa”.

In effetti, “la titolarità del potere di chiedere la delibazione della pronuncia ecclesiastica spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l’ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l’azione di impugnazione del matrimonio prevista dal cod. civ., non rilevando, in contrario, che nell’ordinamento ecclesiastico gli eredi del coniuge deceduto siano invece legittimati ad instaurare il giudizio di nullità del matrimonio religioso, in quanto questa legittimazione non può fondare la legittimazione alla proposizione della domanda di delibazione”[19].

Sulla scorta di quanto appena detto, soltanto chi è legittimato ad impugnare il matrimonio ex art. 117 c.c., distinguendosi dal quivis de populo e qualificato dall’ordinamento quale soggetto avente una situazione meritevole di tutela, può altresì proporre l’azione per la delibazione nell’ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica che abbia dichiarato l’invalidità ex tunc del matrimonio concordatario.

Prevede infatti la norma che “Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 86 [c.p. 556], 87 e 88 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale”. Ebbene, chiunque vi abbia un interesse legittimo ed attuale, come nel caso di specie, può impugnare il matrimonio invalido. In applicazione dei principi affermati dalla Cassazione, costoro possono altresì proporre la delibazione delle sentenze ecclesiastiche che tale invalidità sanciscono.

Per quanto riguarda l’interesse legittimo ed attuale, una famosa sentenza della Suprema Corte ha precisato che “lo “interesse legittimo ed attuale”, la cui titolarità è richiesta, ai sensi dell’art. 117 primo comma cod. civ., per la legittimazione all’impugnazione del matrimonio stesso da parte di soggetti diversi dai coniugi, dagli ascendenti prossimi e dal pubblico ministero, non può identificarsi con qualunque interesse, morale o patrimoniale, giuridicamente rilevante per la rimozione del vincolo invalido, secondo gli ampi criteri operanti per l’Azione di nullità del contratto (art. 1421 cod. civ.), ma è ravvisabile, alla stregua dei principi generali che circoscrivono e limitano le cause d’Invalidità del matrimonio e le azioni per farle valere, nei soli casi in cui vi siano posizioni soggettive di terzi che siano attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere, e che inoltre traggano un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso”[20].

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, si può rappresentare che la delibazione della sentenza ecclesiastica nell’ordinamento italiano è azionabile da parte di un soggetto che abbia un interesse patrimoniale, morale e familiare coinvolto nella questione dell’invalidità del matrimonio concordatario. Tale è il nuovo coniuge di uno dei due originari contraenti, che ha un fascio di interessi giuridicamente rilevanti, condizionati alla validità (recte: invalidità) del matrimonio dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico, interessi di natura patrimoniale e morale.

Essi consistono non soltanto nel c.d. diritto al mantenimento, ma anche nella conservazione dei diritti successori, nelle aspettative legittime derivanti dal rapporto di coniugio (eventuali alimenti ex art. 433 c.c., assistenza morale e materiale anche successiva alla separazione personale, diritto di abitazione della casa coniugale), nonché nella conservazione dei legami di parentela e affinità all’interno del nucleo familiare.


[1] Legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

[2] “ b) l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia e’ stata dichiarata in conformità a tale legge: d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata; e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato;”.

[3] Come si vedrà infra, i giudizi di separazione personale e scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio non hanno lo stesso oggetto né, in effetti, la stessa causa petendi del giudizio di nullità. Pertanto, potrebbero ricadere nell’ambito dell’eccezione ivi prevista solo le sentenze del giudice italiano volte a dichiarare l’originaria nullità del matrimonio, per cui la sentenza ecclesiastica di nullità non potrebbe, in tal caso, essere delibata nel diritto italiano.

[4] Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

[5] In proposito, Cass. 18.2.1985, n. 1376 stabilì il punto fermo per il quale “La delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, resta esclusa, ai sensi degli art. 1 l. 27 maggio 1929, n. 810 e 17 2° comma l. 27 maggio 1929, n. 847 (nel testo fissato dalla pronuncia della corte costituzionale n. 18 del 1982), solo nei casi di violazione del diritto delle parti di agire e resistere in giudizio, ovvero di statuizioni contrarie all’ordine pubblico italiano; pertanto, qualora detta nullità sia stata dichiarata, su istanza della moglie, ex capite impotentiae viri, … la delibazione medesima non può trovare ostacolo n’ nella circostanza che … la nullità sia stata pronunciata nonostante il verificarsi di una coabitazione annuale dopo la scoperta della situazione d’impotenza, in difformità di quanto previsto dall’art. 122 c.c., trattandosi di divergenze fra l’ordinamento canonico e l’ordinamento italiano che non investono il suddetto limite dell’ordine pubblico”.

[6] Ove Cass. n. 2467/2008 si è espressa nel seguente senso: “Va delibata la sentenza ecclesiastica che abbia pronunciato la nullità del matrimonio per esclusione, da parte di uno dei coniugi, dei bona matrimonii, purché tale divergenza tra volontà e dichiarazione sia stata manifestata all’altro coniuge o da questo conosciuta o comunque conoscibile con ordinaria diligenza. Il giudice italiano, dovendo esprimere una valutazione, estranea all’oggetto del giudizio canonico, di garanzia dell’affidamento negoziale incolpevole da parte del coniuge, può provvedere ad un’autonoma valutazione delle prove, secondo le regole del processo civile. … Il giudice a quo esprime una valutazione di fatto, insuscettibile di controllo da parte di questa Corte, sorretta da motivazione adeguata e non illogica”.

[7] Cfr. Cass. VI, 29.8.2017, n. 20524, che ha accolto il ricorso di una donna che aveva impugnato la pronuncia della Corte di appello di Campobasso con la quale i giudici avevano permesso la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario: coerentemente con l’orientamento già sancito da Cass. Sez. Un. n. 16379/2014, la convivenza è elemento essenziale del matrimonio-rapporto, e pertanto “ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario … integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi di sovranità e di laicità dello Stato”. Perciò, il matrimonio-rapporto, ormai consolidato, prevale sul vizio del matrimonio-atto.

[8] Cass. I, 14.2.1975, n. 569.

[9] Cass. I, 26.3.1964, n. 684.

[10] Salvo quanto detto ut supra.

[11] Cass. I, 12.1.1981, n. 259.

[12] Cass. I, 12.1.1981, n. 259.

[13] Ossia inconsapevole della causa di nullità ex art. 86 c.c..

[14] Per completezza, è opportuno precisare che le convenzioni patrimoniali e personali raggiunte dagli ex coniugi permangono, come regolamento dei loro interessi reciproci e discendenti da obblighi reciproci, ma la causa giuridica di tale rapporto viene meno.

[15] Cass. I, 11.6.1997, n. 5243.

[16] In quanto tendente l’uno all’accertamento della validità (e finanche dell’esistenza) del vincolo coniugale, e l’altro alla regolazione, costituzione, modificazione ed estinzione dei diritti da esso derivanti, nonché alla regolazione dei rapporti patrimoniali e personali conseguenti allo scioglimento di detto vincolo.

[17] Cass. VI, ord. 9.3.2018, n. 5670.

[18] Cass. I, 18.4.2014, n. 9044.

[19] Cass. I, 1.12.2004, n. 22514.

[20] Cass. n. 720/1986.

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