Con l’ordinanza n. 30622/2017 la Cassazione, in un giudizio di legittimità in materia di azione revocatoria, ha colto l’occasione per rimettere al vaglio delle Sezioni Unite la questione dell’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., per il mancato deposito della «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta».
Il caso in esame
Nel caso di specie il ricorrente ha espressamente dedotto che la sentenza impugnata era stata allo stesso notificata via posta elettronica certificata il giorno 8 settembre 2015.
Tuttavia, dagli atti del fascicolo, si rinveniva soltanto copia autentica di detta sentenza, rilasciata con attestazione di conformità dalla Cancelleria dell’Ufficio giudiziario emittente.
Invece, per quanto concerne la relazione di notificazione, il ricorrente produceva soltanto la copia stampata, priva di attestazione di conformità, del messaggio di posta elettronica certificata con cui illo tempore venne notificata la sentenza impugnata.
Poiché il controricorrente non ha allegato la copia autentica della relazione di notifica della gravata sentenza, detto documento risultava mancante dagli atti del fascicolo di ufficio.
Le interpretazioni giurisprudenziali
La Corte ha richiamato il recente indirizzo interpretativo, espresso sul punto a partire dalla sentenza n. 17450/2017, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematica ai sensi dell’art. 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione sancito, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 richiamato, il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della stessa legge n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione.
La ratio della sentenza citata ha preso le mosse dall’esigenza di consentire alla Corte il controllo sulla tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, potrebbe avvenire soltanto nel rispetto del cd. termine breve stabilito dall’art. 325 c.p.c..
Tale controllo non potrebbe essere sostituito dal contegno processuale delle parti, attraverso, ad esempio, la non contestazione oppure addirittura l’esplicita ammissione.
Di conseguenza, secondo la Corte, è apparso in linea con l’enunciato di cui all’art. 369 c.p.c., l’esclusione della comminatoria della sanzione dell’improcedibilità qualora, pur avendo il ricorrente omesso il prescritto deposito, la relazione di notifica possa risultare comunque nella disponibilità del giudice perché il documento sia stato tempestivamente prodotto dal controricorrente oppure perché esso sia presente tra gli atti del fascicolo di ufficio, trasmesso dal giudice a quo (così Cass., Sez. U, 02/05/2017, n. 10648).
Il rapporto tra PCT e giudizio di Cassazione
I principi esposti dalla Suprema Corte, tuttavia, devono necessariamente scontare l’attuale limitata portata delle disposizioni sul processo civile telematico nel giudizio di cassazione.
Ed infatti, la telematicità risulta circoscritta alle sole comunicazioni e notificazioni da parte delle cancelleria delle sezioni civili così come statuito dall’art. 16, comma 10, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
Ciò comporta per l’Avvocato, tenuto presso le Corti di merito ad effettuare le proprie produzioni con modalità telematiche, che in sede di legittimità la medesima attività imponga, necessariamente, la preventiva “conversione” dei documenti digitali in formato analogico.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte ciò ha comportato che al fine di fornire la prova della tempestività del ricorso, sarebbe stato necessario depositare copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e della relazione di notifica ad esso allegata predisponendo apposita attestazione di conformità degli estratti analogici ai documenti digitali ricevuti secondo il combinato disposto dei commi 1-bis ed 1-ter dell’art. 9 della legge n. 53 del 1994. Tale prescrizione, tra l’altro, avrebbe dovuto essere seguita anche nella prospettiva del destinatario della notificazione telematica.
Secondo la Corte, la questione sulle modalità di assolvimento dell’onere di produzione della relazione di notifica della sentenza eseguita in via telematica, per le conseguenze che determina, ha richiesto il necessario intervento nomofilattico della Cassazione, essendo ricorse le condizioni per la rimessione al Primo Presidente per valutare ex art. 374 c.p.c. l’opportunità di un’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.