La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza del 1 aprile 2015 n. 6611, si è nuovamente pronunciata sul tema della delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, stavolta con specifico riferimento all’ipotesi di nullità per difetto del consenso di uno dei coniugi.
Nella fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte, il Tribunale Ecclesiastico Regionale aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per incapacità del marito ad assumere gli oneri coniugali, mentre la Corte territoriale, privilegiando il matrimonio-rapporto e facendo applicazione del principio fondato sul favor per la validità del matrimonio, aveva negato la delibazione della sentenza di nullità.
La pronuncia di seconde cure veniva, dunque, impugnata deducendosi che la decisione ecclesiastica fondata sul vizio consistente nell’incapacità dell’uomo derivante da cause di natura psichica non poteva ritenersi in contrasto con l’ordine pubblico italiano e che la Corte d’appello, nel valorizzare la convivenza come causa ostativa alla delibazione, non avrebbe considerato che la coabitazione nella specie era durata soltanto sei mesi.
Orbene, la Corte di Cassazione, richiamando il principio secondo cui, in tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti di inattitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidità contemplata dall’art. 120 c.c. (c.d. incapacità di intendere e di volere), ha escluso che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell’ordinamento italiano.
Al contrario, in caso di incapacità naturale, quale causa d’invalidità del matrimonio, sorge la preminente esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico.
Quanto alla seconda censura relativa alla rilevanza della tutela del matrimonio-rapporto, la Cassazione ha prevedibilmente fatto riferimento ai principi affermati dalle SS.UU. (sentenze nn. 16379 e 16380 del 17 luglio 2014) e ribaditi recentemente nella già commentata sentenza n. 6016 depositata il 25 marzo 2015, secondo cui non può aversi delibazione della sentenza di nullità di un Tribunale ecclesiastico se c’è stata convivenza coniugale, solo ove quest’ultima si sia protratta per almeno tre anni.