Il silenzio-assenso nel diritto civile e negli organi delle procedure concorsuali

in Giuricivile, 2018, 1 (ISSN 2532-201X)

Il silenzio-assenso ha acquisito oramai un ruolo di riferimento non esclusivamente amministrativo, ed è spesso applicato e trapiantato in altre branche del diritto, in primis quella civile. In occasione, dunque, dei mutamenti teorici e pratici che sono seguiti al riordino della materia (in particolare i d.lgs. n. 126 e 127 del 2016, in attuazione della delega Madia), occorre fare il punto della compatibilità di questo assenso tacito nelle ordinarie relazioni civilistiche tra privati, e in special misura nel rapporto creditizio.

A tal fine, si prenderà ad esempio una tesi, sposata in occasione della difesa tecnica in un recente caso concreto, piuttosto ardita ma che dimostra l’importanza e la frequenza assunta dalla questione nel diritto civile.

Il silenzio-assenso in diritto civile

Il silenzio equivalente ad un contegno tacito di assenso è espressione di un principio a vocazione generale , ordinariamente operante nel diritto civile e cardine ordinamentale, che soddisfa esigenze di economia dei procedimenti ove opera [1].

Perciò, pur in presenza di dovute cautele, per consolidata opinione giurisprudenziale esso esorbita dal proprio originario ambito d’azione [2] ed è divenuto istituto di applicazione trasversale.

Nel silenzio del legislatore, ove non è prescritta alcuna forma specifica per determinati atti, si può intendere allora il silenzio-assenso come strumento compatibile con le modalità di espressione della volontà (anche) civilistica, purché nel concreto sia giustificato, in quanto eterodosso, dal contesto delle circostanze (tra i casi ove si sente la necessità, per ragioni di speditezza ed efficienza, di un meccanismo automatico e silenzioso anche nel diritto civile, si pensi all’actio interrogatoria ex art. 481 c.c., che dà vita ad una sorta di silenzio-diniego).

Il silenzio assenso nelle procedure concorsuali

Il principio del silenzio assenso, in secondo luogo, è ampiamente utilizzato nella prassi del fallimento e in altre procedure concorsuali (ad es. per il sovraindebitamento ex L. n. 3/2012). Nel fallimento esso trova espressione in alcuni atti e pareri che il comitato dei creditori è chiamato a porre in essere durante il proprio operato [3].

Se dunque il silenzio assenso può pacificamente operare per atti e funzioni del comitato che sono di indubbia rilevanza, e che appartengono ad un soggetto del fallimento qualificato (poiché dotato di poteri e obblighi) e sovraordinato (poiché organo rappresentativo permanente del ceto creditorio), allora è ragionevole ritenere che esso possa trovare applicazione anche nei confronti dei creditori rappresentati, soggetti ancor meno partecipi della procedura e delle sue strette garanzie legali.

Inoltre, se il silenzio assenso si applica per la formazione e l’espressione delle volontà all’interno del fallimento (in merito cioè alla suddivisione dei cespiti economici), a maggior ragione può ben funzionare anche per questioni non sostanziali, inerenti all’organizzazione e alla gestione economica degli organi della procedura.

Il silenzio applicato al compenso ex art. 37 bis L. Fall.

Ai sensi dell’art. 37 bis della Legge Fallimentare, i creditori che rappresentano la maggioranza di quelli ammessi, indipendentemente dall’entità dei crediti vantati, “possono stabilire che ai componenti del comitato dei creditori sia attribuito, oltre al rimborso delle spese di cui all’art. 41, un compenso per la loro attività”.

Nel caso di specie si discuteva se fosse possibile, in una procedura concorsuale, che il comitato dei creditori chiedesse di ricevere un compenso ex art. 37-bis L. Fall. e lo ottenesse mediante il ricorso al silenzio-assenso, ossia considerando acquisito il consenso tacito di quei creditori che, entro un ragionevole termine specificamente individuato e comunicato, non avessero dissentito espressamente.

Ci si chiedeva quindi se il silenzio significativo potesse essere ormai considerato modalità ordinaria di espressione della volontà, anche dei privati, perlomeno in quelle procedure (concorsuali) ove i privati siano sistematicamente ordinati in organi dal legislatore.

Sulla decisione dei creditori in merito al compenso da riconoscersi al comitato può operare il meccanismo dell’acquisizione dell’atto di assenso del creditore in forma tacita. Ciò non soltanto poiché il principio generale non viene espressamente derogato, né soltanto perché la norma rimane piuttosto elastica sulla procedura da seguire e sui metodi di votazione, ma anche perché riconoscere la possibilità del compenso ad un organo del fallimento è da ritenersi risvolto corollarico e funzionale per garantire il suo buon andamento.

Ancorché non giuridicamente dovuto, infatti, esso esprime utilità sociale ed è coerente (e non contrastante) con l’iniziativa economica del creditore, che ha sì l’interesse al recupero dell’equivalente in denaro, ma anche a che il comitato funzioni e lavori adeguatamente. Pertinenziale alle funzioni del comitato dei creditori, il compenso è sì eventuale, ma per l’approvazione può ben onerarsi il creditore interessato di un dissenso espresso: tale “onere” si giustifica proprio nella funzione ricoperta dal comitato.

Peraltro, nel fallimento si richiede ordinariamente al creditore, che voglia esperire vittoriosamente il credito, una certa partecipazione attiva [4], sicché l’onere di decidere espressamente entro un certo termine può considerarsi una sua germinazione. Decorso tale termine, deve poter operare l’assenso implicito.

Il compenso è quindi paragonabile ad un prezzo per l’efficacia dell’organo, e può perciò essere deciso mediante una modalità silenziosa. Rispecchiando poi il comitato l’equilibrio quantitativo e qualitativo dei crediti, esso non soltanto risponde alle esigenze dei creditori, ma le rappresenta. Con l’esistenza stessa del comitato i creditori assumono una posizione attiva [5]. Convinti che la costituzione dell’organo sia utile ai fini della tutela dei propri crediti, i creditori esprimono un favor nei confronti dell’organo, e quindi una generica volontà sul suo funzionamento.

A conferma di ciò, spesso si invitano i creditori partecipanti ad esprimersi con una certa solerzia, prevedendo altrimenti decadenze e valvole di sfogo automatiche. Non soltanto la disciplina del comitato dei creditori è pienamente compatibile con l’istituto del silenzio assenso, ma esso ne agevola gli scopi nel caso di ritardo e inefficienza. Il disegno legislativo del fallimento e delle procedure concorsuali è pienamente compatibile al carattere di “rimedio e reazione all’inerzia” tipico del silenzio.

De iure condito, infine, il silenzio assenso è escluso soltanto in quelle situazioni ove non vi sia un’alternativa stabile e credibile all’atto o alla manifestazione di volontà espressa, ossia laddove esso è suscettibile di comportare un’irreversibile o irrimediabile pregiudizio dell’interesse tutelato.

Al contrario, nella disciplina del comitato ex artt. 40 e 41 L. Fall., i creditori dispongono di molteplici strumenti “di reazione”, atti ad evitare compromissioni di interessi e rinunzie, o a reagire all’erroneo operare altrui, quali il potere di chiedere la sostituzione dei componenti il comitato. Inoltre, i rischi di questa tesi sono disinnescati in partenza dal limite massimo al compenso che il legislatore si premura di porre nella norma (fino al 10% del compenso del curatore) [6].

De iure condendo, non può che sottolinearsi il rischio di desuetudine e disapplicazione dell’ultimo comma dell’art. 37-bis [7], per via delle frequenti difficoltà di composizione, costituzione e funzionamento del comitato dei creditori. Dedurre una forma scritta o espressa, ancorché non imposta né voluta dal legislatore, e per di più in combinazione con il gravoso regime di responsabilità (parificata a quella sindacale ex art. 2407 c.c. in quanto compatibile), causerebbe di fatto un’incongrua gratuità dell’ufficio in questione, frustrandone irreversibilmente le potenzialità, e imponendo un irrigidimento procedimentale ed un formalismo normativamente inesistente, in un settore ove appare invece necessario un coordinamento e snellimento.

Per non svilire l’intento legislativo, deve permettersi l’utilizzo del silenzio assenso. Anche se poi i componenti del comitato dei creditori non soddisfano requisiti di professionalità, né possono essere considerati professionisti (sebbene in maniera pressoché unanime la dottrina riconosca un vero e proprio “diritto al compenso”), vista la peculiarità di questo istituto, il ruolo di responsabilità del comitato e l’evoluzione pretoria, può e deve ammettersi un principio di non aggravamento procedurale, esplicato anche mediante l’applicazione del silenzio-assenso.

Conclusioni e accoglimento giurisprudenziale

La tesi prospettata è stata recentemente accolta (giugno 2017) dal Tribunale di Roma, nella sua nota sezione fallimentare, in due provvedimenti simili per procedure del 2011 recentemente concluse. Ciò rappresenta soltanto un esempio di contaminazione tra diverse branche del diritto, data la similarità di scopo e ispirazione delle procedure concorsuali o, in generale, degli istituti privatistici a carattere “collettivo”, organizzato e complesso.

Segno che ormai quello che viene spesso frainteso come uno strumento originariamente appartenente alla sola semplificazione amministrativa appartiene invece anche alla logica civilistica, principio a vocazione generale, presente in tutti i rapporti ove la necessità di efficienza e rapidità vada contemperata ad una corposa platea di soggetti giuridici partecipanti.

Va comunque sdrammatizzato l’impatto di tali pronunce, in quanto il silenzio-assenso amministrativo ex l. n. 241/1990 non viene di certo trapiantato al di fuori dell’ambito del procedimento pubblicistico, ma semmai si può sostenere che esso sia filiazione e germinazione particolare di un più generico principio, valevole anche in ambito civile, di “formazione della volontà anche implicita”.

Così come avviene a volte nella formazione della volontà nel diritto condominiale, nel diritto delle società di capitali, nella comproprietà, nelle procedure concorsuali, nelle persone giuridiche e anche in taluni casi creditizi, quando vi siano rapporti plurisoggettivi, complessi, o “collettivi”, ove le norme non lo escludono e il contemperamento dei principi lo consenta per ragioni di snellimento e utilità sociale dei soggetti coinvolti nel rapporto giuridico complesso, si permette che la volontà (tanto pubblica quanto privata) si formi, dopo un congruo termine, anche in forma tacita ed automatica.


[1] Ex multis, Napolitano, La logica del diritto amministrativo; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile; D’Angelo, Il silenzio nel diritto privato;

[2] A partire da sent. n. 164/2012 Corte Cost., che fa riferimento ai livelli essenziali minimi delle prestazioni per la realizzazione dei diritti civili e sociali ex lett. m) art. 117 Cost., e che quindi abbandona un’applicazione ratione materiae.

[3] Grossi, La riforma della legge fallimentare

[4] Ferro, La legge fallimentare

[5] Pacificamente accolta in dottrina e nella massima giurisprudenza è infatti la distinzione tra assetto partecipativo forte e l’assetto debole, in assenza di comitato, Esposito, Il programma di liquidazione.

[6] Un compenso innocuo poiché “risibile” secondo Proto, Il comitato dei creditori nella legge delega per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali; Pajardi-Pluchowski, Codice del fallimento; Abete, Commento agli artt. 27-39, in Jorio-Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare.

[7] Ricci, Note sugli organi del fallimento dopo le riforme, in Giur. Comm. 2008

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